CORONAVIRUS, VOCI DALLA PRIMA LINEA

Medici, infermieri e operatori sanitari stanno affrontando una crisi senza precedenti. Mancano strumenti adeguati per prevenire il contagio e tutelare la salute di chi cura i pazienti: più di 150 professionisti sono deceduti a causa del Covid-19. Adesso il settore chiede interventi per evitare che l’emergenza sanitaria si trasformi in un’emergenza giudiziaria

CORONAVIRUS, VOCI DALLA PRIMA LINEA
Il servizio sanitario nazionale in Italia è arrivato totalmente impreparato alla pandemia di coronavirus. Medici, infermieri e operatori sanitari si sono ritrovati a fronteggiare senza strumenti adeguati un virus che a due mesi esatti, dalla scoperta del cosiddetto paziente 1 di Codogno, aveva già contagiato oltre 187mila persone e mietuto quasi 25mila vittime. Di tutto quello che poteva servire per affrontare l’emergenza, dai piani pandemici ai dispositivi di protezione individuale, non c’era quasi traccia. L’intera gestione della crisi è stata pertanto lasciata alla sola professionalità di coloro che lavorano ogni giorno a stretto contatto con i pazienti. E che, proprio per questo, stanno pagando un conto salatissimo alla pandemia di coronavirus: stando al drammatico bollettino tenuto dalla Fnomceo (Fe­derazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), più di 150 professionisti della sanità sono morti a causa del Covid-19.
“Per usare la metafora bellica tanto in voga in questo periodo, si può dire che medici, infermieri e operatori sanitari sono stati mandati in prima linea senza alcun tipo di protezione”, afferma Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao Assomed. “Chi è stato chiamato ad affrontare l’emergenza nelle fasi iniziali della pandemia, quando ancora non si conosceva nemmeno il pericolo a cui si andava incontro, ha corso dei rischi enormi: stiamo parlando – prosegue – di una patologia molto aggressiva che, oltre alla morte, può provocare danni permanenti come insufficienza respiratoria e fibrosi polmonare”. Il risultato è che attualmente il livello di contagio fra medici, infermieri e operatori sanitari in Italia risulta il più alto al mondo.



POCA SPESA SANITARIA

Per comprendere le ragioni di questa emergenza bastano dei semplici numeri: in Italia non si spende abbastanza in sanità. Secondo i dati pubblicati a fine marzo da Eurostat, la spesa sanitaria in Italia arriva a circa 2.535 euro a persona: meno della media europea fissata a 2.887 euro, meno della metà di quanto riescono a spendere Svezia (5.206 euro), Danimarca (5.134 euro) e Lussemburgo (5.083).
Eppure, come hanno ripetuto a più riprese i vertici istituzionali, la spesa sanitaria in Italia è cresciuta negli ultimi anni: dal 2001 al 2019 è passata da 71,3 a 114,5 miliardi di euro, con leggere e solo momentanee flessioni imputabili principalmente alle fasi di crisi che il nostro Paese è stato chiamato ad attraversare negli ultimi tempi. Già, peccato però che a volte anche i numeri ingannano. “Dal 2010 al 2019 – dice Palermo – si sono registrati incrementi a un ritmo medio annuo dello 0,9%: nello stesso periodo, a fronte di un’inflazione generale intorno all’1%, l’inflazione in ambito sanitario è cresciuta a un ritmo del 2-2,5%”. Tutto ciò si è tradotto in meno risorse per offrire prestazioni sanitarie essenziali ai cittadini. “Nell’ultimo decennio si sono persi circa 45mila posti letto e 46mila addetti, di cui quasi 10mila medici”, aggiunge. La mancanza di risorse è diventata immediatamente evidente con l’inizio della pandemia. Alla vigilia della crisi in Italia si contavano appena 5.300 postazioni di terapia intensiva: in Germania, giusto per avere un’idea, ce ne sono 28mila.

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AVVISAGLIE DEL TUTTO IGNORATE

La pandemia di coronavirus ha colto un po’ tutti di sorpresa. Non si può però dire che in passato non ci fossero state avvisaglie di quello che un’emergenza sanitaria avrebbe potuto provocare. Il 2003 è stato l’anno della Sars, poi vennero la Mers nel 2012 e l’Ebola nel 2014. Virus lontani, quasi esotici, diffusi soprattutto in Asia e Africa. C’era quasi la convinzione che qui in Europa non sarebbero mai arrivati. Ma i virus, come afferma Palermo, “al giorno d’oggi viaggiano in aereo”. E nessuno si è neppure preso la briga di prendere in considerazione il monito dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che nel 2018 parlò di una fantomatica malattia X per sollecitare le autorità nazionali a proseguire le attività di ricerca su patologie ancora sconosciute: causata da un virus nato negli animali, la malattia si sarebbe sviluppata in aree in cui le persone vivono a contatto con specie selvatiche, si sarebbe diffusa attraverso rotte commerciali e sarebbe stata inizialmente scambiata per influenza stagionale.
Tuttavia nessuno è arrivato preparato alla pandemia. “I piani pandemici sono stati completamente tralasciati”, osserva Palermo. In più, prosegue, la produzione di dispositivi di protezione individuale, a cominciare dalle mascherine, “non è stata ritenuta di importanza strategica ed è stata totalmente spostata all’estero, soprattutto in Asia: quando è esplosa la pandemia, non c’era un quantitativo sufficiente di dispositivi perché nessuno aveva provveduto a stoccarli in caso di emergenza”.



