LONG TERM CARE, UNA RIFORMA ATTESA

La recente approvazione della legge delega per la gestione dell’anzianità potrebbe offrire nuove garanzie in materia di inabilità e non autosufficienza: in attesa dei provvedimenti del governo, si riapre il dibattito su una misura che potrebbe beneficiare anche del contributo degli operatori privati

LONG TERM CARE, UNA RIFORMA ATTESA
Il verbo attanagliare, cioè letteralmente “stringere con forza con delle tenaglie”, nel linguaggio corrente, sempre più lessicalmente povero, è vocabolo caduto in disuso, tutt’al più impiegato, in qualche pezzo di cronaca, da giornalisti dal gusto rétro, in locuzioni quali essere attanagliato dalla paura o dal rimorso. Eppure, mi sembra che non vi sia termine migliore per indicare la situazione del Paese, in questo accidentato primo quarto del XXI secolo, schiacciato, da un lato, dal macigno dell’emergenza delle culle sempre più vuote e, dall’altro, da quello della diffusione dell’inabilità, in primo luogo connessa alla crescente (e di per sé felice) capacità di invecchiamento della popolazione. Sono queste le teste dei bracci della tenaglia che rinserrano l’Italia.
Sostanzialmente superata la pandemia di Covid-19, evento drammatico globale, come lo era stata l’influenza spagnola cent’anni fa, ma risoltosi in un periodo ragionevolmente breve, senza le decine di milioni di morti del ‘900, in virtù un poderoso e mirabile sforzo della ricerca scientifica internazionale, la classe dirigente italiana e, in primo luogo, il Governo, pur tra mille altri problemi, devono dunque trovare la fermezza e la lucidità per affrontare consapevolmente due peculiari situazioni che riguardano i poli dell’esistenza: la nascita e la vecchiaia.

LA CATASTROFE DELLA DENATALITÀ

L’emergenza relativa al fenomeno della sempre più grave denatalità ha la proporzione di una vera e propria catastrofe nazionale e sembrerebbe risolvibile, o per lo meno mitigabile, attraverso interventi da realizzare in via sistematica, i cui esiti sperati, tuttavia, si potranno verificare in tempi decisamente lunghi. Dopo troppi decenni di colpevole incuria, occorre individuare al più presto un ventaglio di iniziative, volte a favorire la procreazione. 
A titolo meramente esemplificativo, si possono elencare: l’avvio di reali incentivi fiscali per le famiglie, lo sviluppo capillare di strutture di accoglienza e di supporto per la prima infanzia, gli aiuti alla scolarizzazione (ivi compreso il ritorno delle troppo spesso snobbate borse di studio per i meritevoli), l’esercizio di una pressante moral suasion nei confronti delle parti sociali, affinché individuino, nelle diverse sedi contrattuali, provvidenze che effettivamente sostengano la maternità. Tutto ciò, mi permetto di sottolineare, senza compiere un soverchio sforzo di fantasia, ma sapientemente ricalcando i comportamenti virtuosi di altri paesi, a cominciare dalla vicina Francia. In ogni caso, il successo di qualsivoglia campagna demografica non può prescindere da un duraturo periodo di forte crescita e sviluppo.  È improbabile, infatti, che sorga un gran desiderio di mettere al mondo dei figli in una situazione di generalizzata difficoltà economica e di sfiducia in un futuro migliore. 

PIÙ ANZIANI, MENO AUTOSUFFICIENTI

Il fenomeno del progressivo incremento dell’indice di vecchiaia della popolazione, è banale dirlo, è un bene prezioso e, dopo le dolorose battute d’arresto causate dal coronavirus, è ripreso con slancio, facendo sempre più dell’Italia la punta di diamante dell’Unione Europea per aspettativa di vita. L’inabilità, purtroppo, colpisce tutte le età, ma, quanto a diffusione, connota fisiologicamente la vecchiaia, specialmente se estrema: quindi, l’incremento della senescenza porta con sé un aumento esponenziale dell’inabilità, sia pure con diversificati livelli di gravità. Sui numeri del fenomeno vi sono valutazioni diverse, ma sembra attendibile parlare di almeno tre milioni di anziani affetti da patologie croniche gravi e disabilitanti, in netta prevalenza donne.
Il problema del sostegno all’inabilità ex senectute non è meno drammatico di quello della denatalità, ma per esso va realizzato un poderoso sforzo di iniziative immediate, perché è oggi e nel breve/medio periodo che le coorti di anziani, figli dell’ottimismo degli anni del boom economico del secondo dopoguerra, necessiteranno di sostegno. 



LA LEGGE DELEGA PER L’ANZIANITÀ

Nell’indicata ottica di urgenza di iniziative, per la componente pubblica va salutato con favore l’approvazione della legge del 23 marzo 2023 (Delega al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane). Si tratta di un provvedimento atteso da anni, per il quale una struttura associativa volontaristica, composta di studiosi e di addetti ai lavori, il Network Non Autosufficienza, a cui Assoprevidenza, quale centro tecnico nazionale di previdenza e assistenza complementari privo di fini di lucro, ha sempre fornito ogni sostegno tecnico, si è lungamente e meritoriamente battuto. Messo a punto dal Governo Draghi, l’articolato è stato saggiamente ripreso dal Governo Meloni e portato rapidamente in approvazione. Si tratta di un provvedimento che reca una prima razionalizzazione delle varie e invero disordinate provvidenze già in essere in ambito territoriale. Obiettivi dell’intervento legislativo sono: la semplificazione delle modalità di accesso alle strutture pubbliche, opportunamente coordinate; un’ampia revisione dei servizi domiciliari; la realizzazione di investimenti straordinari per riqualificare le strutture residenziali.  

