SIAMO SOLO ALL'INIZIO

La strada verso questa tecnologia è ancora lunga. E richiede un ripensamento dei modelli di business e dei processi operativi, oltre che uno sforzo economico - finanziario importante. Un aiuto potrebbe arrivare dall'avvio di progetti pilota su nuovi settori: con l'ottica di sperimentare

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👤Autore: Laura Servidio Review numero: 21 Pagina: 50 - 54
La quantità di momenti in grado di produrre informazioni, nella nostra vita, si è notevolmente accresciuta: basti pensare che ogni giorno manipoliamo il nostro cellulare in media oltre 200 volte e che la nostra automobile, così come la nostra casa, possono generare dati 24 ore al giorno. Parliamo di big data ovvero di un’elevata mole di informazioni strutturate e non strutturate  in grado di supportare le attività e le decisioni di business. Uno strumento di cui anche il settore assicurativo ha bisogno per fare un salto di qualità ed essere più competitivo ed efficiente. 





“I big data – conferma Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategie aziendali Sda Bocconi – servono a ridurre le asimmetrie informative e a indirizzare il moral hazard, rendendo più competitivo ed efficiente il mercato assicurativo: solo le compagnie che utilizzeranno i big data, sviluppando un percorso di apprendimento delle abitudini del consumatore in grado di generare tariffe ottimali sui diversi rischi, potranno sopravvivere”.

Un primordiale esempio di big data è rappresentato dalla scatola nera, che determina il profilo di rischio e quindi il prezzo di una polizza. Ma anche nel life, le informazioni sulla vita intellettuale, spaziale e temporale degli utenti (mezzo di trasporto utilizzato, tipo di alimentazione, luogo di residenza, stili di vita ecc.), sono fondamentali. 
“Le imprese assicurative – avverte Carlalberto Crippa, managing consultant di Capgemini Italia, Insurance Practice – dovranno affrontare il tema dei big data non solo da un punto di visto tecnologico, ma soprattutto organizzativo e di processo, sviluppando nuove competenze e skill, anche in partnership con provider specializzati, integrando in modo dinamico e tempestivo, la nuova operatività con le informazioni generate attraverso i flussi informativi e valorizzando al massimo i dati interni, già oggi disponibili sui sistemi transazionali e di Crm, spesso non pienamente utilizzati, ma indispensabili per interpretare al meglio i big data”.


IL RISCHIO DISCRIMINAZIONE

Naturalmente l’utilizzo di questa tecnologia comporta una serie di problematiche “che – spiega Maffè – vanno dalla tutela della privacy alla discriminazione, laddove le assicurazioni, proprio utilizzando queste informazioni, arrivano a negare la sottoscrizione di polizze, come già avviene nel settore sanitario”. 
Altro problema, quello economico: la gestione dei big data richiede importanti investimenti in tecnologia, per le fasi di raccolta, storage e analisi. “Le nostre assicurazioni – avverte il docente Sda Bocconi – sono ancora focalizzate nella vendita di polizze standard, ovvero commodity, che, per loro natura, non sono basate su metadati specifici; viceversa, è necessario puntare su algoritmi assicurativi che utilizzano big data e analytics: ma questo richiede grossi investimenti”. Che, tuttavia, a livello globale, risultano in crescita, con un tasso annuo del 18%, nettamente superiore al livello di crescita dell’IT spending complessivo nell’industry assicurativa (intorno al 5%). 





