UNA NUOVA EUROPA PER GLI INVESTIMENTI

In un 2019 ricco di incognite, la parola d’ordine per il settore finanziario del Vecchio Continente è la stessa di sempre: investire risorse per accompagnare la crescita e lo sviluppo del territorio. Servono tuttavia scelte coraggiose per rinnovare l’assetto comunitario e raggiungere una vera integrazione economica e politica

UNA NUOVA EUROPA PER GLI INVESTIMENTI
👤Autore: Giacomo Corvi Review numero: 61 Pagina: 30
Ce lo ripetiamo sempre alla fine di ogni anno: i prossimi dodici mesi sono decisivi, siamo a un punto di svolta, questa volta non possiamo sbagliare. Ormai è una tradizione, buoni propositi di rinnovamento che chissà se verranno mantenuti. Parole ripetute come un mantra per esorcizzare la paura che, com’è inevitabile, genera l’incertezza di domani. È stato così anche in apertura del 2019, un nuovo anno che presenta molti fronti di incertezza. Soprattutto per quanto riguarda l’Unione Europea.
L’anno nel Vecchio Continente è partito con la fine del quantitative easing, programma di acquisto di titoli di Stato promosso dalla Banca Centrale Europea nel marzo del 2015. E si chiuderà con l’uscita di scena del presidente della Bce, Mario Draghi, che quel quantitative easing l’ha voluto, promosso, difeso e realizzato. Nel mezzo ci saranno la Brexit (forse) e le più incerte elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo degli ultimi anni. E poi ancora, guerre commerciali, segnali di rallentamento economico, globalizzazione, cambiamento climatico e flussi migratori. Senza dimenticare il terrorismo, tornato tragicamente alla ribalta delle cronache internazionali con l’attentato al mercatino di Natale di Strasburgo.
Insomma, le sfide non mancano. E per superarle, la parola d’ordine è la stessa di sempre: investire risorse per favorire la crescita. Un punto su cui hanno convenuto tutti i partecipanti del Rome Investment Forum 2018, tradizionale appuntamento per addetti ai lavori promosso dalla Febaf. “In Europa ci sarà bisogno di risorse per la crescita e l’inclusione sociale”, ha esordito Luigi Abete, presidente della federazione, nei saluti introduttivi che hanno aperto la due giorni del 14-15 dicembre a Roma.

IL TEMPO DELLE RIFORME

Di investimenti si parla da tempo. Il cosiddetto Piano Juncker ha mobilitato risorse per 360 miliardi di euro, il nuovo progetto InvestEU si propone di portare la cifra a 650 miliardi. E ancora più in alto, è convinto Abete, si potrebbe spingere l’asticella se si riuscissero a sciogliere lacci e lacciuoli di un assetto comunitario che forse non è mai decollato pienamente. “L’Unione Europea – ha detto – è a un bivio. Da un lato c’è lo status quo, dall’altro investimenti e riforme”. E di riforme, in Europa, ce n’è decisamente bisogno. A cominciare dal completamento di una reale unione economica e monetaria che poi, chissà, magari un giorno potrà portare a un’effettiva integrazione politica. I riflettori sono puntati soprattutto sull’unione bancaria e sull’attuazione del mercato unico dei capitali, quest’ultimo destinato a ricoprire “un ruolo di primo piano nel processo di rilancio degli investimenti”.
I progetti di riforma sono già sul tavolo delle istituzioni: si parla di una rete di sicurezza per il fondo di risoluzione unico delle banche in crisi, di un accesso facilitato alle linee di credito precauzionali del fondo salva-Stati, di una maggiore cooperazione fra Esm e Commissione Europea. Un eventuale accordo, ha affermato Abete, “non passerà alla storia come la grande riforma dell’Eurozona, ma è pur sempre un passo avanti”.