POCA TUTELA PER GLI OPERATORI

Al vertice del più rappresentativo sindacato nazionale dei medici, Palermo ha avuto la possibilità di monitorare l’evoluzione dell’emergenza fin dalle battute iniziali. “Con la scoperta del primo caso – ricorda – sono stato sommerso dalle segnalazioni di colleghi di tutta Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali, preoccupati per la mancanza di dispositivi e strumenti medici essenziali per la gestione dell’emergenza”.
A ciò si aggiungono poi alcune scelte governative che Palermo non tarda a definire “sciagurate”. Con il decreto legge del 2 marzo, per esempio, l’esecutivo ha accolto l’indicazione dell’Oms sull’idoneità delle mascherine chirurgiche per proteggere il personale sanitario. “Stiamo parlando di quelle che sono state definite le mascherine altruiste perché evitano che chi le indossa possa diffondere il contagio, ma non proteggono assolutamente chi per lavoro deve stare ogni giorno a stretto contatto con pazienti infetti”, dice Palermo. A ciò si è poi aggiunta un’altra disposizione, contenuta questa volta nel decreto legge del 9 marzo, che ha assolto gli addetti del sistema sanitario dall’obbligo di rimanere in isolamento domiciliare fiduciario in caso di contatto con pazienti affetti da Covid-19. “Ciò significa – spiega – che medici e infermieri, dopo aver lavorato con persone dichiaratamente infette, potevano tranquillamente prendere i mezzi pubblici o tornare a casa dalle proprie famiglie”. Tutto ciò, a detta di Palermo, può aver contribuito a “diffondere il contagio del virus”.

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RIVEDERE LA RESPONSABILITÀ SANITARIA

La situazione d’emergenza ha comportato anche scelte d’emergenza. “Abbiamo assistito a un processo di riorganizzazione frenetico e, a volte, anche irrazionale: ci sono stati salti di specializzazione, pediatri si sono ritrovati a fare il geriatra, e chirurghi il medico internista”, dice Palermo. Tutto ciò, com’è ben comprensibile, potrà avere ripercussioni in materia di responsabilità sanitaria. E i professionisti del settore chiedono ora misure specifiche a tutela della loro attività.
Il 23 marzo, a tal proposito, Federsanità e Fiaso insieme ad altre sigle del settore sanitario hanno chiesto al ministro della Salute, Roberto Speranza, e al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, “un contemperamento dell’eventuale colpa del terapeuta e della struttura sanitaria, pubblica e privata, e in genere dell’esercente una professione sanitaria, stante le difficoltà dell’intervento richiestogli e del contesto anche logistico e organizzativo in cui lo stesso si svolge”. Una richiesta che in questi mesi è stato più volte rinnovata. “Occorre prendere atto della situazione straordinaria che stiamo attraversando e, conseguentemente, garantire una risposta normativa, anche in termini di moratoria, congrua con il fatto di avere assicurato, sia pure con mezzi e modalità non sempre conformi ai migliori standard di sicurezza, la continuità dell’assistenza sanitaria indifferibile sia in regime ospedaliero che in quello ambulatoriale e domiciliare, durante la fase emergenziale”, ha scritto Tiziana Frittelli, presidente nazionale di Federsanità, insieme ai vertici della federazione in un contributo ospitato sul portale Quotidiano Sanità. “I manager assumono numerosissime decisioni in condizioni di estrema difficoltà e impensabili al di fuori dell’emergenza, a volte non potendo contare sulla piena disponibilità di ciò che servirebbe: qualsiasi ostacolo alla tempestività e alla qualità di queste decisioni può rappresentare un pericolo gravissimo, ma dobbiamo sentirci sufficientemente sereni e tutelati nel prenderle”, ha fatto eco in una nota Francesco Ripa di Meana, presidente di Fiaso.

UNO SCUDO GIURIDICO PER I MEDICI

La stessa cosa chiedono adesso i medici. “Serve un provvedimento ad hoc: siamo in guerra e ci servono strumenti di guerra”, dice Palermo. “Abbiamo pertanto chiesto – prosegue – uno scudo giuridico per gli operatori sanitari, che limiti al solo dolo la responsabilità penale e, in ambito civilistico, preveda la costituzione di fondi di indennizzo per procedere alla liquidazione di eventuali risarcimenti”.
Palermo auspica quindi per gli operatori sanitari un assetto giuridico diverso, definito “più moderno”: la speranza è che si possa approdare a un approccio no blame, no shame in materia di responsabilità penale, mentre in ambito civilistico si possa seguire l’esempio di Francia e Germania, che già prevedono fondi volti a tutelare l’operatore sanitario nello svolgimento della sua professione. Altrimenti, chiosa Palermo, c’è il rischio che, una volta superata questa crisi, medici e infermieri possano ricadere in “una nuova emergenza, questa volta giuridica, magari dalla durata decennale, per rispondere di quello che hanno fatto nel corso della pandemia di coronavirus”.

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