EDUCAZIONE FINANZIARIA ALL'ANNO ZERO

Sembra impossibile riuscire a diffondere anche i concetti più semplici legati a risparmio, investimento e pianificazione economica, nonostante gli sforzi, spesso poco coordinati, di politica, authority e privati. E quindi? Occorre tornare tutti a scuola

EDUCAZIONE FINANZIARIA ALL'ANNO ZERO
Enti di ricerca, istituti di statistica, centri studi, ministeri pubblicano quotidianamente molteplici stime sui più svariati argomenti. Una parte di queste è ripresa dai media che costruiscono, sulla base dei dati statistici che pensano sia più opportuno mettere in risalto, articoli e analisi introdotti da titoli a effetto che solitamente evidenziano quanto costa un determinato fenomeno. Il caso tipico è la corruzione, che ogni anni sottrae decine di miliardi alle casse dello Stato. Che il reato di corruzione porti a un depauperamento generale di un Paese è cosa certa: tuttavia non è così immediato riuscire a quantificare precisamente quanti miliardi di euro o punti di Pil pesi effettivamente; ecco perché un numero sempre maggiore di esperti e addetti ai lavori mette in guardia da facili contabilizzazioni a uso quasi esclusivo dell’aizzamento dell’opinione pubblica. 
Quantificare precisamente la dispersione di ricchezza causata da un comportamento sociale (o criminale) è complesso, e spesso le risposte migliori non sono quelle che non forniscono un numero preciso ma che disegnano uno scenario, un quadro di riferimento entro cui spiegare il fenomeno.   


SEMPRE PIÙ VULNERABILI (SENZA CULTURA) 

Anche per quanto riguarda l’educazione finanziaria, la questione non è diversa: è noto quanto la scarsa alfabetizzazione in questo campo faccia male, eppure è difficile (e in fondo inutile) quantificarne il costo esatto.     
La pensa così Daniela Vandone, docente presso il dipartimento di Economia, management e metodi quantitativi dell’Università degli Studi di Milano: “è molto difficile – spiega a Insurance Review – quantificare il costo della financial illiteracy in termini di ricchezza dispersa, per le molteplici sfaccettature e implicazioni che il fenomeno presenta. Chiaramente, l’impatto è sia di tipo microeconomico, sulla vita dei singoli individui e sul loro livello di vulnerabilità o benessere, sia di tipo macroeconomico, sulla stabilità dei sistemi finanziari”. 
Secondo Vandone, si tratta, peraltro di un costo destinato a crescere in assenza d’interventi efficaci: “perché è cresciuta nel tempo la complessità di prodotti e mercati finanziari, nonché la domanda di strumenti di investimento, indebitamento e assicurativi”.
Sulla stessa linea, ma ancor più tranchant, è Alberto Brambilla, tra le tante attività presidente di Itinerari Previdenziali, il centro studi che ogni anno organizza anche le Giornate nazionali della previdenza e del lavoro. Per Brambilla, il costo dell’ignoranza economica è altissimo: “il danno è enorme per il Paese – ha precisato – soprattutto perché la cultura finanziaria e di mercato manca alla classe dirigente, che non è capace di tutelare il patrimonio economico italiano. Senza conoscenze e autorità in campo finanziario siamo un mercato di sbocco, fatto di 60 milioni di consumatori a caccia dell’ultimo modello di telefonino”. 





LA DIFFIDENZA DEI CITTADINI VERSO LA FINANZA  

Fino a pochi anni fa il tema dell’educazione finanziaria non era affatto presente nell’agenda di decisori politici e delle Autorità: solo in tempi recenti, complici la crisi finanziaria del 2008 e quella del debito del 2011, ci si è posti il problema se esista o meno una correlazione tra alfabetizzazione finanziaria e benessere delle famiglie. “La letteratura in materia – sottolinea Vandone – è ormai consolidata ed esistono molti studi, in Italia e all’estero, che verificano empiricamente il legame positivo che esiste tra educazione finanziaria e bontà delle decisioni assunte dagli individui”. 
L’educazione finanziaria agisce su più fronti: migliora la capacità d’interpretare ed elaborare le informazioni, accresce la consapevolezza circa opportunità e rischi connessi, migliora la capacità di fare scelte adeguate ai propri bisogni. 
Il problema vero è far incontrare cittadini e cultura del risparmio e dell’investimento consapevole. La pressoché totale disinformazione rispetto a questi temi è ancora più grave se, come evidenzia Brambilla, si considera che l’industria del risparmio, della previdenza e del welfare in generale vale (media Paesi Ocse) il 50% del Pil: “stiamo parlando – precisa il presidente di Itinerari Previdenziali – di un’incidenza sulla ricchezza del Paese enorme, e che pesa ancora di più sull’occupazione”. 
Nonostante le iniziative di espansione dell’alfabetizzazione finanziaria si siano moltiplicate negli ultimi anni, secondo Brambilla, non si è ancora riusciti a fare massa critica. “Sono due le strade da percorrere con decisione – argomenta –: la prima è inserire la materia dell’educazione finanziaria nei programmi scolastici già alle elementari; la seconda è che tutti i soggetti pubblici, dal ministero del Lavoro alla Banca d’Italia, dal Miur all’Agenzia delle Entrare, organizzino due o più eventi all’anno focalizzati solo su questo tema”. Insomma, una campagna a tappeto, pervasiva, scevra dal pregiudizio ideologico, e garantita dallo Stato. 

SÌ A PROGRAMMI PERSONALIZZATI

È vero che anche i privati e le associazioni stanno facendo tanto, anche se i loro sforzi s’indirizzano a una platea troppo ristretta e spesso frequentata da addetti ai lavori già formati: “Bankitalia fa il proprio evento – conclude Brambilla – così come l’Abi e l’Ania, ma i numeri sono ancora troppo piccoli”.  
Secondo la professoressa Vandone sarebbe anche utile guardare alle iniziative intraprese da Paesi che prima del nostro hanno iniziato a promuovere l’educazione finanziaria: modi e metodi che potranno rappresentare un’utile guida proprio all’offerta di programmi educativi differenziati in base ai vari destinatari. “Occorrono – ribadisce – iniziative formative in aula nell’ambito di programmi scolastici ma anche educazione per adulti. In più saranno importanti i mass media e le iniziative promosse da soggetti pubblici, associazioni dei consumatori, associazioni d’istituzioni finanziarie o da singole entità, brochure o informativa su pagine web, giochi interattivi, nonché la consulenza individuale”. 
L’importante è però differenziare l’approccio tra giovani e adulti; tra soggetti promotori, Governo, associazioni di categoria, istituzioni scolastiche, organismi non profit e tra i contenuti, generici o dedicati a tematiche specifiche: “nella consapevolezza – conclude Vandone – che one fits all (uno va bene per tutti, ndr), in concreto, potrà non funzionare”. 




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