IL CONTRIBUTO DEL MERCATO

Il supporto all’inabilità, tuttavia, non può essere soltanto un problema pubblico, ma, tenuto conto delle sempre più risicate disponibilità finanziarie del Paese, deve diventare un primario momento di attenzione innanzitutto per il mondo del welfare pensionistico e assistenziale privato, nella maggior parte dei casi prodotto della contrattazione collettiva. Negli ormai trentacinque anni di attività, Assoprevidenza ha prestato sempre una particolare attenzione alla tematica delle coperture di long term care, cioè delle provvidenze che, in caso di non autosufficienza, intervengono, per tutta la vita dell’inabile, o con un sostegno economico specifico e/o attraverso la diretta fornitura di servizi. 
Considerando la tendenza, già evidente alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, dell’accentuata crescita delle prospettive di invecchiamento della popolazione italiana e, quindi, del rischio del moltiplicarsi di inabilità nell’estrema vecchiezza, avevamo suggerito che le coperture di Ltc si sviluppassero in parallelo ai piani di previdenza complementare e nel loro ambito. Ciò in quanto la rendita derivante da una copertura di Ltc appariva, nella nostra visione tecnica, forse eccessivamente illuministica, il logico e indispensabile completamento (eventuale) della pensione di primo e di secondo pilastro, unitariamente considerate, per l’anziano chiamato a sostenere oneri ingenti per fronteggiare sopravvenute forme di inabilità.

IL DIBATTITO SULL’OBBLIGATORIETÀ

La realtà è andata in un’altra direzione: la previdenza complementare ha stentato di per sé a decollare e tuttora, a oltre trent’anni dall’entrata in vigore della prima normativa organica di settore, il d. lgs. n. 124 dell’aprile 1993, copre un numero limitato di cittadini (meno di nove milioni e mezzo di persone, in molti casi con accantonamenti individuali di ammontare assai modesto) e ai piani previdenziali complementari assai raramente si accompagnano coperture di Ltc. Queste ultime hanno avuto qualche sviluppo nel contesto dei fondi di assistenza sanitaria, ma certamente sono ben lontane dall’essere un fenomeno di massa. Non mancano, in materia, importanti esperienze collettive: i Ccnl di categorie quali i bancari e gli assicurativi da tempo hanno introdotto per i lavoratori del settore importanti coperture di Ltc (i primi attraverso un fondo autogestito, i secondi attraverso una tradizionale polizza assicurativa) ma, in via generale, il Paese, nel suo complesso, appare largamente sguarnito di tutela per la carenza di autosufficienza dei propri cittadini.
Il problema, dunque, della Ltc diffusa è tuttora apertissimo e, fermo restando, come si è detto, il dovere della contrattazione collettiva di porsi l’obiettivo di darne attuazione nell’ambito dei diversi domini di competenza, si può fondatamente ritenere che le coperture di Ltc debbano quanto prima divenire un obbligo per tutti i cittadini italiani, dai 18 sino ai 65/70 anni di età, fermo restando il perdurare dell’inerente garanzia per tutta la vita. In altre parole, reputiamo come siffatto obbligo, avuto riguardo a dei livelli minimi fissati ex lege, debba operare non diversamente dalla copertura per la responsabilità civile imposta ai conduttori di autoveicoli. Ciò, fatta salva la possibilità di ciascuno di adempiervi in via individuale o collettiva, in un quadro di servizi integrati di welfare, per i quali si realizzino anche forme di collaborazione virtuosa tra pubblico e privato. La soluzione della Ltc obbligatoria, da decenni attuata in Germania, non solo esalta la solidarietà intergenerazionale, ma, questione assai importante, rende alquanto contenuti i costi individuali per la copertura.

IL RUOLO DELLE INFRASTRUTTURE SOCIALI

Specifica tematica Ltc a parte, va detto da ultimo che, in tema di inabilità, il mondo dei fondi pensione (e delle casse pensionistiche professionali di primo pilastro) può svolgere un ruolo centrale anche tramite indiretti interventi di sostegno, orientando taluni investimenti in quelle che, correttamente, sono denominate infrastrutture sociali: Rsa tecnologicamente d’avanguardia, strutture attrezzate di varia tipologia per gli anziani, strutture sanitarie specializzate et similia. Fermo restando il principio che i fondi di previdenza complementare e le casse professionali sono tenuti, in primis, a realizzare gli investimenti più redditizi, in un contesto di regole normative e di principi tecnici stringenti, le infrastrutture sociali in discorso appaiono, oltre che intrinsecamente connesse alla missione degli enti di previdenza stessi, perfettamente in linea a connotati di bassa rischiosità e di elevato e costante rendimento dell’investimento.
Se dunque il sostegno all’inabilità non può che fondarsi su una capillare, razionale ed efficace rete pubblica, un contributo essenziale non può che derivare dal mondo del welfare privato, in un processo di collaborazione virtuosa. Insomma, parafrasando una frase celebre, pubblico e privato debbono marciare divisi, non già per colpire, ma per tutelare uniti.

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