COMPAGNIE AL CAMBIO DI RITMO

All'uscita dalla crisi economica globale più lunga e pesante degli ultimi 90 anni, il settore assicurativo appare solido come sempre, un pò più dinamico ma ancora lento sull'innovazione. Pianificare il futuro sulla base della crescita è un'idea interessante, anche per i clienti

COMPAGNIE AL CAMBIO DI RITMO
Un’assicurazione più semplice, trasparente e che interagisce meglio con la clientela. Un’industry che sappia integrarsi con i settori limitrofi e che accolga la sfida dell’innovazione radicale del proprio modello di business, che non si sieda sugli allori di una solidità mai messa in discussione. Uno scenario virtuoso, possibile, forse anche probabile: certamente un auspicio.  
Più che gestire l’esistente, la presidente dell’Ania, Maria Bianca Farina, da quando è arrivata alla guida dell’associazione, ha sempre cercato di pianificare il futuro, di guardare a cosa potrebbe essere l’assicurazione per la società italiana dei prossimi anni (o anche decenni). 
Intervistata dal palco del 19esimo Annual Assicurazioni de Il Sole 24 Ore, di cui Insurance Connect è stato media partner, Farina ha parlato chiaramente della necessità di un “cambio di passo”: con il ramo vita in contrazione (-10%), il crollo dei premi Rca, la cronica asfissia del ramo danni non auto e le riforme tanto attese da parte pubblica che non arrivano, l’industry deve fare da sola. 


UN SISTEMA SOLIDO

Con 650 miliardi di euro, il risparmio assicurativo, rappresenta il 15,5% della ricchezza finanziaria delle famiglie: un trend in crescita e che, soprattutto, non ha creato problemi durante la crisi. “Gli investimenti riferibili al settore – ha ricordato Farina – nel 2016 sono stati pari a 740 miliardi, più del 40% del Pil. Ora ci viene chiesto di dare più finanziamenti all’economia reale e insieme di continuare a sostenere il debito pubblico”. 
Già perché le compagnie, nei lunghi anni della crisi economica, sono state un argine al crollo del sistema. Mentre tutte le principali agenzie di rating, Moody’s in testa, strigliavano le imprese assicurative italiane perché conservavano troppi Btp nei loro forzieri, queste hanno tirato dritto, subendo i declassamenti nonostante i fondamentali solidi. Due anni fa, Mario Greco, allora group ceo di Generali, aveva protestato platealmente contro Standard & Poor’s, chiedendo alla casa americana il ritiro dei rating. 
Ora che, anche grazie al generoso quantitative easing della Bce, il rischio Italia è ridotto al minimo e le compagnie hanno anche imparato un po’ a diversificare, il settore si ritrova con un incoraggiante livello di solvibilità al 230%, post Solvency II. 
In definitiva, all’uscita (si spera) dalla crisi economica più lunga e pesante del secondo dopoguerra, il settore assicurativo appare solido come sempre, un po’ più dinamico ma ancora lento sull’innovazione. 





L’OBIETTIVO È LA CRESCITA

Restando sui dati finanziari, è interessante anche quello che ha fatto notare Davide Corradi, senior partner e managing director di The Boston Consulting Group: “se negli ultimi cinque anni avessimo investito 100 euro in titoli assicurativi – ha spiegato – avremmo guadagnato in media il 18% l’anno contro il 16% degli altri settori. Segno che il comparto si è comportato molto bene”. Eppure la componente principale del total shareholder return (il valore complessivo creato da un’impresa) del settore assicurativo è stata in questi anni l’aumento dei multipli borsistici: in poche parole, i titoli azionari hanno sovraperformato. Sulle piazze asiatiche, secondo Bcg, le azioni sono state spinte dalla crescita delle aspettative degli investitori sulla crescita del mercato complessivo; in Europa è stata la possibilità di incassare ricchi dividendi sul breve termine a determinare l’euforia sui titoli assicurativi. 
“Ma a 10-20 anni – si è chiesto Corradi – cosa guiderà veramente la creazione di valore? Secondo noi, il multiplo sarà molto meno rilevante della crescita dei fondamentali: ecco perché il settore deve pensare alla crescita. Gli italiani sono interessati alle polizze: una percentuale tra il 30% e 40% ha considerato di acquistare un prodotto ma non l’ha fatto perché il valore aggiunto che percepiva in realtà era troppo basso: gli assicuratori – ha concluso – non sono ancora i campioni del mondo nel riconoscere cosa guida le scelte dei consumatori”.





