TRE PROPOSTE PER IL NUOVO WELFARE

Digitalizzazione della sanità, sviluppo della previdenza e razionalizzazione delle politiche sociali: è quello che suggerisce il think tank “Welfare, Italia” per costruire, dopo l’emergenza coronavirus, un sistema più efficiente di prestazioni sociali

TRE PROPOSTE PER IL NUOVO WELFARE
👤Autore: Giacomo Corvi Review numero: 80 Pagina: 54
Tre proposte per rafforzare il sistema di prestazioni sociali. Tre possibili strade per ripartire dopo la pandemia di coronavirus. E contribuire così a costruire il welfare del futuro. Le ha suggerite nel suo ultimo rapporto il think tank Welfare, Italia, progetto di ricerca promosso dal gruppo Unipol insieme a The European House – Ambrosetti.
Punto di partenza del rapporto, presentato a novembre nel corso dell’evento online Welfare Italia Forum 2020, è la fotografia di un’Italia che sembra sprofondata in uno scenario da economia di guerra. E questa volta non si tratta di una semplice frase fatta. Il Pil si avvia infatti verso una contrazione del 10,8%, roba che non si vedeva dalla seconda guerra mondiale: solo 1943 (-15,2%) e 1944 (-19,3%) hanno fatto peggio negli ultimi 150 anni. Il debito pubblico sfiorerà la soglia del 160% del Pil, attestandosi a quota 158,9% e avvicinandosi a quel picco del 160,5% che era stato raggiunto soltanto nel pieno della prima guerra mondiale. E nei primi sei mesi dell’anno si sono persi oltre 800mila posti di lavoro.

UN SISTEMA IN AFFANNO

Uno scenario di guerra richiede misure di guerra. E le istituzioni sono intervenute facendo affidamento sulla rete di protezione sociale offerta dal welfare state. La spesa sanitaria per le sole strutture ospedaliere è aumentata di oltre 1,5 miliardi di euro a causa del coronavirus. La cassa integrazione rischia di sfondare il muro dei 3,5 miliardi di ore, con un costo complessivo calcolato in 25,6 miliardi di euro. E si stima che tra 550mila e 740mila persone finiranno per usufruire della Naspi, assorbendo risorse comprese fra 5,5 e 7 miliardi di euro.
Più in generale, il rapporto calcola che le politiche sociali richiederanno un esborso complessivo di oltre 40 miliardi di euro. E ciò metterà ulteriormente in affanno un sistema che non sembra aver mai brillato troppo per adeguatezza e sostenibilità. Il rapporto parla, a tal proposito, di un’Italia stretta in una sorta di “tenaglia”: da una parte la quota più alta di over-65 in Europa (22,8%) e dall’altra uno dei più bassi tassi di natalità (1,29 figli per donna). Il risultato è che nel prossimo futuro (e in parte già oggi) il welfare state dovrà far fronte a una popolazione sempre più anziana, che non lavora e richiede misure di assistenza adeguate alle difficoltà della terza età.

UNA SANITÀ PIÙ DIGITALE

È in questo contesto che si innestano le proposte del think tank. La prima riguarda la sanità: il rapporto, a tal proposito, suggerisce la creazione di banche dati interoperabili e l’introduzione di nuovi servizi digitali, tra cui un progetto pilota di telemedicina coordinato a livello nazionale. Insomma, una sanità più digitale e collaborativa fra pubblico e privato a servizio del paziente.
Le elaborazioni del rapporto si concentrano soprattutto sugli effetti di un sistema efficiente di telemedicina. La sua realizzazione richiederebbe un investimento iniziale di circa cinque miliardi di euro. I costi sarebbero ammortizzati con la riduzione delle giornate di degenza, che si contrarrebbero del 25% e generebbero risparmi per circa 1,5 miliardi di euro all’anno. Inoltre, la riduzione dei tempi di attesa e le minori necessità di spostamento potrebbero portare a ulteriori risparmi per oltre tre miliardi di euro annui: sommando il tutto, un sistema coordinato di telemedicina libererebbe risorse per circa 4,5 miliardi di euro all’anno.

TASSAZIONE AGEVOLATA PER LA PREVIDENZA

La seconda proposta riguarda la previdenza complementare. Il rapporto, nello specifico, suggerisce il ritorno al regime fiscale vigente prima della legge di Stabilità 2015 e, di conseguenza, l’introduzione di una tassazione agevolata all’11,5% sui rendimenti. Il rapporto stima che una riforma di questo genere, in un orizzonte temporale di 25 anni di contribuzione, si tradurrebbe in circa 10mila euro di rendimenti in più per il singolo aderente e costituirebbe un incentivo per le nuove sottoscrizioni: il think tank calcola che le adesioni potrebbero aumentare del 30% e generare sette miliardi di euro in risorse aggiuntive che, se investite nell’economia reale, potrebbero avere una ricaduta sul Pil di 1,5 punti percentuali.
A ciò si aggiungono poi altri possibili interventi per garantire una maggiore flessibilità del sistema, come una sorta di portabilità da un anno all’altro dell’ammontare di deducibilità fiscale non utilizzato, la possibilità di ottenere anticipi straordinari in particolari circostanze e la facoltà di trasferire ai figli la posizione maturata al momento del pensionamento in luogo della riscossione della prestazione.

UN UNICO STRUMENTO DI POLITICA SOCIALE

L’ultimo punto riguarda le politiche sociali. Il rapporto parte dal presupposto che le iniziative una tantum non funzionano: servono un’ottimizzazione degli strumenti di politiche sociali e, soprattutto, l’adozione di un unico strumento di inclusione sociale che riassuma in sé la componente assistenzialistica del reddito di cittadinanza, del reddito di emergenza e dell’assegno unico per i figli.
Una simile riorganizzazione potrebbe liberare risorse per circa dieci miliardi di euro: se investite in programmi di formazione specializzati e finalizzati all’aggiornamento delle competenze, questi fondi potrebbero portare alla creazione di 200mila nuovi posti di lavoro. In uno scenario di lungo periodo caratterizzato da un investimento iniziale di dieci miliardi di euro, ridotto poi a sette miliardi al secondo anno e cinque miliardi al quinto, il rapporto calcola che i livelli occupazionali potrebbero tornare in appena cinque anni a quelli che si registravano prima della pandemia di coronavirus: nello scenario tendenziale standard ci vorrebbero invece nove anni. L’economia nazionale ne beneficerebbe con un incremento anno del Pil pari allo 0,7%.

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