TUTELE PER CHI TUTELA LA SALUTE

Medici, operatori e strutture sanitarie chiedono una ridefinizione dei confini della responsabilità sanitaria. I parametri della legge Gelli-Bianco, di cui è stato presentato lo schema di decreto, non bastano a proteggere i professionisti che si sono ritrovati ad affrontare una situazione del tutto inedita: un virus sconosciuto e nessuna linea guida

TUTELE PER CHI TUTELA LA SALUTE
Il primo dispositivo di difesa per medici e operatori sanitari, alla fine, è arrivato: guanti, mascherine, visiere e camici, un tempo introvabili, sono ora nella piena disponibilità di chi, per mestiere, è chiamato a tutelare la nostra salute. “La situazione è completamente diversa rispetto allo scorso anno”, dice Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao Assomed. “Il ritorno in Europa della produzione di dispositivi di protezione individuale – prosegue – garantisce oggi quell’autonomia di approvvigionamento che ci era mancata nei primi mesi dell’emergenza coronavirus”.
Il secondo dispositivo, il vaccino, sta invece arrivando in questo momento. “La scelta di vaccinare prima il personale sanitario è assolutamente condivisibile: solo così sarà possibile garantire un’assistenza adeguata ai pazienti”, osserva Palermo. “Il piano di vaccinazione era partito benissimo, poi purtroppo le aziende produttrici hanno avuto alcuni ritardi nella fornitura delle dosi previste: adesso non dobbiamo perdere tempo, dobbiamo essere veloci, e riuscire a centrare l’obiettivo di vaccinare almeno il 70% della popolazione entro il prossimo autunno – riflette – anche per scongiurare il rischio che eventuali variazioni del virus possano essere resistenti al siero”.

UN’EMERGENZA GIUDIZIARIA

Mascherine e vaccini possono fornire un primo scudo agli operatori sanitari. Ed evitare così che altri professionisti della salute restino vittima della pandemia: lo scorso 21 febbraio, a un anno esatto dall’inizio dell’emergenza in Italia, la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) contava 328 medici e operatori sanitari deceduti a causa del coronavirus. Quasi una vittima al giorno in un anno di pandemia.
Per garantire la giusta serenità agli operatori del settore non basteranno tuttavia soltanto mascherine e vaccini. Già, perché accanto all’emergenza sanitaria si cominciano a vedere i primi segnali di quella che è già stata da più parti definita “un’emergenza giudiziaria”: il rischio di contenziosi legali per medici e operatori è elevatissimo. “Temo soprattutto che la frenesia dei primi mesi di pandemia, quando eravamo costretti a lavorare in un territorio inesplorato, di fronte a un virus sconosciuto e senza chiare linee guida, potrà generare contenziosi contro medici e operatori sanitari”, dice Palermo. “Le procure, in molte aree d’Italia, sono già partite”, gli fa eco Tiziana Frittelli, presidente di Federsanità Anci. “La situazione – aggiunge – è gravissima: rischiamo di avere contenziosi legali per i prossimi dieci anni”.



NOVITÀ DALLA LEGGE GELLI-BIANCO

Lo scorso 18 gennaio, per restare nell’ambito della responsabilità sanitaria, è stato presentato lo schema di decreto della legge n. 24/2017, più conosciuta come legge Gelli-Bianco. “È un passaggio fondamentale che attendevamo da quattro anni”, dice Frittelli. “La legge – prosegue – ha un buon impianto, soprattutto perché basa la sicurezza delle cure su una corretta gestione del rischio”.
Restano tuttavia ancora delle criticità. Palermo sottolinea in particolare “il peso eccessivo conferito all’assolvimento degli obblighi di formazione per la variazione del premio assicurativo in sede di rinnovo della polizza”. A detta sua, “la penalizzazione dell’assicurato potrebbe essere giustificata solo se il mancato raggiungimento dei previsti crediti formativi venisse correlato all’insorgenza di un danno per il paziente”. Un punto su cui concorda anche Frittelli, la quale sottolinea come il meccanismo non fosse “nemmeno previsto dalla legge Gelli-Bianco: in questo modo, il decreto equipara la formazione a un corso di gestione del rischio”. Altro punto critico è poi dato dalla previsione di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati. “La costituzione di questi fondi avrà un certo impatto sul bilancio delle strutture sanitarie, visto che la maggior parte delle aziende opterà probabilmente per un sistema misto in cui dovrà comunque gestire una certa dose di rischio”, dice Frittelli. “Abbiamo dunque chiesto – aggiunge – la previsione di una fase transitoria per la messa a regime di questi fondi, in modo da non avere un impatto economico eccessivo sul bilancio delle strutture”. 

LA QUESTIONE DELLO SCUDO LEGALE

La protezione più efficace resta tuttavia l’introduzione di uno scudo legale. “Lo abbiamo chiesto fin dai primi mesi dell’emergenza sanitaria e non è arrivato”, allarga le braccia Palermo. “La tutela giudiziaria – prosegue – andrebbe estesa oltre le garanzie previste dalla legge Gelli-Bianco: ci siamo trovati di fronte a un virus sconosciuto, non avevamo linee guida, siamo stati costretti a procedere per tentativi”. In questo contesto, secondo Palermo, andrebbe riconosciuta “una norma per cui gli operatori possono essere sottoposti a procedimento solo in caso di dolo o colpa grave”.
Frittelli non vuole sentir parlare di “scudo legale”, ma di “una rideterminazione del concetto di colpa: non vogliamo sconti, vogliamo che la responsabilità sia parametrata alla situazione inedita con cui ci siamo confrontati”. Frittelli chiede dunque una norma derogatoria rispetto ai parametri definiti dalla legge Gelli-Bianco che tenga conto dello scenario eccezionale dei primi mesi di pandemia. “Del resto – si chiede – di chi è la responsabilità quando mancano linee guida?”. Opportuna, conclude, è infine anche “una norma che deroghi dalla possibilità di rivalsa delle strutture verso gli operatori sanitari”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

I più visti