PESTE SUINA, COME ARGINARE UN’EMERGENZA SANITARIA

Scoperta in Africa nel 1921, la variante africana di questa malattia, in Europa è stata molto sottostimata fino alla fine degli anni ‘90. In Sardegna è diventata endemica, e dal 2022 si moltiplicano le segnalazioni in molte altre regioni d’Italia. Ecco quali danni (diretti e collaterali) sta causando e quali sono i metodi (efficaci o meno) per contenere l’epidemia

PESTE SUINA, COME ARGINARE UN’EMERGENZA SANITARIA
👤Autore: Cinzia Altomare Review numero: 108 Pagina: 58-61
Si sente molto parlare di peste suina e la preoccupazione riguardo a questa malattia, che colpisce suini selvatici e da allevamento, si diffonde sempre di più. Ma di quale genere di pericolo parliamo, esattamente? La Psa, o peste suina africana, è una grave infezione, molto contagiosa per gli animali colpiti che, per fortuna, non risulta essere trasmissibile all’uomo. Questa malattia è causata da un virus della famiglia Asfaviridae, genere Asfivirus, che non è in grado di stimolare la formazione di anticorpi neutralizzanti, il che rende estremamente complicato approntare contro di essa un vaccino. Il nome deriva dall’essere stata scoperta in Africa, nel 1921. 
L’infezione ha cominciato a essere segnalata in Europa dopo qualche decennio e fino alla fine degli anni ‘90 ha rappresentato un fenomeno del tutto sottostimato. È stata nel frattempo eradicata da diversi territori, soprattutto in Europa occidentale e, al di fuori del continente africano, è rimasta endemica soltanto nella nostra Sardegna. 
Tuttavia, nel gennaio del 2022 il Centro di referenza nazionale per lo studio delle malattie da Pestivirus e Asfivirus dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Umbria e Marche ha confermato la positività alla Psa di un cinghiale trovato morto in Piemonte, nella zona di Ovada. Successivamente, casi di malattia sono stati riscontrati in provincia di Roma e sono poi state trovate alcune carcasse infette anche in Calabria e Campania. In provincia di Reggio Calabria sono stati coinvolti da questa infezione anche due piccoli allevamenti domestici.

COME SI DIFFONDE LA MALATTIA

Come si è accennato, la Psa è una malattia altamente infettiva: i suini la contraggono attraverso il contatto con animali infetti e dunque con gli animali che pascolano all’aperto, come i cinghiali selvatici. Si diffonde per ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali malati, scarti di cucina e rifiuti alimentari contenenti carne infetta, incluse le frattaglie, ma anche attraverso il contatto con oggetti contaminati dal virus (come veicoli e attrezzature), e perfino attraverso i morsi di zecche infette, anche se il tipo di zecca che sembra sia causa del contagio non risulta essere molto diffuso in Europa. In pratica, la circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più rilevanti di diffusione della malattia. 
I suini mangiano veramente di tutto, come sappiamo: l’espressione ingiuriosa mangiare come un maiale deriva proprio da questo. Dunque è molto facile che i cinghiali che vivono allo stato selvatico finiscano col nutrirsi di resti di animali infetti e diffondano il virus. Quest’ultimo è dotato di una buona resistenza e può rimanere vitale anche fino a cento giorni, sopravvivendo all’interno dei salumi per mesi e resistendo alle alte temperature.  



L’ESSERE UMANO COME VEICOLO DI TRASMISSIONE

Per fortuna, questa malattia non è trasmissibile all’uomo, né attraverso il contatto diretto con gli animali malati, né per ingestione di alimenti contaminati. L’uomo, però, può rappresentare un veicolo di trasmissione, attraverso la contaminazione di veicoli, indumenti, attrezzature e cibo contenente carne suina infetta. La malattia, pur non rappresentando un pericolo sanitario per noi, ha dunque un forte impatto sul piano socioeconomico, causando ingenti perdite nel settore zootecnico. 
Le norme europee, allo scopo di eradicare e controllare la diffusione della malattia, prevedono l’abbattimento dei suini domestici nei quali è stato riscontrato il virus e il blocco della commercializzazione delle loro carni al di fuori dell’area infetta, compresa l’esportazione dei prodotti provenienti dalle aree focolaio. 
La presenza del virus nel sangue dei suini dura dai quattro ai cinque giorni: esso circola nelle cellule sanguigne, causando sintomi che conducono inevitabilmente al decesso dell’animale, spesso in tempi rapidissimi. La malattia ha effetti devastanti, con una mortalità del 90% circa sugli animali colpiti. Quelli che riuscissero a superarla, comunque, possono restare portatori dell’infezione per quasi un anno e giocano un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua trasmissione. 

