WELFARE, IL TEMPO DELLE ALLEANZE

Il settore privato è sempre più coinvolto nell’offerta di prestazioni sociali che lo Stato, stretto fra politiche di austerità e calo delle nascite, non è più in grado di fornire. Adesso, secondo i ricercatori di Percorsi di secondo welfare, è arrivato il momento di intese e collaborazioni che possano garantire anche in futuro il sostegno alle fasce più bisognose della popolazione

WELFARE, IL TEMPO DELLE ALLEANZE
Il mercato del welfare in Italia ha ormai raggiunto dimensioni ragguardevoli. Nel 2018, secondo uno studio di Mbs Consulting pubblicato nel marzo dello scorso anno, la spesa complessiva per prestazioni sociali delle famiglie italiane ammontava a 143,4 miliardi di euro e arrivava a coprire l’8,3% del Pil. Numeri senza dubbio di rilievo, capaci di spingere la società a parlare di una vera e propria “industria del welfare”: giusto per avere un’idea, nello stesso anno il giro d’affari del settore alimentare si fermava a 137 miliardi, quello della moda ad appena 95,7 miliardi.
Alla base del risultato, come spiega Valentino Santoni, ricercatore del laboratorio Percorsi di secondo welfare (www.secondowelfare.it), ci sono soprattutto “le profonde trasformazioni che stanno attraversando la nostra società: tutto ciò – prosegue – ha portato a un forte sviluppo di quello che noi definiamo secondo welfare, ossia quell’insieme di interventi sociali di natura non pubblica messi in campo da soggetti privati, profit e non profit, che a vario titolo intervengono dove lo Stato fatica ad arrivare”.

ADDIO AL WELFARE STATE

Già, perché il welfare state, almeno per come siamo abituati a conoscerlo, è ormai incamminato sul viale del tramonto. “Questa istituzione simbolo dell’Europa – afferma Santoni – sembra patire le tensioni derivanti da austerità, instabilità politica, invecchiamento della popolazione e vari altri fattori esogeni ed endogeni”. Stretto fra vincoli di bilancio e andamenti demografici sfavorevoli, il welfare state non appare più in grado di mantenere le sue promesse. E il bel sogno di William Beveridge, ossia quello di un sistema capace di accompagnare i cittadini “dalla culla alla bara”, sembra sempre più destinato a rimanere una semplice utopia.
In questo quadro, l’Italia non fa certo eccezione. Anzi, secondo Santoni, il nostro sistema risulta addirittura “contraddistinto da un forte disallineamento; ci sono infatti eccessi di protezione per alcune categorie già tutelate e allo stesso tempo vistosi deficit in altri settori, come nel caso delle politiche per la famiglia e la conciliazione vita-lavoro o delle misure di assistenza per soggetti non autosufficienti”.

IL MERCATO DELLE PRESTAZIONI SOCIALI

È proprio in questa frattura che si sono inseriti negli ultimi anni gli operatori del welfare complementare. Imprese private ed enti del terzo settore hanno progressivamente iniziato a integrare e sostenere le prestazioni sociali che un tempo venivano garantite dalla macchina statale. E il mercato, come già accennato, sta adesso assumendo dimensioni di tutto rilievo. 
I numeri del Quarto rapporto sul secondo welfare, pubblicato lo scorso novembre dal centro studi, non sembrano lasciare spazio a dubbi. Il cosiddetto welfare occupazionale, per esempio, conta oggi 322 fondi sanitari integrativi e 33 fondi previdenziali, capaci di totalizzare rispettivamente 10,6 milioni e circa 3 milioni di iscritti. “Più del 27% dei contratti collettivi nazionali del lavoro – aggiunge Santoni – garantisce forme di protezione sociale per i dipendenti e, stando ai dati del ministero del Lavoro, il 53% dei contratti di secondo livello che prevedono l’assegnazione di premi di risultato consente di convertire gli eventuali bonus in servizi di welfare aziendale”. Particolarmente vivace è stata, in questo ambito, l’attività dei provider di servizi. “Nel 2018, stando ai risultati che abbiamo recentemente analizzato in collaborazione con Aiwa, questi operatori hanno offerto prestazioni e servizi di welfare a quasi due milioni di lavoratori e, al netto dei contributi per fondi sanitari, fondi pensione e mense, hanno caricato sulle proprie piattaforme circa 750 milioni di euro in cosiddetto budget welfare”, osserva Santoni.

IL CONTRIBUTO DELLE ASSICURAZIONI

Anche le compagnie assicurative hanno fatto sentire il proprio contributo. “Il welfare assicurativo si conferma un elemento importante dell’intero mercato del welfare complementare”, afferma Santoni. “Sul fronte della sanità integrativa – prosegue – si contano oggi 700 milioni di euro in polizze individuali e circa due miliardi in polizze collettive”. Numeri in positivo anche per quanto riguarda il settore della previdenza complementare. “Fondi aperti e pre-esistenti – illustra Santoni – totalizzano 2,1 milioni di adesioni e un patrimonio di 79 miliardi di euro, mentre i piani individuali raggiungono 3,6 milioni di iscritti per valore complessivo di quasi 37 miliardi di euro”.
Anche la domanda della popolazione, nonostante la perdurante assenza di una solida cultura assicurativa, pare decisamente mutata negli ultimi anni. “Secondo l’ultimo rapporto sul neo-welfare di Assimoco – afferma Santoni – tra 2015 e 2019 si è assistito a cambiamenti significativi nel comportamento e nelle scelte di protezione delle famiglie italiane: in particolare, sembra esserci una maggiore considerazione del rischio e, di conseguenza, una maggiore attenzione verso i prodotti assicurativi”.

UNA GRANDE TRASFORMAZIONE 2.0

Secondo il rapporto del centro studi, la società europea si trova oggi, per dirla con Karl Polanyi, alle soglie di una Grande Trasformazione 2.0. La prima, secondo il politologo ungherese, era avvenuta a cavallo fra ’800 e ’900, quando il fermento della società civile e la domanda di prestazioni sociali avevano di fatto gettato le fondamenta di quello che poi sarebbe diventato il moderno welfare state. Oggi, a più di cent’anni di distanza, la situazione non appare poi così diversa. E le tensioni che attanagliano ora il sistema pubblico di prestazioni sociali potranno in futuro fornire la base per un’ulteriore evoluzione dell’attuale mercato del welfare. La parola d’ordine, per i ricercatori di Percorsi di secondo welfare, è alleanza
Le sfide del futuro, a giudicare dalle premesse, rischiano infatti di rivelarsi molto più impegnative del previsto. E nessuno può pensare di riuscire ad affrontarle (e superarle) da solo. Ecco perché, nelle conclusioni del rapporto, c’è l’auspicio per una nuova stagione di intese e collaborazioni fra gli operatori del settore, che possano consentire di contrastare la frammentazione delle prestazioni, rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse e garantire anche in futuro il sostegno alle fasce più bisognose della popolazione. Qualcosa comincia già a farsi vedere. A livello locale, conclude Santoni, “vengono promosse con crescente frequenza iniziative sinergiche per intervenire nelle aree di bisogno giudicate più urgenti, e sono sempre di più gli attori privati che accanto alle istituzioni pubbliche sono a vario titolo impegnati per contribuire a sviluppare azioni adeguate, efficaci e innovative a sostengo dei cittadini”.

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