EVOLUZIONE E COMPLESSITA' DELLE MINACCE PER LE AZIENDE

Oggi più che mai è richiesta alle imprese una strutturata analisi di impatto dei danni, un approccio coordinato e razionale, che però si scontra con l’attuale situazione di mancanza di cultura del rischio. La crisi incide ma forse non è determinante se le Pmi restano ai margini, ancora troppo inconsapevoli

EVOLUZIONE E COMPLESSITA' DELLE MINACCE PER LE AZIENDE
👤Autore: Fabrizio Aurilia Review numero: 17 Pagina: 30 - 32
Quali sono gli aspetti che fanno evolvere il rischio per le aziende e quali sono i fattori che rendono oggi i rischi più complessi e le minacce più difficili da affrontare? 

Dallo spunto proposto da questa domanda è partito il dibattito della prima tavola rotonda del convegno Le aziende e il rischio – Minacce emergenti e soluzioni possibili, organizzato a Milano da Insurance Connect, che proprio attraverso il confronto di tutte le componenti del sistema (compagnie, aziende, intermediari, società di servizi, associazioni ed enti pubblici) ha cercato di analizzare questi fattori, evidenziando i problemi e indicando anche qualche soluzione per risolverli. 

Un confronto aperto, che va dall’analisi della capacità dei broker di incontrare le esigenze che cambiano al tessuto imprenditoriale italiano che sottovaluta le minacce, passando per l’attività di tutti quei soggetti che offrono iniziative, prodotti o anche solo il proprio know how per aumentare la cultura del rischio. Nonostante gli sforzi, i rischi, tradizionali o emergenti, sono accomunati da una generale sottovalutazione. Ma anche in questo campo è necessario fare una distinzione tra grandi aziende e Pmi: mentre le seconde rimangono ai margini, con un’inconsapevolezza ancora troppo forte, le prime sembrano più preparate. Sono eccellenze: multinazionali, colossi dell’energia, delle infrastrutture, del manifatturiero, ma che rappresentano appena lo 0,1% di tutto il mondo industriale italiano. 
La crisi ha inciso, sta incidendo e inciderà ancora nell’emarginazione delle Pmi dal mercato della protezione, tuttavia è possibile ravvisare anche una mancanza da parte degli intermediari, incapaci di avvicinare questo segmento di clientela.





TRASFERIRE IL RISCHIO NON È GESTIRLO 

“Oggi – ha confermato Carlo Marietti Andreani, presidente di Aiba –, tranne alcune lodevoli eccezioni, il broker interviene solo come ultimo anello della catena, cioè negli aspetti assicurativi. Ma questa catena è cortissima: la Pmi non si pone il problema del rischio, al massimo si assicura, ma non fa prevenzione e programmazione. Il ricorso all’assicurazione è spesso gestito male o in modo insufficiente”. D’altra parte i broker lamentano la difficoltà di trovare la polizza giusta sul mercato: c’è troppa standardizzazione nell’offerta. Secondo il numero uno di Aiba, esiste un circolo vizioso che non stimola le aziende a valutare correttamente i rischi. Le polizze troppo rigide sono il disconoscimento da parte del settore assicurativo delle esigenze specifiche delle aziende. “L’imprenditore – sostiene – è affidato al proprio autoconvincimento. Nelle piccole e medie imprese è difficile trovare un risk manager: il broker si relaziona più spesso con un insurance buyer, perché si pensa appunto che il trasferimento del rischio equivalga alla sua gestione: il che non è vero”.


PIÙ INFORMAZIONI PER CREARE MODELLI DI RISCHIO

Tale tendenza è confermata dai dati. Il 90% delle aziende piccole non ha un risk manager; poco meglio per le medie (82%). Eppure, oggi più che mai, è richiesta una strutturata analisi di impatto dei danni e un approccio coordinato e razionale. Dal punto di vista dei risk manager, è urgente esaltare la sensibilità sui rischi non sempre assicurabili: rischi di processo, compliance, comunicazione, reputation. “L’imprenditore ha bisogno di un cruscotto informativo – sostiene Paolo Rubini, presidente di Anra e risk manager di Telecom Italia –, in questo sono favorite le aziende grandi che hanno funzioni di risk management interno”. Tuttavia, spesso, il punto debole delle aziende è l’analisi quantitativa del rischio. Ecco perché Anra sottolinea la necessità di disporre di informazioni più dettagliate, sistemi di analisi che consentano di modellizzare il rischio e definirne un valore: per singolo rischio ma anche nell’interrelazione. “È importante – dice Rubini – conoscere esattamente l’impatto del rischio su Ebitda e posizione finanziaria netta. Se i dati non sono affidabili qualsiasi operazione è inefficace”. 