IL GIRO D’AFFARI E I POTENZIALI DANNI ECONOMICI

Rispetto alla peste suina classica, la peste suina africana è causata da un virus a Dna a doppia elica, mentre la prima è portata da un virus a Rna a singola elica, appartenente alla famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus, assai meno letale. La sintomatologia nelle forme acute è uguale nelle due malattie e per tale motivo, se si dovessero riscontrare sintomi sospetti nei suini allevati, è necessario informare il servizio veterinario competente e procedere con gli opportuni accertamenti diagnostici. Nel nostro paese, il danno economico conseguente all’esportazione dei prosciutti e di altri salumi e insaccati, riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo, può essere gravissimo. Soltanto in Emilia-Romagna esistono circa 1.200 allevamenti, con oltre un milione di capi e una produzione lorda stimata in oltre 300 milioni di euro. Nell’area territoriale veterinaria di Castelnovo ne’ Monti che pare comprenda comuni con un’altissima presenza di cinghiali, esistono circa 14 allevamenti da ingrasso e otto da riproduzione.
I prodotti a base di carne Dop e Igp hanno un valore alla produzione di poco meno di due miliardi di euro e un valore al consumo pari a 4,98 miliardi. L’export vale circa 600 milioni di euro. Il 53% del fatturato nazionale relativo ai prodotti a base carne Dop e Igp derivante dalla filiera è attribuibile all’Emilia Romagna. Ora, a causa della chiusura di alcuni mercati si calcolano perdite per almeno 20 milioni al mese, per le mancate esportazioni.



SICUREZZA: IL PIANO NAZIONALE E LA SORVEGLIANZA PASSIVA

È quindi fondamentale cercare di evitare che la malattia si diffonda negli allevamenti, rispettando le norme di sicurezza previste nel piano nazionale varato a questo scopo e la sorveglianza passiva, soprattutto a livello domestico. 
Il piano opera in particolare per combattere la possibilità di contatto con gli animali selvatici, che, come abbiamo visto, sono responsabili del mantenimento del virus nell’ambiente e della sua diffusione, anche perché i cinghiali sono in grado di coprire giornalmente distanze anche lunghissime. Sono inoltre estremamente importanti la pulizia e la disinfezione da effettuare nelle aziende colpite e una corretta gestione delle norme igienico-sanitarie del personale addetto. 
Il ministero della Salute raccomanda a tutti i cittadini di informare il servizio veterinario dell’Asl competente sul territorio o la Polizia Municipale, perché possano essere tempestivamente attivate le procedure diagnostiche e si proceda allo smaltimento sicuro delle carcasse che venissero rinvenute. È possibile contribuire a diffondere l’infezione involontariamente, lasciando rifiuti alimentari in aree accessibili ai cinghiali, ad esempio. Ed è inutile sottolineare come questi animali siano ormai presenti ovunque, anche nelle città e sulle spiagge.

NON C’È UN VACCINO

Le caratteristiche del virus che causa la peste suina africana fanno sì che non sia stato possibile approntare un vaccino efficace contro questa malattia e anche le cure a disposizione non hanno fornito risultati accettabili, almeno fino a ora. L’unica possibilità di arginare la diffusione di questa vera e propria peste consiste quindi nella prevenzione e nella gestione del rischio che essa rappresenta, limitando il più possibile la circolazione dei suini infetti.
Occorre blindare gli allevamenti, anche perché l’arrivo di suini ammalati nei macelli costringe le autorità a mettere in atto provvedimenti e iniziative per scongiurare altri contagi, il che spaventa moltissimo gli allevatori, alcuni dei quali sono purtroppo tentati di non denunciare l’esistenza della malattia nelle loro stalle. Si sono già verificati alcuni casi del genere nel Pavese, il che desta molte preoccupazioni. 
Gli amministratori delle regioni più colpite insistono sul fatto che la Psa possa essere sconfitta solo con una strategia nazionale, in quanto l’infezione non conosce confini amministrativi, come dimostra la sua rapida espansione. 



