SERVE ANCORA IL FATTORE UMANO?

Il rapido sviluppo delle applicazioni di intelligenza artificiale apre le porte a una serie di possibilità nella gestione dei processi che possono arrivare a escludere l’intervento dell’uomo. Vale per i periti come per i letterati, e potrebbe presto valere per i gruppi dirigenti. La domanda è quanto l’uomo sia sostituibile e se può esistere un vincolo legato dalla proprietà intellettuale

SERVE ANCORA IL FATTORE UMANO?
Autore: Paolo Andreoli, consigliere di Aipai Numero Review: 108 Pagina: 12-13
Durante la presentazione alla serata finale del Premio Strega 2023, è stata messa in evidenza la forte componente autobiografica che i cinque autori (quattro donne e un uomo) hanno voluto imprimere ai loro romanzi in gara, dotandoli di una forza comunicativa e un coinvolgimento percepibile dal lettore, e per questo apprezzato.
Uno dei romanzi ammesso in gara risulta postumo a causa del recente decesso dell’autrice, causato da un male inguaribile di cui racconta nel suo libro, poi vittorioso del premio.
Questo sembra indicare che autori qualificati e preparati come i finalisti, se aggiungono alle loro qualità tecniche e artistiche anche il coinvolgimento emotivo personale, cioè se si mettono in gioco rischiando in prima persona, migliorano il risultato, il racconto viene immedesimato come reale, come vissuto, e quindi maggiormente credibile.
Al contrario, le attività professionali di altre categorie, soprattutto quelle di impronta squisitamente tecnica come quella peritale, sembra che siano maggiormente considerate dai loro fruitori solo se assumono la caratteristica di estrema imparzialità, di pura applicazione tecnica, votati alla negazione del coinvolgimento emotivo, forse perché in un qualche immaginario questo atteggiamento è sinonimo di miglior risultato.

IL DATO STORICO NON SOSTITUISCE L’INTERPRETAZIONE DEL FATTO

Con questi presupposti, i tentativi di razionalizzare tali attività, catalogando i dati storici, analizzandone le tendenze, calcolando algoritmi applicativi sostenibili, sembrano essere una naturale e più efficace applicazione delle conoscenze, a favore di tutti e con la garanzia che anche le storture dovute all’innegabile errore umano siano contenute ai minimi termini.
L’uomo però non è solo soggetto a errori, è anche avvezzo all’uso dell’intelletto, con le proprie capacità e la propria esperienza, e non solo per analizzare i dati e produrre algoritmi, ma anche per entrare nel contesto dei singoli problemi e cercare migliori soluzioni.
Sembra che l’interesse comune sia quello di continuare a fornire automatiche risposte corrette, meglio definite come risposte non sbagliate, piuttosto che dedicarsi alla ricerca delle risposte giuste, o almeno condivise.
La stessa analisi dei dati storici, utilizzati per impostare automaticamente le soluzioni future, è ormai considerata da tanti una pratica anacronistica. Succedono cose sempre nuove che ciò che già sappiamo non riesce a spiegare, inaspettate perché mai successe, ma reali e incidenti nel presente molto più di quanto l’analisi dei dati storici sia stata in grado di prevedere.
Anche nella gestione dei sinistri prevalgono queste tendenze, il tutto nell’intento di disciplinare l’enorme numero di pratiche da trattare, con la necessità di tenere sotto controllo costi e tempi di gestione.
Nulla di sbagliato, ma stiamo andando nella direzione giusta o andiamo tutti nella stessa direzione e basta? L’attività professionale non è solo pura applicazione tecnica, serve attenzione e dedizione; le differenti sfumature portano a diversi risultati, ma serve saperle cogliere.

SERVE UNA RIFLESSIONE ETICA

Ora abbiamo a disposizione la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale: non solo pura applicazione delle conoscenze, ma anche apprendimento progressivo, con conseguente evoluzione del sistema.
La domanda che si pone alla riflessione comune è se il fattore umano sia da considerarsi un ostacolo o una risorsa di questo metodo. Il fatto che sia proprio l’uomo a impostare la direzione del metodo non risolve la questione. Esiste prima di tutto un tema etico, anche banalmente di liceità degli scopi proposti, tenuto conto che i sistemi di garanzia e tutela viaggiano a una velocità completamente diversa rispetto agli applicativi: non esiste una paritetica gestione del contenzioso applicabile con i medesimi strumenti, non è stata nemmeno pensata.
La profonda preoccupazione che si sta manifestando verso un massivo e invasivo utilizzo dell’intelligenza artificiale a discapito di numerosi e qualificati operatori di vari settori, sia tecnico-scientifici che letterari e umanistici, è fondata, anche perché l’occupazione di questi territori operativi da parte dell’intelligenza artificiale viene costruita sulla base delle numerose attività già svolte dagli specialisti, i quali sembrano oggi sia le armi che le vittime di questa guerra.
Inoltre, se da un lato il destino di questi numerosi operatori è fonte di attenzione per le ripercussioni sociali ed economiche, prima di tutto sui singoli, pensate quali conseguenze potrebbero innescarsi se l’intelligenza artificiale andasse a sostituire non i soli operatori, ma anche i gruppi dirigenti che prendono decisioni, con influenze su andamenti economici di mercato globali.
Il risultato a cui tendere non deve mai essere uno solo: se non fosse sostenibile socialmente, economicamente, ecologicamente, eticamente, sarebbe solo un risultato effimero, e alla lunga una sconfitta.

L’UOMO NON È UN PROCESSO

In questo il fattore umano deve poter incidere.
La velocità con cui l’uomo vive l’esistenza è un termine di sostenibilità non eludibile; non possiamo pensare di creare sistemi performanti alla velocità della luce senza tenere conto della fruibilità e dell’utilità per l’uomo: per questo la nostra sensibilità, la nostra curiosità, le nostre singole capacità non possono essere rimpiazzate, ma dobbiamo continuare a commettere quegli errori da cui da sempre abbiamo imparato, giungendo all’oggi, rivolti al futuro.
Concludo con una riflessione che mi ha sollecitato un collega.
Dall’altra parte del mondo si sta seriamente ragionando se sia lecito utilizzare l’enorme mole di dati storici relativi ai vari settori per poter sviluppare le conoscenze e la capacità dell’intelligenza artificiale, cioè se è lecito utilizzare la proprietà intellettuale dei singoli autori per fare in modo che non ci sia più bisogno degli autori stessi.
Ripropongo la questione relativamente alla nostra attività professionale di periti e se si stia utilizzando lecitamente la proprietà intellettuale dei nostri elaborati, ammesso che ne esista una rivendicabile, allo scopo di sviluppare sistemi di gestione avanzati al punto da rendere sempre meno necessari gli stessi periti.
Non sono in grado di dare risposte pertinenti sul punto, ma mi sembra utile rifletterci. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti