TERRORISMO, LA STRADA DELLA PREVENZIONE

Crescono gli attacchi in Europa, esponendo la popolazione a minacce imprevedibili. L'unica soluzione per affrontare un fenomeno sociale dilagante è una maggiore cultura del rischio che possa sfociare in un approccio resiliente, in grado di garantire più sicurezza per cittadini e aziende

TERRORISMO, LA STRADA DELLA PREVENZIONE
👤Autore: Giacomo Corvi Review numero: 46 Pagina: 42
Basta sfogliare un qualsiasi giornale per aver cognizione della minaccia terroristica in Europa. Articoli ed editoriali si accavallano ormai sull’argomento, alimentando un dibattito che occupa stabilmente le pagine dei principali mezzi di comunicazione di massa. Fiumi di inchiostro che si sprecano nel tentativo (spesso vano) di fornire una cornice e una spiegazione a un fenomeno che poco conosciamo e che, ancor meno, siamo in grado di controllare.
Gli attacchi si fanno sempre più frequenti, a volte addirittura con cadenza quotidiana. E sempre troppo salato è il conto, in termini di vite umane e danni economici, che lasciano sul terreno questi episodi. Francia, Belgio e Regno Unito sono, cronache alla mano, le principali vittime di questa minaccia. Ma è l’Europa nel suo complesso a sentirsi sotto scacco: forse per la prima volta nella sua storia, l’intero Continente percepisce il peso di un medesimo rischio. “Negli ultimi anni, la minaccia ha assunto le forme del terrorismo islamico”, spiega Barbara Lucini, ricercatrice senior di ItStime presso il centro di ricerca sul terrorismo dell’Università Cattolica di Milano.


UN’EUROPA IMPREPARATA

Lungi dall’alimentare rigurgiti xenofobi e settarismo di (presunto) stampo religioso, parlare di terrorismo islamico significa prendere atto di una minaccia che è concreta e reale. E che, non da ultimo, rischia di fomentare inutili isterismi e innescare esplosioni di tensione sociale: la calca in Piazza San Carlo a Torino nella serata della finale di Champion’s League e, più recentemente, la strage sfiorata fuori dalla moschea di Finsbury Park a Londra sono le prove più tangibili delle conseguenze indirette che può avere il terrorismo islamico.
“A differenza dell’eversione di stampo politico – spiega Lucini – l’estremismo islamico ha assunto un carattere transnazionale e diffusivo”. Una minaccia resa ancor più grave dal cambio di registro attuato nel 2014, con i cittadini privati che sono diventati “i principali bersagli degli attacchi”.
Secondo Lucini, l’Europa “non si è fatta trovare pronta alla sfida”. Anche perché, come evidenzia Marco Araldi, general manager di Marsh, “il terrorismo non si manifesta più con il grande evento”. Gli attacchi avvengono con mezzi di fortuna, con camion e coltelli da cucina, che si trasformano in armi improprie per l’occasione. I tempi dei dirottamenti aerei e delle bombe nelle metropolitane sembrano tramontati: come ci insegnano le cronache degli ultimi mesi, il terrorismo islamico si muove ora sull’iniziativa di singoli estremisti, lupi solitari che seminano il panico con quello che riescono ad avere a portata di mano.
Non stupisce che un controllo capillare della minaccia risulti un’impresa ardua. Quello che manca, secondo Araldi, è un “framework di prevenzione” che consenta di limitare il rischio e di gestire il danno in caso di emergenza.




Nella foto, da sinistra: Barbara Lucini, Carlo Cosimi, Maria Rosa Alaggio e Marco Araldi


TUTELARE I DIPENDENTI

Le aziende, almeno per il momento, non sembrano nel mirino di attacchi terroristici. Eppure, anche per loro si impone l’obbligo di prevenire il rischio. Innanzitutto perché, come scenario di un possibile attentato, anche le imprese possono subire le conseguenze economiche di un attacco. E poi perché, come sottolinea Carlo Cosimi, head of insurance and risk financing di Saipem, “le aziende hanno l’obbligo di tutelare la salute dei dipendenti”. 
In questo contesto, vita privata e lavorativa si intrecciano. “Per la prima volta ho dovuto traslare il rischio in azienda alla mia vita di tutti i giorni”, commenta Cosimi. Il terrorismo può colpire ovunque. E solo in quest’ottica si spiegano le piccole raccomandazioni che le aziende stanno inviando ai propri dipendenti. Non sostare in luoghi affollati, limitare il più possibile la permanenza in aeroporti e stazioni: semplici indicazioni che possono rivelarsi fondamentali nel prevenire qualsiasi tipo di rischio.


FORMAZIONE E METODOLOGIE DA SEGUIRE

Le imprese sembrano avere un’elevata percezione del rischio. “Più del 98% delle grandi aziende possiede una copertura contro terrorismo, scioperi e sommosse”, osserva Araldi. Un’evidenza che mostra, tuttavia, soltanto la volontà di recuperare le eventuali perdite economiche. Secondo Lucini, manca “un approccio resiliente che possa garantire la continuità del business”. Un traguardo raggiungibile solo attraverso “una prospettiva metodologica che fornisca alle Pmi indicazioni puntuali per prevenire il rischio di attentati”. È necessaria, insomma, una più profonda “formazione in ottica di prevenzione, da condurre in termini interpretativi”.
“Il dipendente in trasferta, così come il turista – spiega Lucini – è il primo elemento di una catena che può apprendere misure di prevenzione del rischio e gestione delle emergenze”.


UN RISCHIO ANCHE PER IL FUTURO

Il tema è decisamente attuale. E assume una rilevanza ancor maggiore se si considera che il fenomeno pare, purtroppo, destinato a durare ancora a lungo. “Credo che in futuro il terrorismo dilagherà”, profetizza Lucini. E ciò, aggiunge, potrebbe portare a una “crescita delle tensioni sociali e dell’estremismo politico”. Uno scenario incandescente su cui si innesta anche il grande tema delle migrazioni.
Secondo Araldi, la soluzione passa da un’analisi generale delle cause che sottostanno al terrorismo. “Dietro al fenomeno – osserva – c’è la disoccupazione, con tutto il suo contorno di disuguaglianza e tensione sociale”. Cause profonde, che attendono solo di essere sradicate. Nell’attesa, l’unica arma è la prevenzione.

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