SOLVENCY II DARÀ UNA MANO

A tutto questo, secondo Cineas, si somma la necessità di avere una visione globale dei rischi, anche perché le micro aziende sono impegnate su scenari internazionali. Gli imprenditori dovrebbero avere un approccio proattivo e capire che una buona pianificazione del rischio rende debitori più affidabili: è anche così che si combatte il rischio di credito che terrorizza le nostre Pmi. “Esistono comunque – precisa Adolfo Bertani, presidente di Cineas – grandi competenze sia da parte dei broker sia nel mondo delle compagnie. 
Solvency II sta cambiando totalmente i rapporti tra assicurazione e clienti. Il legislatore ha individuato proprio nella cultura del rischio il traino del cambiamento”. Ecco perché è questo il momento di scommettere su una visione di lungo termine attraverso esempi pratici. Cineas propone, per esempio, un roadshow sul territorio per spiegare i rischi a gruppi di aziende che abbiano in comune gli stessi interessi, così saranno stimolate a fare sistema intorno alla gestione di criticità comuni. “La Fondazione Ania – propone Bertani – può avere un ruolo importante nella prevenzione dei rischi legati alle polizze dei rami elementari e non limitarsi alla sicurezza stradale”. 





NON CONFONDERE COSTI E INVESTIMENTO

Esistono quindi alcune leve che fanno destare l’attenzione delle aziende riguardo ai rischi? Sì, ci sono, esistono, secondo quanto afferma Asseprim, l’associazione nazionale per i servizi professionali alle imprese. Tutte le minacce legate alla compliance, per esempio, la legge 231 sulla responsabilità amministrativa o la normativa sulla privacy, oppure la continuità del servizio, la riservatezza dei dati e il rischio reputazionale dell’azienda, ma anche dei singoli manager o membri del cda. “Il mondo assicurativo – sottolinea Renato Gazzola, consigliere di Asseprim e presidente di Sernet – può avere un ruolo essenziale, in primis per fornire consulenza e poi per intervenire sui processi, o con le polizze. Su questi punti il mercato assicurativo dovrebbe essere più attivo e promuovere il rischio. Ma anche dare degli strumenti”. 
Un dato su tutti, comunque, delinea le contraddizioni della situazione italiana: il 78% delle aziende ritiene che il rischio di credito sia reale e pericoloso, ma gli imprenditori non fanno il passo successivo, cioè coprirsi per questo rischio. 
Questo perché spesso si confondono costi e investimento: si tagliano formazione e marketing perché non danno risultati immediati. “Tuttavia – chiosa Marietti – c’è spazio per uscire dalla teoria dei convegni e cominciare a fare pratica attraverso la collaborazione tra tutti i player”.


CONSAP E IL FURTO D’IDENTITÀ

Un’iniziativa interessante arriva direttamente da Consap, la concessionaria di servizi assicurativi pubblici, che sta mettendo a punto un sistema per fornire in tempo reale alle istituzioni finanziarie le informazioni per tutelarsi dalle conseguenze del furto di identità. 
Lo strumento, come ha spiegato il direttore generale, Paolo Panarelli, sarà operativo dai primi mesi dell’anno prossimo e coinvolgerà banche dati operative, tra cui Inps, Inail e ministero dell’Interno: ma l’obiettivo è quello di comprendere anche l’archivio assicurativo integrato antifrode, che sarà pronto a breve, già nel 2015, come confermato recentemente dal presidente di Ivass, Salvatore Rossi. Lo strumento messo a punto da Consap, ha precisato Panarelli, “è un sistema pubblico che è al servizio dei privati, con un’architettura che gira sugli elaboratori del ministero dell’Economia, con garanzia di eccellenza”. 


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