QUANDO IL SAPERE AUMENTA LA FORZA

L'editoriale di Insurance Review #48, l'edizione di ottobre 2017

QUANDO IL SAPERE AUMENTA LA FORZA
Meglio sapere o non sapere? Meglio essere consapevoli o fingere di esserlo? Sono interrogativi  di natura filosofica a cui si può dare una risposta ispirandosi a Socrate o Kant, per i quali, rispettivamente, il sapere rende buoni o addirittura degni di essere felici. 
Oppure possiamo indirizzarci verso un’altra opzione, quella che riconosce il sapere come fonte di dolore, che da sempre trova terreno fertile nella letteratura, nelle tragedie e nella poesia. 
Alcuni governi e leader politici devono aver fatto leva su quest’ultima possibilità quando hanno minimizzato per anni sulla gravità della crisi finanziaria, e ancora oggi quando sottovalutano il peso di dilaganti fenomeni sociali in tutto il mondo. Lo hanno fatto e continuano a farlo per evitare di infliggere dolore ai cittadini? Certo, è possibile ritenere che certe strategie elettorali facciano oggettivamente più presa se divulgano certezze presunte (piuttosto che scomode verità), con l’obiettivo di rispecchiare quanto gli elettori vorrebbero sentirsi dire. 
Eppure l’opinione comune, almeno la più diffusa tra le aziende, sembra attualmente rispolverare il pensiero di Bacone, secondo il quale il sapere aumenta la forza. 
Non stupisce quindi che nell’epoca delle post verità, delle fake news e della confusione mediatica, la ricerca di conoscenza (e quindi di forza, anche competitiva) riparta dal valore del dato, di informazioni strutturate che in questo caso viaggiano attraverso territori anche virtuali, digitali, trascinandosi dietro un patrimonio da intercettare, circoscrivere e analizzare per essere poi tradotto in business. 
Tale approccio alla conoscenza si applica anche nella relazione con il cliente: partendo dall’attività di legislatori e regolatori, l’obiettivo finale è la trasparenza, l’adeguatezza e l’obbligo di condurre il consumatore verso scelte consapevoli. 
Molto si è detto, e si dirà ancora, sul concetto di consulenza. 
Ma l’incertezza del nostro vivere quotidiano e del nostro futuro appare così chiara, semplicemente camminando per strada, da non aver bisogno di disturbare l’intervento di un consulente per rendersene conto. A essere richiamata dovrebbe essere piuttosto l’immagine di un “consulente filosofico”, vale a dire quella figura che, grazie al dialogo aperto e a un’indagine razionale, aiuta ad approfondire il ragionamento per rivedere l’ordine dei pensieri e delle priorità, individuando vecchie contraddizioni e allargando la nostra comprensione del mondo. E quindi, per applicare l’analisi al settore assicurativo, servirebbe una figura ancora più evoluta che possa aiutare a far emergere, in un Paese sottoassicurato come il nostro, la consapevolezza di rischi e bisogni: un obiettivo complesso, quello del sapere, che, nel rispetto delle regole di trasparenza e adeguatezza, nessun robo advisor potrà mai soppiantare. 

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