IL MONDO SOSPESO IN UNA STABILE FRAGILITÀ

L’attuale stato di perdurante crisi ha demolito le certezze di una interconnessione globale positiva e va verso nuovi scenari da definire. Per le imprese significa dover impostare strategie nei rapporti con l’estero che guardino con attenzione ai contesti locali, dove situazione economica, tensioni interne, geopolitica e rischi climatici possono influire sulle relazioni commerciali

IL MONDO SOSPESO IN UNA STABILE FRAGILITÀ
👤Autore: Maria Moro Review numero: 102 Pagina: 18-20
Il 2023 è il quarto anno consecutivo che si apre con una prospettiva di incertezza per i paesi, per le persone e le imprese. Negli ultimi anni si è passati dall’emergenza della pandemia alla guerra in Ucraina, eventi che hanno rafforzato o dato origine a scenari di crisi delle materie prime, dell’energia e dei beni alimentari; l’inflazione ha raggiunto livelli impattanti e si è assistito a una retromarcia delle politiche monetarie espansive. Parallelamente a tutto questo, gli eventi climatici estremi continuano ad avere un peso notevole sulle perdite umane e materiali. I fattori descritti portano con sé un elemento di relativa novità epocale, costituito dal fatto che a causa dell’interconnessione globale gli scenari di area determinano conseguenze allargate a tutto il pianeta.
Per le imprese, l’interazione con i mercati a livello globale richiede a monte uno studio di strategie basate su una elevata conoscenza delle situazioni e dei rischi.
A questo obiettivo intende rispondere la Mappa dei rischi pubblicata online anche quest’anno da Sace, che prende in considerazione alcuni elementi di potenziale perturbazione come il rischio di credito, di stabilità politica e sociale, e l’esposizione a minacce climatiche. 
In linea generale, il contesto è definito come una “fragile stabilità”. Secondo le valutazioni di Oxford Economics, a livello mondiale, l’inflazione è stimata indicativamente al 5,3%, in calo rispetto al 2022, mentre la crescita del Pil mondiale subirà un rallentamento e passerà dal +3% dello scorso anno a +1,3%, oltre 2 punti percentuali in meno rispetto alle proiezioni pre-guerra ma in calo anche sulle stime più recenti. Tutto questo in un contesto di scambi internazionali sostanzialmente stabile, atteso a -0,7% dopo il +5,1% del 2022: il commercio di beni subirà un rallentamento atteso dopo il positivo effetto rimbalzo degli ultimi due anni, ma risentirà anche di una domanda più debole influenzata dagli effetti dell’inflazione.



ALLA RICERCA DI UN NUOVO EQUILIBRIO MONDIALE

Lo scenario ipotizzato rappresenta una visione intermedia tra la possibilità di un peggioramento (esito soprattutto di un eventuale aggravamento del conflitto in Ucraina) e un più probabile miglioramento influenzato da una normalizzazione più rapida delle condizioni di offerta globali, che porterebbero a una riduzione dell’inflazione e a una crescita della fiducia di imprese e consumatori: in questo caso il Pil mondiale potrebbe attestarsi a +2,2% e l’inflazione al 4,6%.
Il filo conduttore dell’analisi è quello degli effetti attuali di un repentino cambiamento di paradigma, accelerato dalla crisi ucraina dopo che già la pandemia aveva provocato i primi scossoni. In poco tempo si è passati da uno status quo di pacifica e fruttuosa interdipendenza globale a una situazione di incertezza, in cui si punta alla ricerca di un nuovo, difficile, equilibrio. 
In questo scenario, il rischio di credito si presenta come stabile; peggiorano invece i rischi geopolitici e i rischi di violenza socio-politica per ragioni interne ai paesi, ma anche come riflesso delle difficoltà economiche globali; in peggioramento i rischi derivanti dal clima.