UN MANIFESTO PER L’EUROPA

L’alternativa alle riforme, come espresso da Abete, è lo status quo. E dunque anche il rischio che l’Unione Europea, in un futuro nemmeno troppo lontano, possa perdere la posizione privilegiata di cui gode attualmente. “Nel 2035 nessun Paese europeo farà parte del G7, nemmeno la Germania”, ha ammonito Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria. Ne potrebbe invece far parte un’Europa riformata e integrata a livello monetario ed economico, dotata degli strumenti utili ad assorbire gli shock asimmetrici e garantire una certa coerenza delle politiche regolatorie. Lo sguardo, anche in questo caso, corre all’unione bancaria e alla creazione di un meccanismo europeo di assicurazione dei depositi, ma anche al varo di un vero e proprio bilancio dell’Eurozona.



Per Boccia la chiave è quella di “ripartire dai fondamentali dell’Europa: pace, protezione e prosperità”. Non si tratta tanto di dire sì o no all’Europa, ma di interrogarsi su come si possa “fare un salto in una nuova stagione riformista” che possa consentire al Vecchio Continente di continuare a competere con Cina e Stati Uniti. È in quest’ottica che va letta l’iniziativa promossa da Confindustria, insieme alla francese Medef e alla tedesca Bdi, di “un manifesto per l’Europa che auspichiamo di presentare a breve con una conferenza stampa in contemporanea in tutte le capitali europee”.


ALLA RICERCA DI UN LEVEL PLAYING FIELD

Basta sfogliare un qualsiasi quotidiano per comprendere la necessità di una riforma strutturale dell’assetto comunitario. “L’Europa nel suo insieme è il primo mercato al mondo, è prima per Pil e terza per popolazione a livello globale”, ha osservato Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. “Come Ue siamo il più grande importatore ed esportare del mondo, potremmo determinare – ha aggiunto – le regole del commercio globale e invece stiamo assistendo alla minaccia di una guerra commerciale di cui siamo spettatori ma non estranei alle sue conseguenze”. Qualcosa, in tema di riforme, è stato fatto, ma non abbastanza. “L’unione bancaria – ha portato il caso Gros-Pietro – è stata costruita ma non completata”. E manca ancora un adeguato level playing field che possa consentire quei tanto auspicati consolidamenti cross-border nel settore bancario. “Vi posso assicurare che non potrà mai esserci nulla di rilevante finché la regolamentazione non sarà pareggiata a livello europeo: al massimo – ha chiosato – ci potranno essere acquisizioni di istituti comunitari da parte di banche non europee”.


INVESTIRE NELLE INFRASTRUTTURE

L’obiettivo di un’Unione Europea riformata è quello di garantire un contesto idoneo agli investimenti, anche da parte di soggetti privati. Soggetti come le compagnie assicurative, che nel 2017, ha ricordato Maria Bianca Farina, “hanno effettuato investimenti per più di 11mila miliardi di euro in tutta Europa, di cui 850 miliardi di euro in Italia”. E molto di più si potrebbe fare, ha proseguito, se si riuscirà a incrementare il numero e la dimensione dei progetti predisposti a livello europeo. “Il Piano Juncker – ha osservato – ha funzionato, ma ha interessato progetti e risorse già identificati negli anni precedenti: gli investitori istituzionali sono stati poco coinvolti”. 
In questo contesto, particolare attenzione destano gli investimenti infrastrutturali, attività di lungo periodo e dall’approccio assai prudenziale che ben si adattano agli obiettivi di investitori istituzionali come le compagnie assicurative. “L’Italia ha bisogno di infrastrutture – ha affermato Farina – ma la spesa pubblica nel settore è diminuita dai 47 miliardi di euro del 2006 ai 34 miliardi del 2017, segnando un calo del 27%”. Gli assicuratori, ha proseguito, sono pronti a fare la propria parte. E l’impegno dell’Ania nel settore è noto da tempo. Lo scorso ottobre l’associazione ha infatti annunciato l’intenzione di lanciare un fondo per finanziare opere infrastrutturali in Italia. “Stiamo andando avanti, al momento siamo impegnati nella selezione della società di gestione che ci accompagnerà nel progetto”, ha detto Farina a margine del suo intervento. “Contiamo – ha concluso – di presentare ufficialmente il fondo entro i primi mesi del 2019”. 

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