UN TASSELLO DEL WELFARE AZIENDALE

Il lavoro agile rientra a pieno titolo nelle misure da mettere in campo a favore del benessere dei lavoratori. Ne è convinto Fabio Galluccio, socio e advisor di Jointly, che spiega in che modo lo smart working può incidere sulla qualità della vita, e quali resistenze vanno superate affinchè la sua applicazione sia davvero efficace

UN TASSELLO DEL WELFARE AZIENDALE
👤Autore: Beniamino Musto Review numero: 52 Pagina: 40
Incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia. È questo l’obiettivo insito nelle misure di welfare aziendale, definizione sotto cui si riuniscono tutte le iniziative disposte in tal senso dalle aziende. E che sta diventando sempre più un punto fondamentale di ogni realtà lavorativa, indipendentemente dal settore di riferimento.  Anche lo smart working può rientrare a pieno titolo nel novero delle misure per sostenere la qualità di vita dei dipendenti. Secondo Fabio Galluccio, socio e advisor di Jointly (società che offre servizi di progetti per il benessere delle persone), welfare aziendale e lavoro agile “sono due concetti strettamente connessi perché tutte le misure di welfare aziendale vanno nel senso di una conciliazione tra vita privata e vita lavorativa. Quindi direi che lo smart working rientra a pieno diritto all’interno del welfare aziendale”. 
Galluccio elenca le molte “ripercussioni positive” del lavoro agile sul più ampio scenario del welfare aziendale, “dove si cerca di intervenire soprattutto sul benessere delle persone”. E poter lavorare da casa è una delle soluzioni che permettono di creare le condizioni per questo benessere. “Questo agevola in primis tutti quei lavoratori che hanno una mobilità limitata o complessa come ad esempio i pendolari, le persone che hanno  figli a carico, o in ogni caso tutti coloro che hanno delle situazioni familiare complesse da gestire”. 


DALLE STANZE ALL’OPEN SPACE

Le aziende italiane, soprattutto quelle di grandi dimensioni, stanno lavorando su questo fronte ormai da molti anni. Secondo l’advisor di Jointly, lo smart working non va più inteso con l’accezione di telelavoro, seguendo una forma mentis spesso in voga negli anni passati, che contrapponeva il lavorare da casa al lavorare in ufficio. “Oggi lo smart working è una soluzione in cui il lavoratore, secondo gli accordi che ogni azienda ha messo in campo, lavora per un certo numero di giorni da casa e altri giorni in ufficio. Alcune realtà di grandi dimensioni offrono anche la possibilità di lavorare presso varie sedi che l’azienda ha sul territorio, quando esse sono molto più vicine al domicilio del lavoratore”. Alcune multinazionali stanno lavorando anche sul layout dei propri spazi interni. “Spariscono le stanze a favore dei grandi open space, all’interno dei quali le persone lavorano in maniera smart, utilizzando il proprio pc portatile, condividendo la scrivania con altri e cambiando postazione all’occorrenza”.
 

I MANAGER DIANO L’ESEMPIO

Lo smart working non è una strada in discesa. Le resistenze esistono ancora. In primo luogo, spiega Galluccio, bisogna cambiare la cultura dei manager: “devono saper organizzare meglio il proprio lavoro, imparando a ragionare di più per obiettivi e meno sul controllo quotidiano misurato con la presenza fisica del lavoratore”. Sono gli stessi capi i primi a dover sperimentare il lavoro agile: “l’esempio deve venire sempre dall’alto. Se i capi si ostinano a essere sempre in ufficio – osserva Galluccio – la cultura aziendale sarà molto difficile da cambiare. Serve una forte formazione, capacità di misurazione degli obiettivi e non solo delle presenze fisiche, e una flessibilità organizzativa molto più forte. La maggior parte dei manager è portata a voler avere sempre vicino a sé i propri dipendenti, come una chioccia con i propri pulcini”. Doverli valutare attraverso obiettivi che vanno misurati periodicamente per alcune realtà può significare un cambiamento epocale.
 

LA FLESSIBILITÀ NON È A SENSO UNICO

Secondo Galluccio, lo smart working può facilitare le persone nell’essere molto più produttive “perché il lavorare da casa, o in luoghi di co-working che permettono di uscire dal recinto delle abitudini, aiuta il dipendente ad avere una maggiore concentrazione: si è meno distratti dalle riunioni o dal parlare con i colleghi, e quindi le ore lavorative sono molto più intense”.  Certamente lo smart working non è adattabile a ogni contesto, ed è quasi impossibile da introdurre nel mondo della produzione manifatturiera e industriale. E non sono poche le insidie. “Quelle maggiori – afferma l’advisor di Jointly – riguardano la formazione delle persone relativamente alle modalità di lavoro che vanno cambiate”. C’è il rischio di arrendersi di fronte alle prime difficoltà, quando si constata che non tutto va per il verso giusto. “Ovviamente ogni processo va collaudato e seguito con misurazioni costanti – aggiunge Galluccio – ed è chiaro che bisogna tener in considerazione che molte persone sono state abituate per anni alla timbratura del cartellino e alla presenza fissa in ufficio”. Ci possono essere casi di spaesamento. Perché c’è chi vede nell’uscire di casa ogni giorno e confrontarsi di persona con i colleghi un fatto positivo. “Ma infatti – precisa Gallucio – lo smart working non significa lavorare da casa cinque giorni su cinque”. Va trovato un punto di equilibrio caso per caso. “Bisogna passare gradualmente – conclude l’advisor di Jointly – dal concetto di azienda gerarchica allo smart working e convincere i lavoratori che la filosofia dell’azienda, quella della flessibilità, non può essere una misura a senso unico”.

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