FARE ESPERIENZE PER CREARE COMPETENZE

Insomma si torna sempre lì: un settore che non capisce i clienti non ha un grande futuro, anche se i suoi fondamentali sono solidi e produce valore per gli azionisti. In Italia, la cosa è sentita più che in altre economie mature, perché il ramo danni sul Pil vale la metà rispetto alla media dei principali Paesi europei: “una società meno protetta – ha sottolineato Farina – non libera risorse per lo sviluppo”. 
La verità è che tra tecnologia e investimenti sul welfare ogni player assicurativo ha la propria strategia ma nessuno sa realmente quale sarà il modello vincente: ecco perché il lavoro principale in questa fase è fare esperienze per creare competenze.
Quello che Camillo Candia, country ceo di Zurich Italia, ha definito “rischio di commoditizzazione” riguarda qualsiasi industry che approccia la rivoluzione industriale in corso. “Bisogna differenziarsi non solo in base al prezzo – ha precisato il top manager – ma rivoluzionare il customer journey: una sfida anche tecnologica che non dev’essere però fine a se stessa”. La digitalizzazione disintermedierà le mansioni a basso valore aggiunto ma, ha continuato Candia, “l’esigenza di consulenza resta e la si vede con il grande successo delle reti di promotori finanziari, la cui consulenza è considerata come un decisivo plus”. 


IL MASSIMO È SEMPLICE

Ormai i clienti sono come fiocchi di neve in una nevicata: sembrano tutti uguali ma in realtà sono tutti diversi. C’è chi va più sul prezzo e chi vuole più attenzione. 
“Occorre trovare strumenti da mettere a disposizione della propria rete per coprire i bisogni di tutti i clienti”, ha sottolineato Maurizio Cappiello, dg di Poste Vita e ad di Poste Assicura. “Dobbiamo vendere – ha precisato – librerie di garanzie: come possiamo farlo se non capiamo le necessità dei consumatori?”
Secondo Leonardo Felician ad di Genialloyd, superata la fase in cui la tecnologia è servita solo per risparmiare, “occorre utilizzarla per segmentare meglio i target e seguire tutti in maniera personalizzata”. L’assicurazione deve trovare una nuova interfaccia semplice, che nasconda la propria complessità: “il massimo del servizio – ha detto Felician – è la semplicità”.
 

FARSI SCEGLIERE

Oggi, però, il problema della competizione assicurativa non si gioca tanto su chi è più avanzato tecnologicamente: parlando sinceramente, almeno i grandi player non hanno certo difficoltà a procacciarsi le tecnologie più avanzate: “il problema oggi – ha sostenuto Marco Sesana, country manager di Generali Italia – è di rilevanza nelle scelte del cliente”. Cioè come fare per farsi scegliere. 
Questo è un tema che nemmeno il netto calo dei premi auto ha influenzato. “Un tempo si diceva – ha commentato Luca Filippone dg di Reale Mutua – che i premi auto fagocitassero i budget assicurativi degli italiani, cioè quella teorica quota di spesa dedicata all’assicurazione oltre la quale i consumatori non erano disposti ad andare: ma non era così, perché stiamo vedendo che, nonostante sei anni di calo del premio medio, quei risparmi non sono confluiti in altre polizze”. Il welfare può essere il futuro dei ricavi assicurativi solo se le compagnie riusciranno a convincere gli italiani a prevedere e programmare il proprio benessere, mostrando loro che già ora spendono privatamente, ma in modo scoordinato, una gran quantità di risorse. 

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