RISCHIO DI CREDITO IN LINEA CON GLI ULTIMI ANNI

Il rischio di credito, inteso come sovrano, bancario o corporate, si presenta complessivamente stabile. Secondo il report di Sace, su 194 paesi analizzati in 72 casi (che rappresentano il 53,5% dell’export italiano di beni nel 2021) gli indicatori di rischio credito restano stabili, in 65 paesi (34,5% dell’export 2021) si assiste a un peggioramento, in 57 (12% dell’export 2021) a un miglioramento. 
In genere i paesi avanzati mostrano un profilo di rischio invariato, con miglioramenti per le componenti sovrana e bancaria, è il caso prevalente nell’Europa Occidentale, mentre l’Europa emergente e l’area Csi risentono più direttamente della guerra russo-ucraina e della crisi energetica; molto critica la situazione per i paesi belligeranti. Al contrario, in Medio Oriente i paesi produttori di fonti energetiche hanno tratto un beneficio per le finanze pubbliche dall’aumento dei prezzi. 
In chiaro-scuro la situazione in Asia, dove a un livello di sicurezza o di miglioramento in alcuni paesi (tra cui India, Vietnam, Corea del Sud) si contrappongono situazioni critiche, mentre in Cina e in Thailandia i rischi bancari e corporate sono influenzati da un elevato livello di debito privato.
In America Latina i sistemi produttivi sostengono le economie di Brasile e Messico, migliorano le posizioni sul debito di Argentina, Portorico e Belize, resta critica la posizione del Venezuela.
Peggiorano nel complesso i paesi dell’Africa, in cui anche chi potrebbe godere di una posizione di forza per le materie prime e l’energia risente di un clima interno di tensione. 



IL PESO DELL’INFLAZIONE E DELLA CRISI ENERGETICA 

Il rischio politico risente delle crescenti tensioni geopolitiche e si mostra tendenzialmente in crescita: sui 194 paesi presi in considerazione, 88 vedono un peggioramento del livello di rischio, 71 sono stabili e 35 migliorano.
Le tensioni collegate alle materie prime e all’energia sono all’origine un po’ ovunque della crescita del rischio di esproprio ma anche di violenza e disordini civili come reazione all’aumento generalizzato dei prezzi, soprattutto nei paesi più poveri. 
In Europa la situazione complessiva del rischio politico risente pesantemente del conflitto in Ucraina. Lo stato di crisi non riguarda solo i paesi coinvolti direttamente, ma con differenti gradi tutti quelli dell’Europa dell’Est e dell’area Csi, con il riacutizzarsi di tensioni prima solo sopite (area balcanica in particolare). 
Se in Asia la situazione è generalmente stabile, i paesi dell’America Latina risentono di tensioni politiche e della polarizzazione socio-economica. In Africa a una situazione diffusa di conflitti interni e di povertà si aggiungono gli effetti della mancanza di materie prime alimentari.

LE PESANTI RICADUTE DEGLI EVENTI CLIMATICI SUL LIVELLO DI RISCHIO 

Per valutare il panorama di rischio delle organizzazioni impegnate sui mercati esteri va affrontato anche il tema delle minacce climatiche, che è sempre più presente nelle valutazioni del rischio d’impresa. 
Il clima avverso porta effetti diretti sui beni in caso di alluvioni e tempeste, mentre colpisce le persone, e quindi influenza il contesto sociale, nei casi di siccità impattando sulla produzione agricola. Va poi considerato il nesso tra effetti del clima e produzione di energia, correlata alla produzione industriale.
In collaborazione con Fondazione Enel, Sace ha approfondito gli scenari di rischio climatico per le diverse aree geografiche. Secondo le analisi, negli ultimi due anni si è registrata una crescita media del 10% dei danni economici prodotti da eventi climatici estremi, ma in maniera non omogenea a livello globale.
In Europa i maggiori rischi sono legati all’allungamento dei periodi di siccità. L’area del Mediterraneo è la più esposta a fenomeni di forte calore e di tempeste. Le geografie più critiche sono l’Asia orientale, l’Australia, l’Africa subsahariana, centro America e Caraibi; in peggioramento la scarsità idrica in Medio Oriente e Nord Africa.
La valutazione dettagliata del rischio climatico diventa fondamentale in una visione olistica, che considera come tutti i rischi, calati in una situazione locale specifica, siano in realtà interconnessi.

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