LA GUERRA AI CINGHIALI

Il Governo ha così dichiarato guerra ai cinghiali, sulla base di un piano redatto dal commissario straordinario per l’emergenza Psa, Vincenzo Caputo. Il documento parla di “una riduzione significativa e generalizzata delle densità di cinghiale sul territorio nazionale” e punta ad abbattere, solo nel primo anno, 612mila animali, su una popolazione complessiva stimata tra uno e 1,5 milioni, aumentando la caccia del 96% rispetto al periodo 2019-2021 e ricorrendo addirittura all’aiuto dell’esercito. Ciò ha sollevato alcune perplessità tra gli studiosi. 
“Guardando l’esperienza di altri paesi dell’Unione Europea, chi ha cercato di controllare la peste con i soli abbattimenti ha diffuso ulteriormente il virus”, ha dichiarato in un’intervista Vittorio Guberti, esperto di Psa presso l’Ispra. Secondo Guberti, incentivare l’attività dei cacciatori nelle aree dove circola il virus ha un’alta probabilità di essere controproducente, perché la caccia al cinghiale si esercita con gruppi di cacciatori e cani, il che implica una forte spinta alla fuga da parte di questi animali. La presenza di cacciatori, cani e mezzi di trasporto nelle aree dove si trova il virus, che sopravvive a lungo anche nel terreno, presenta inoltre evidenti rischi di trasporto e diffusione. I numeri dimostrano come la caccia, finora, non sembra aver funzionato. 
Nell’arco di un anno e mezzo, dalle province di Genova e Alessandria il virus si è diffuso in Liguria e Piemonte (Asti, Cuneo, Savona), e anche in Emilia Romagna e Lombardia, soprattutto nella zona di Pavia, dove nei giorni scorsi ha fatto il suo ingresso nei primi allevamenti intensivi, oltre a raggiungere il Lazio, la Calabria, la Campania e la Basilicata. 

I RISULTATI DELLE RECINZIONI (ALL’ESTERO)

Nel 2022 l’Italia si è impegnata con l’Unione Europea a realizzare un piano di eradicazione della malattia basato sul controllo del territorio. In pratica, per impedire che il virus si spostasse per mezzo degli animali selvatici, si sarebbero dovute creare barriere e recinzioni, in grado di isolare l’area di contagio. 
Questa strategia ha portato risultati significativi in Belgio, che con 350 km di recinzioni ha debellato il virus, e in Germania, dove ingenti finanziamenti e 1.500 km di recinzioni hanno consentito di circoscrivere le aree infette lungo il confine con la Polonia, dove purtroppo il virus circola ancora. Le recinzioni in Italia avrebbero dovuto essere pronte già nel luglio del 2022, ma il Governo ha scelto di usare un’altra strategia, basata principalmente sull’abbattimento dei cinghiali, incluse le aree di circolazione virale. Questa politica, come abbiamo visto, non ha finora evidenziato alcun miglioramento e stiamo invece assistendo a un’escalation dei contagi.
Al momento, la provincia di Pavia sembra essere particolarmente colpita, al punto che la locale Agenzia per la tutela della salute ha addirittura ordinato l’abbattimento di un certo numero di maiali custoditi nel rifugio Cuori Liberi di Zinasco, gestito dalla Lav e da altre associazioni animaliste. 

Per conoscere i possibili risvolti assicurativi, chi sono i soggetti danneggiati e su chi ricadono le responsabilità, è possibile leggere l’intero approfondimento a firma di Cinzia Altomare su www.insurancetrade.it. 

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