TASSAZIONE AGEVOLATA

Le imprese che scelgono di puntare sul welfare aziendale possono usufruire di alcuni vantaggi tributari. La legislazione sul tema, però, va estesa e precisata, con un approccio di ampio respiro che, finora, è mancato

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👤Autore: G.R. Review numero: 15 Pagina: 56-57
Si chiama leva fiscale ed è un meccanismo tanto semplice quanto vantaggioso: se l’imprenditore versa al dipendente un contributo per una forma di remunerazione non monetaria, quel contributo godrà di una tassazione agevolata. È questo il valore aggiunto degli employee benefits, la cui fiscalità favorevole è precisata dagli articoli 51 e 100 del Testo unico delle imposte sui redditi. “Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi” recita in maniera esplicita l’incipit dell’articolo 100 del Tuir. Dall’assistenza sanitaria al sostegno per l’istruzione dei figli, fino agli abbonamenti a teatro e alla palestra, ecco dunque alcuni dei benefici che le imprese possono offrire ai dipendenti, godendo di uno sconto in termini di tassazione. “La prima grande azienda ad approfittare in maniera estesa di questi vantaggi fiscali è stata Luxottica nel 2011 – spiega Federica Rambaldi, dello studio legale Jenny.avvocati, tracciando una rapidissima storia di come la leva fiscale ha aiutato la diffusione degli employee benefits in Italia –. Da allora, anche per spirito di emulazione, si è registrata una generale crescita dei servizi offerti ai dipendenti nelle imprese italiane”. In questo modo, seppur in ritardo rispetto alle realtà anglosassoni, il welfare aziendale ha iniziato a diffondersi anche nel nostro Paese. Almeno tra le imprese più grandi, ai cui dipendenti sono offerti servizi sempre più vari che vanno al di là dei benefit già previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro. “I servizi sono davvero molto eterogenei, vanno dalla sanità all’istruzione passando per lo svago o il sostegno alla maternità per le donne – continua Rambaldi –. In alcune aziende, il datore offre persino un sostengo per eventuali controversie giudiziarie affrontate dai propri dipendenti”. 





I LIMITI ATTUALI

In un periodo storico in cui lo Stato può destinare sempre meno risorse all’assistenza pubblica, la fiscalità agevolata si configura come uno strumento estremamente importante per diffondere la cultura del welfare aziendale. In questo senso, tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga. “Ciò che è stato fatto finora è un primo passo – sostiene Federica Rambaldi – ma è chiaro che le norme tributarie a favore degli employee benefits vanno implementate, aumentando quantitativamente e qualitativamente gli ambiti di deducibilità fiscale e precisando con più attenzione i casi in cui è possibile applicare la tassazione agevolata”. Un esempio concreto: le attività ricreative che le imprese possono far rientrare nell’insieme degli employee benefits non sono ancora definite in maniera del tutto chiara dalla legislazione. E questa mancanza normativa, non consentendo alle imprese di conoscere tutti i casi in cui è possibile ottenere i vantaggi fiscali, frena la diffusione del welfare aziendale. “In generale – conferma Rambaldi – esiste un margine di discrezionalità troppo ampio, che disincentiva molti datori di lavoro dal puntare con forza sugli employee benefits”. 



Il futuro

Oggi in Italia lo strumento degli employee benefits è utilizzato soprattutto nelle grandi aziende, mentre tarda a diffondersi tra le piccole e medie imprese, dove (fatta eccezione per l’assistenza sanitaria) i sistemi di retribuzione non monetaria sono spesso messi in secondo piano. Secondo Federica Rambaldi, dello studio legale Jenny.avvocati, affinché la cultura del welfare aziendale cresca, è necessario un approccio politico più attento: “da parte del legislatore deve aumentare la consapevolezza che il welfare va preservato con forme integrate di intervento pubblico e privato. Del resto, appare oramai evidente che, in futuro, la spesa statale non potrà che ridursi”. A questo punto, dunque, non sono solo necessarie norme tributarie più chiare, ma è bene organizzare una politica complessiva di ampio respiro. “Per governare un settore strategico come questo, non basta un decreto fiscale, ci vuole una legislazione sistematica che faccia un vero salto di qualità – precisa Rambaldi –.  In questo senso, ovviamente, un clima politico instabile non aiuta a intraprendere un percorso normativo chiaro”. La parziale debolezza del legislatore, tuttavia, è stata finora compensata dal dinamismo dei player privati, che propongono sul mercato soluzioni di welfare aziendale sempre più eterogene: “gli operatori del settore negli ultimi anni si stanno dando molto da fare – conclude Rambaldi – e questo dovrebbe servire da incentivo per una legislazione altrettanto innovativa e attenta”.

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