FORMAZIONE, TRA RESPONSABILITÀ E NUOVI OBIETTIVI

Guidare una compagnia, disegnare i prodotti, distribuirli: l'aggiornamento professionale non è più un valore aggiunto ma una pratica essenziale per corrispondere alle normative e distinguersi nell'attuale contesto competitivo

FORMAZIONE,  TRA RESPONSABILITÀ E NUOVI OBIETTIVI
👤Autore: Fabrizio Aurilia Review numero: 35 Pagina: 38 - 40
Il vice presidente di Progetica, nonché contributore fisso di questa rivista, Sergio Sorgi, in un suo intervento ha scritto che la formazione non si esaurisce fornendo corsi, ma richiede la progettazione di percorsi che abbiano chiari i punti di partenza e di arrivo: “solo dopo aver definito un punto di arrivo – affermava Sorgi – si definirà un percorso formativo che verrà declinato in singoli obiettivi”. 

Guardando al tema della formazione da una prospettiva più ampia, tralasciando per ora la somma meccanica dei crediti formativi da acquisire o gli esami da superare, si scopre che sono proprio gli obiettivi finali del mercato a imporre, oggi più di prima, competenze nuove. Le responsabilità di chi dirige una compagnia, di chi disegna i prodotti, e di chi li distribuisce, sono sempre maggiori. E la formazione deve adeguarsi. 


UNA COMPONENTE DEL FARE IMPRESA

Non è più pensabile considerare l’aggiornamento professionale come un valore aggiunto in un contesto regolamentare e competitivo come quello attuale, post crisi e soprattutto post Solvency II. La formazione nell’epoca moderna è una componente naturale del fare impresa. 
Pierpaolo Marano, docente della facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative presso l’Università Cattolica di Milano, ed esperto di normativa e regolamentazione assicurativa a livello internazionale, evidenzia l’essenzialità di un nuovo livello di governance dell’impresa: una rinnovata e più profonda attenzione da parte di azionisti e consiglieri di amministrazione alla quotidianità del lavoro della compagnia, all’operato delle direzioni ma anche ai singoli dipendenti e distributori. 

“Il legislatore europeo, e di conseguenza il regolatore Eiopa – spiega Marano –, attraverso la direttiva Solvency II, richiede che i consigli di amministrazione siano composti da individui capaci di comprendere i processi aziendali e il funzionamento della direttiva stessa. Non basta considerare solo i requisiti di solvibilità, ma occorre identificare i modi più opportuni per allocare il capitale e assorbire i rischi che la compagnia va a prendere sul mercato. In questo senso – continua – si saldano le due principali direttive del settore, Solvency II e Idd. La norma europea sulla distribuzione introduce la product design governance, che mancava in Solvency II, proprio per verificare la capacità da parte dell’impresa di creare un trait d’union con i prodotti”. 
In altri termini, la normativa pone l’enfasi sui rischi che derivano soprattutto da come si confeziono e si distribuiscono i prodotti e quindi anche sulla relazione con la clientela.


UN NUOVO EQUILIBRIO DEI POTERI

Affinché le indicazioni della Vigilanza europea non restino lettera morta, ai regolatori nazionali è stato affidato il compito di verificare in che misura i singoli membri del board delle imprese siano formati per riuscire ad adempiere ai loro nuovi compiti. L’Autorità ha il potere di farlo attraverso interviste singole ai consiglieri di amministrazione: veri e propri esami per verificarne le capacità. 
Le linee guida di Eiopa indicano le competenze che deve avere un consigliere, e lo stesso regolatore europeo verifica che le prassi di vigilanza nazionali siano convergenti. 
“La sfida del regolatore – precisa Marano – è stata quella di equilibrare i poteri all’interno delle compagnie, bilanciando quello dell’amministratore delegato con una maggiore consapevolezza e partecipazione del board. È necessario che queste competenze siano verificate nella pratica, per esempio attraverso la lettura dei verbali delle riunioni del cda, per sapere se e quali consiglieri intervengono, e per dire cosa. Sulla spinta di Solvibilità II, si controlla più attentamente se i consigli di amministrazione funzionano davvero, e se fanno challenge sull’ad: insomma, si va oltre il controllo astratto o formalistico delle competenze”.
In Olanda, ad esempio, l’autorità di vigilanza ha la facoltà di intervistare singolarmente i candidati consiglieri di amministrazione, per verificare che abbiano le competenze adeguate per accettare quell’incarico: una sorta di valutazione preventiva che assume un connotato vincolante. 





LA SELEZIONE DEGLI INTERMEDIARI

Un ampio capitolo riguarda gli intermediari. Gli adempimenti formali che li coinvolgono sono molteplici e non c’è nessuno di loro che, considerando tutte le attività che svolgono, non li consideri almeno un po’ troppo gravosi. È opinione comune, tuttavia, che le evoluzioni di mercato impongano all’intermediario un accrescimento della propria preparazione professionale. Il principale problema, però, è che la formazione deve essere incentivante, e questo dipenderà anche dalle compagnie. 
“Le imprese – suggerisce Marano – devono enfatizzare la formazione inerente al disegno dei prodotti che offrono, perché se è vero che ogni prodotto va indirizzato a un determinato target di clientela, è altrettanto vero che non tutte le reti distributive sono adatte a qualsiasi target. Le compagnie dovranno cominciare a fare selezione tra gli intermediari, dividendo la rete per competenze: le imprese dovranno riflettere sulla capacità degli intermediari con cui collaborano di vendere il contratto più adeguato a un cliente specifico”. 


OCCHIO ALLA RICONVERSIONE  DELLA RETE

Non basta più vendere una polizza attraverso l’aiuto della compagnia in fase assuntiva: occorre, soprattutto nei prodotti per le aziende, saper dare consulenza in vigenza del contratto. E quindi è importante anche differenziare la formazione all’interno della stessa rete distributiva. 
Quindi, la riconversione delle reti che da più parti s’invoca (da Rc auto a rami danni, prodotti di protezione e investimento) deve essere fatta attraverso un’adeguata formazione a carico principalmente delle compagnie.
“Il prodotto assicurativo – chiosa Marano – deve avere l’obiettivo di perseguire l’interesse esclusivo dei clienti: sono i distributori, in primis, a doverlo sapere. Know your product equivale a know your customer”.

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