IL PRICING: INDIVIDUALE E DINAMICO

L’applicazione dei big data avrà i suoi effetti più significativi su tre aree principali: l’innovazione di pricing, la gestione del sinistro (fraud detection e loss prevention) e la customer relationship management. “Nel processo di pricing – spiega Crippa – i big data possono consentire una migliore profilazione del rischio, con benefici attesi superiori ai cinque punti percentuali di combined ratio. In particolare, le logiche di prezzo stanno evolvendo sulla base di tre fenomeni: dal concetto di gruppo e collettività, al pricing per l’individuo (basato sul rischio del singolo); dalla logica looking back, basata esclusivamente su serie storiche e sulla sinistrosità passata, alla logica looking forward, che utilizza l’analisi in tempo reale dei comportamenti del cliente (con prodotti assicurativi cosiddetti usage-based); da prezzi statici, definiti su base annuale, a prezzi dinamici o in continuo, tarati su periodicità molto più brevi e che considerano l’evolversi del profilo di rischio dell’assicurato”.
Già nel prossimo biennio, la maggior parte dei progetti di revisione del pricing prevedrà l’integrazione con soluzioni di big data. “Alcuni esempi – conferma Crippa – sono già realtà: in Nord America, una compagnia ha inserito nell’assicurazione casa alcune variabili di prezzo direttamente dipendenti dalla geolocalizzazione di dettaglio dell’edificio (il rischio di furto è correlato al livello di isolamento della casa, il rischio di atti vandalici all’immediata vicinanza a luoghi di aggregazione notturna); e nella bancassicurazione sono state dimostrate correlazioni tra livello di rischio delle polizze auto e i comportamenti desumibili dai dati bancari del cliente:  ritardi nei pagamenti, esaurimento del massimale della carte di credito o di debito.





OCCHIO ALLA FRODE

Nella gestione del sinistro, i big data possono essere applicati all’antifrode per migliorare la capacità di identificare tempestivamente sinistri fraudolenti, con un beneficio atteso sul combined ratio di circa due punti percentuali. “In ambito antifrode – spiega il responsabile di Capgemini Italia – l’utilizzo dei big data fa riferimento principalmente all’analisi in tempo reale delle reti sociali, per identificare connessioni e relazioni tra individui coinvolti, a differente titolo, in un sinistro e dei dati sulla dinamica dell’evento, provenienti, ad esempio, da applicazioni della telematica (scatole nere sui veicoli) o da informazioni circa le condizioni meteo al momento del sinistro (tramite banche dati esterne)”.
Infine, sui processi di customer relationship management, è possibile ottimizzare la customer experience del cliente e migliorare le performance di cross-selling e di customer retention. “Qui le imprese assicurative – sottolinea Crippa – dovranno saper reinterpretare l’esperienza di successo di realtà come Amazon, sfruttando la piena integrazione tra i canali digitali, i social media e le reti distributive fisiche”.





UN RITARDO PERICOLOSO

Nonostante le enormi potenzialità di questa tecnologia, ad oggi, sono pochi gli assicuratori in grado di utilizzarla efficacemente. “Al di là dei grandi player di internet, che possiedono gli skill tecnico-analitici più evoluti – rivela Maffè – in campo assicurativo, a essere più avanti sono le compagnie dirette, consapevoli del fatto che solo chi si occupa di big data potrà competere con successo. L’utilizzo di questa tecnologia incide, ancor prima e ancor di più che sulla gestione dei sinistri, sulla scelta attuariale, sull’analisi del rischio, sulla correlazione tra gli eventi e sulla predisposizione al rischio. Tutto ciò è applicato al cliente creando, non più la semplice polizza predefinita, ma un vero e proprio algoritmo inserito in una proposta contrattuale adattiva e in continuo mutamento, sulla base della mappatura dell’assicurato. In particolare, sul sinistro, il discorso è lampante: la ricostruzione ha già la sua storia, su cui il cliente non può barare e lo stesso sinistro diventa parte integrante del processo di raccolta dati”.
Generalmente, però, le nostre assicurazioni continuano a considerare i dati alla stregua di moduli da compilare e di statistiche da analizzare. “Bisogna smontare l’intero sistema e mettere l’impresa al servizio del flusso informativo. Un esempio interessante – conclude Maffè – è quello del car sharing, dove il modello assicurativo è stato ripensato arrivando a produrre una tariffa omnicomprensiva di 25 centesimi al minuto, grazie all’applicazione della geolocalizzazione su massimali e franchigie. Il consiglio, dunque, è quello di iniziare con progetti sperimentali sugli slow big data, proponendo nuovi business che nascano direttamente sui big data senza dover cannibalizzare l’offerta esistente: la formula deve essere quella del learning by doing”. 




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