PIÙ COOPERAZIONE TRA UOMINI E DONNE

Anche se l’apertura alla tematica della parità di genere rappresenta uno degli elementi differenzianti nella effettiva propensione all’innovazione da parte delle compagnie, in realtà ad apportare valore è la pari condivisione tra uomo e donna. Un passaggio da applicare necessariamente sia nella vita privata sia sul lavoro

PIÙ COOPERAZIONE TRA UOMINI E DONNE
Lo scandalo Bbc di inizio anno (conclusosi con il beau geste dell’auto-riduzione di stipendio dei sei più noti volti del canale televisivo) ha riaperto il dibattito sulla differenza di genere nel mondo lavorativo, dibattito risalente al secolo scorso che ormai viene percepito dai più come sterile e fine a se stesso, senza produrre iniziative e soluzioni in grado di cambiare lo stato delle cose. Così è, se vi pare.

Verrebbe da pensare che il tema della diversità di genere sia quasi un leit motiv avviato in momenti in cui il femminismo rivendicava un’uguaglianza che non ci potrà mai essere. Per forza di cose l’uomo e la donna sono diversi e svolgono ruoli diversi nella società.
Se poi analizziamo l’ambiente lavorativo, le donne rischiano di portare punti di vista differenti, di mettere in dubbio una visione chiara e univoca del mondo, di sbilanciare quel tranquillo e stabile equilibrio di una società agiatamente maschile: è una scossa alla rassicurante frase “abbiamo sempre fatto così”.  
Le donne si stanno quindi elevando a paladine di un cambiamento che in questo momento tanti uomini rivendicano e sostengono come unica via per un futuro migliore e più sostenibile in una società globalizzata, multietnica e integrante.
Sarà un caso, ma laddove le donne hanno ruoli confinati il cambiamento fa più fatica a procedere: dai governi di Paesi meno democratici, alle aziende e settori produttivi.

SOLO BUONE INTENZIONI

Per tornare a noi, non è un caso che il settore finanziario, bancario e assicurativo, riporta storicamente ad ambienti maschili che solo recentemente hanno issato la bandiera dell’innovazione.
Solo negli ultimi anni, infatti, le compagnie assicurative hanno incominciato (ultimo settore del comparto fintech) ad approcciare le nuove tecnologie, a guardarsi attorno e ad avere un ruolo nel finanziamento di promettenti start-up.
Ma questo è attualmente solo una dichiarazione di intenti: il cambiamento all’interno della gestione del business deve ancora avvenire e, essendo un business basato sul servizio (dal punto di vista del cliente il prodotto è una semplice promessa su un foglio di carta), esso è possibile in maniera direttamente proporzionale alla sensibilità e alla voglia di cambiamento delle singole persone coinvolte lungo tutta la value chain.
È, questo, un lavoro lento, lungo e faticoso che deve essere portato avanti con pazienza e lungimiranza, introducendo elementi di contaminazione che facciano riflettere e mettano delicatamente in crisi le certezze delle singole persone. Bisogna lavorare sull’essere umano e sulla sua naturale resistenza al cambiamento.


INCLUSIONE IN SENSO PIU' AMPIO 

La diversità di genere non è l’unico elemento di stimolo nel settore ma, forse, è il primo ineludibile passaggio attraverso cui le compagnie nazionali devono ancora passare.
La presenza di Maria Bianca Farina alla presidenza dell’Ania è sicuramente un bel segnale, ma “una rondine non fa primavera” e preferirei vedere altri numeri nella classifica del personale dirigenziale.


IL VALORE DELLA CONDIVISIONE

Vi consiglio di dare uno sguardo a questo sito e di ascoltare anche le parole del sociologo Michael Kimmel che con il semplice buon senso spiega perché il primi beneficiari della diversità di genere sono i maschietti stessi. Non è solo una questione etica o di performance del business, ma di capacità di realizzare un cambiamento capace di giovare alla qualità della nostra vita e di quella delle persone con cui viviamo. L’evoluzione si basa sulla cooperazione tra uomini e donne, e non esistono grandi cambiamenti fatti da solo una parte: i diritti conquistati dalle donne hanno sempre dovuto avere una condivisione dell’uomo, e viceversa.
Anche nelle attività in cui le donne hanno storicamente un ruolo dominante sarebbe sempre più opportuno promuovere e sostenere ruoli paritetici: in ambito familiare, uno studio dell’università di Oxford pubblicato a novembre 2016 sul British Medical Journal e condotta su 6.000 individui ha dimostrato che la presenza del padre è fondamentale per avere figli più equilibrati e con meno probabilità di sviluppare problemi comportamentali.


IMPARARE A FARE INSIEME

Avrete quindi capito che non sostengo la tesi che solo le donne siano in grado di far crescere ed evolvere le aziende. Ritengo invece che la presenza di donne in maniera paritetica (in ruoli e settori) in un’azienda sia un’ottima cartina di tornasole per capire se veramente ci siano le basi per la gestione dell’innovazione, per l’integrazione del diverso e l’accettazione di pensiero laterale (vedi: E. DeBono): tutti fattori che rappresentano il fondamento di ogni evoluzione graduale e controllata.
Ciò che è necessario nella vita lavorativa è semplicemente quello che si dovrebbe fare anche nella vita privata: uomini e donne devono imparare a fare insieme. Il tempo in cui l’uomo lavora e la donna gestisce la famiglia non ha più senso, almeno nell’attuale modello di vita occidentale, per tutta una serie di motivi legati al costo della vita, alla soddisfazione personale, alle nuove forme di famiglia e così via.
Inoltre, ormai la vita lavorativa e la vita familiare sono separate da una linea di confine sempre più sottile: strumenti per lavorare in mobilità, soluzioni di smart working, per esempio, portano verso un’entropia di vita che non permette più di avere luoghi separati sia fisicamente sia mentalmente.
Dobbiamo abituarci all’evoluzione e al cambiamento, ma invece di subirlo vi consiglio di governarlo. Facciamolo. Insieme.


DIRIGENTI, SOLO IL 16% È DONNA

Il documento Ania relativo al livello occupazionale evidenzia che a fine 2016 il personale amministrativo, di produzione e dei call center vedeva 45.044 occupati di cui il 48% donne. Ottimo. Peccato che delle 1.285 figure dirigenziali solo il 16% fosse donna!
I motivi sono sicuramente tanti e giustificati, anche perché il turnover dei dirigenti non può essere effettuato da un giorno  all’altro. Inoltre è da evidenziare che nel 2014 la percentuale era del 13,9%, e quindi il processo di riequilibrio è già avviato.
Difficile inoltre verificare e confrontare i livelli retributivi: su questo punto possiamo solo farci delle idee (più o meno scomode), ma il caso Bbc citato inizialmente ha riaperto la discussione.
Certamente a Londra il tema è più ampiamente affrontato e, anzi, per certi versi anche più evoluto: il settore assicurativo inglese dal 2017 ha promosso il Dive in festival (basta digitare nel motore di ricerca e si arriva al sito) per l’inclusione della diversità in senso più ampio: dalla diversità di genere, a quella di orientamento sessuale, a quello religioso fino a quello fisico e mentale. Uno di questi momenti di incontro e sensibilizzazione è stato realizzato anche a Milano, a fine settembre 2017, ma non mi sembra che fino a questo momento abbia lasciato un particolare segno.

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