I NUMERI DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Meno investitori, adesioni stabili, in crescita patrimonio e flussi. Per Itinerari Previdenziali, il secondo pilastro è in piena fase di consolidamento. Eppure le preoccupazioni non mancano, a cominciare da quelle generate dal nuovo clima politico: il settore chiede regole certe e chiare

I NUMERI DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
La prima notizia è che anche in Italia esiste un mercato per la previdenza complementare. E già questo non è poco, visto che lamentarsi per la fragilità del secondo pilastro è ormai uno sport nazionale. La seconda notizia è che non solo questo mercato esiste, ma sta pure iniziando ad assumere dimensioni di tutto rilievo. Al punto tale da poter oggi bussare, seppur ancora timidamente, alle porte di quella top 10 che raggruppa al suo interno i principali mercati pensionistici dei Paesi industrializzati.
La fotografia del settore arriva dal rapporto Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2017, pubblicazione periodica curata dal centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, e presentata alla stampa lo scorso settembre a Milano. L’immagine che ne emerge è quella di un settore in fase di crescita e consolidamento, capace negli ultimi anni di cogliere le opportunità che si sono affacciate all’orizzonte. Come nel caso del welfare aziendale, preso ad esempio da Umberto Bellini, vice presidente di Confcommercio, nei suoi saluti introduttivi: bene per il contributo offerto al settore grazie al regime fiscale agevolato, benissimo per l’opera di educazione finanziaria compiuta fra la popolazione. “Solo attraverso la conoscenza sarà possibile giungere a nuovi e più alti obiettivi”, ha osservato Bellini.


MENO INVESTITORI, PIÙ PATRIMONIO

Il buon momento della previdenza complementare si ritrova nei numeri riportati nel rapporto e presentati alla platea da Alberto Brambilla, presidente del centro studi, insieme ai colleghi Paolo Novati, Michaela Camilleri e Andrea Girardelli. Il primo dato che balza all’occhio è quello del patrimonio: fondi negoziali, fondazioni bancarie, casse privatizzate e fondi pre-esistenti hanno gestito risorse per 237,25 miliardi di euro, in crescita del 4,2% su base annua e più che raddoppiate (+106,6%) rispetto ai livelli registrati nel 2004. Se si considerano anche fondi pensione aperti, Pip e, soprattutto, i 539 miliardi di riserve delle compagnie assicurative, si arriva a un patrimonio complessivo di 830,42 miliardi di euro, pari a 48% del Pil. Il tutto in una fase di riassetto del sistema: nel 2017 si sono contati 402 investitori istituzionali, 36 in meno rispetto all’anno precedente.
Altre notizie positive arrivano dal fronte degli iscritti, arrivati a sfiorare quota otto milioni grazie a un incremento, nell’ultimo anno, di circa 150mila adesioni.

RENDIMENTI IN AFFANNO

Le ombre, tuttavia, non mancano. A cominciare dai rendimenti che risultano un po’ in affanno: eccezion fatta per il +5,3% fatto registrare dalle fondazioni bancarie, nel 2017 le performance degli investitori istituzionali si sono mantenute in linea con quanto realizzato nell’anno precedente. Ossia, per usare altri termini, in ritardo rispetto al boom del 2014 e rispetto alle medie a tre, cinque e dieci anni. Pesa la coda lunga del regime di bassi tassi di interesse, così come le tensioni geopolitiche che provocano instabilità sui mercati finanziari.
Nonostante tutto, i rendimenti si sono rivelati comunque superiori ai parametri obiettivi dati da inflazione, tfr e media quinquennale del Pil. Un bicchiere pieno tuttavia solo a metà, visto che nel primo semestre del 2018 alcune linee, soprattutto le garantite e le obbligazionarie, hanno realizzato performance inferiori ai parametri obiettivi.

LA VIA DEL RISPARMIO GESTITO

In questo contesto, la ricerca di asset class alternative appare quasi una strada obbligata. E il settore sembra aver deciso di imboccarla affidando le proprie risorse a gestori professionali come Generali Italia, Amundi e Unipol. A conti fatti, fondi negoziali, fondazioni bancarie, casse privatizzate e fondi pre-esistenti hanno affidato direttamente o indirettamente a gestori professionali circa il 70% del proprio patrimonio. E l’industria del risparmio gestito ringrazia.
Anche perché questa sinergia pare destinata a rafforzarsi anche nel prossimo futuro. Considerando soltanto gli investitori istituzionali in senso più stretto, nel 2017 il settore ha registrato infatti flussi netti positivi per 9,58 miliardi di euro, a cui poi vanno aggiunti altri 11-12 miliardi che vanno in scadenza ogni anno e vengono trasformati in nuovi investimenti. Il risultato è un capitale di oltre 20 miliardi di euro che può annualmente fluire dalle casse degli investitori istituzionali ai player del risparmio gestito.



IN CERCA DI CERTEZZE

Il mercato della previdenza complementare si presenta così come un settore solido con qualche inevitabile nota dolente. Già, ma per quanto a lungo? È la domanda che ha animato gran parte della tavola rotonda conclusiva. E non potrebbe essere altrimenti, viste le tante incognite poste dal nuovo clima politico. Rottamazione della legge Fornero, ritorno alla quota 100, reddito e pensione di cittadinanza: proposte che al momento di fermano alle sole intenzioni, generando tuttavia insicurezza in un settore, quello della previdenza complementare, che oggi ha bisogno soprattutto di certezze.
“Se non si capisce cosa accadrà nel pilastro, come si può sperare che noi possiamo lavorare bene?”, si è chiesto Oreste Gallo, presidente del fondo Cometa. Dello stesso avviso anche Alberto Oliveti, presidente dell’Adepp, il quale ha sottolineato come “la volatilità legislativa resti un problema”. Una tema non banale, visto che la chiarezza è un passaggio necessario per instaurare un dialogo costruttivo con la politica e far presente le necessità del settore: un trattamento fiscale più favorevole, come ha chiesto Matteo Bordone, responsabile risk policy della direzione finanza della Compagnia di San Paolo, oppure persino la completa detassazione della previdenza complementare ventilata da Antonio Crisafulli, head of investment del gruppo Cattolica.
Il tutto, come ha osservato Pietro De Sarlo, presidente del fondo pensione del gruppo Intesa Sanpaolo, con la consapevolezza che “il sistema previdenziale non può risolvere tutti i problemi”. E che anche negli altri settori, dal lavoro alle infrastrutture, prevale l’incertezza.

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