LE POLIZZE DI RAMO III NELLA GIURISPRUDENZA

Affidate alle valutazioni del giudice, le controversie sui contratti stipulati tra compagnie e assicurato sono spesso sottoposte al rischio di riqualificazione giurisdizionale ex post, anche su aspetti non secondari della natura del rapporto. E pure l’intervento della Corte di Giustizia Ue, che contempla i prodotti unit linked nella disciplina del diritto comunitario, non sembra destinato a costruire in via definitiva il quadro di certezze a cui fare riferimento

LE POLIZZE DI RAMO III NELLA GIURISPRUDENZA
Autore: Matteo Massimo D’Argenio Numero Review: 46 Pagina: 10
Chiamata a pronunciarsi sulla natura giuridica dei prodotti assicurativi vita di ramo III, la giurisprudenza italiana di ogni grado ha fornito risposte estremamente variegate, al punto da far sorgere negli operatori del settore assicurativo una serie di dubbi “esistenziali”: com’è possibile che le certezze giuridiche di uno strumento contrattuale tipizzato nella sua natura e nei suoi caratteri essenziali dalla legge, possano poi dissolversi al vaglio del giudice?

Intendiamoci: non sempre, e non tutti i casi giudiziari, si sono risolti in una riqualificazione del prodotto. Si registrano anche sentenze che confermano la natura tipicamente assicurativa della polizza unit linked / index linked, ma la confusione è senz’altro molta, e i contenziosi in aumento, potendo ciascuna parte processuale fare affidamento su precedenti a sé favorevoli.
L’antefatto del contenzioso sulle polizze ramo III, nelle sue linee generali, è normalmente quello del cliente, insoddisfatto della performance finanziaria del rapporto, che cita in giudizio l’assicuratore e/o il distributore (e in certi casi il collaboratore/segnalatore di quest’ultimo), lamentando ex post l’applicazione di condizioni e/o l’utilizzo di modalità di vendita non conformi, e quindi invocando declaratorie di nullità/annullamento del contratto (con conseguente restituzione del premio nella sua interezza) e/o condanne al risarcimento del danno (con conseguente ripristino del capitale versato sotto forma di premio). Per parte loro, assicuratori e distributori solitamente si difendono mettendo in evidenza non solo la liceità del prodotto, ma addirittura la sua espressa tipizzazione normativa (il D. Lgs. n. 209/2005 Cap, che peraltro attua nel nostro Paese normative comunitarie valide in tutta l’Unione) e la conformità a legge delle modalità di stipulazione della polizza. Tutto viene dunque rimesso alla libera interpretazione della giurisprudenza che, talvolta conferma la natura assicurativa della polizza (e, con essa, l’efficacia sua e delle sue previsioni e conseguente rigetto delle domande del cliente insoddisfatto), talaltra la nega, qualificando il prodotto come finanziario (e quindi decretandone la nullità) o, talaltra ancora, ravvisa una natura mista assicurativa e finanziaria, con ciò richiedendo l’applicazione di entrambe le regolamentazioni e accordando risarcimenti danni. 



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FORZATURE TRA LE PARTI E RISCHI CONNESSI

Singolare il fatto che questa ampiezza di soluzioni non abbia tanto a oggetto profili secondari o accessori del rapporto, che potrebbero essere (e qualche volta sono) effettivamente forzati dalla struttura della polizza in danno del cliente, ma veri e propri elementi cardine del rapporto stesso: esempio classico è quello dell’attribuzione del rischio finanziario all’assicurato che, pur essendo tipicamente prevista dalla legge per le polizze di ramo III, viene in certi casi letta come la presunta spia della natura finanziaria del rapporto, con conseguente applicazione non già della disciplina assicurativa di cui al titolo IX del Cap (rubricato “intermediari di assicurazione e riassicurazione”) e di cui al Regolamento Isvap 5/2006, ma del Tuf (Testo unico finanza), con tutte le conseguenze da questo previste sotto forma di nullità o risarcimento per i casi, a questa stregua frequentissimi, di mancato rispetto delle garanzie di informazione, precontrattuale e contrattuale, da esso previste.
È pur vero che contenziosi di questo tipo risentono delle specificità (talvolta anche emotive) dei singoli casi. Ma è evidente che il rischio di riqualificazione giurisdizionale ex post non aiuta a creare quel contesto di certezza che la crescente diffusione delle polizze di ramo III richiederebbe. 


TRA IDD E SENTENZE PREGIUDIZIALI

Prevedibilmente i rischi di questo tipo diminuiranno quando il mercato si sarà conformato alle prescrizioni della direttiva Idd (che, tra le altre cose, dovrebbe portare maggiore consapevolezza nel mercato dei prodotti di investimento assicurativi), ma il problema continuerà a porsi per il portafoglio precedente, e forse sarà anzi più spinoso se le nuove garanzie previste da Idd verranno assunte a parametro di confronto indiretto per decidere ex post su prodotti pregressi, com’è avvenuto con la riforma del 2006 che, per quanto non retroattiva, viene in taluni casi erroneamente applicata a contratti stipulati prima della sua entrata in vigore (errore che va addirittura oltre la violazione del noto principio tempus regit actum, se si considera che prima vigeva un’espressa previsione del Tuf che ne escludeva l’applicazione ai “prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione”, art. 100, primo comma, lett. f), Tufnella previgente formulazione). 
Per chiudere con una nota (relativamente) positiva, va da ultimo ricordato l’intervento della Corte di Giustizia Ue (C-166/11 del 01/03/2012) che, ponendo un freno al dilagare di interpretazioni giurisprudenziali in contrasto con il dato normativo, si è pronunciata nel senso di ritenere “normali in diritto delle assicurazioni” le polizze unit linked nel panorama giuridico dell’assicurazione in quanto specificamente contemplate e disciplinate dal diritto comunitario. 

Con ciò, invero, si dovrebbe ritenere chiuso il discorso e preclusa ogni possibile riqualificazione in Italia (sebbene il caso sottoposto alla Corte provenisse da Oviedo, in Spagna) in quanto le sentenze pregiudiziali della Corte di Giustizia hanno portata dichiarativa, e l’interpretazione del diritto europeo ivi proposta è perciò vincolante per i giudici di ogni Stato membro. Il condizionale è tuttavia d’obbligo in quanto nulla ci garantisce che le autorità giudiziarie nostrane si conformino davvero alla giurisprudenza comunitaria (e al dato normativo che essa ha voluto rimarcare), proseguendo nella loro illimitata libertà di valutazione caso per caso, con tutte le conseguenze che ciò può comportare: basti pensare all’ipotesi per niente astratta (volutamente, ci lasciamo con un paradosso) del medesimo prodotto, emesso dalla medesima impresa assicuratrice, e distribuito dal medesimo intermediario, che venga tuttavia qualificato in modo differente e, anzi antitetico, da due o più giudici di merito. 

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