ANIA, SENZA COLLABORAZIONE NON C’È SOSTENIBILITÀ

In occasione dell’Insurance Summit, organizzato a ottobre dall’associazione nell’ambito della presidenza italiana del G20, Maria Bianca Farina ha evocato ancora la necessità di un nuovo modello che integri settore pubblico e privato a favore della protezione delle persone e di un welfare sostenibile nel tempo

ANIA, SENZA COLLABORAZIONE NON C’È SOSTENIBILITÀ
“L’industria assicurativa a livello mondiale, con oltre 30mila miliardi di dollari di asset gestiti, ha la capacità e l’interesse a investire in attivi sostenibili e di lungo termine. Può contribuire, quindi, a finanziare la transizione verso economie a emissioni zero, efficienti sotto il profilo delle risorse e più sostenibili”. 
Già solo in questo enunciato si può riassumere un programma politico e un piano industriale per i prossimi dieci anni. A pronunciare queste parole, così nette (e anche questa presa in carico di responsabilità collettive), è stata Maria Bianca Farina in occasione dell’Insurance Summit, organizzato da Ania il mese scorso, appuntamento che ha coinvolto il settore assicurativo, l’Ivass, Eiopa e alcuni tra i più importanti esponenti delle istituzioni italiane ed europee.

LE TRE P: PEOPLE, PLANET, PROSPERITY

Il summit, aperto e chiuso da Farina, ha ricalcato il programma della presidenza italiana del G20, articolato intorno al trinomio People, Planet, Prosperity che mira a individuare soluzioni e azioni comuni per “prendersi cura del pianeta e delle persone”, come ha spiegato il presidente del consiglio Mario Draghi
Obiettivi in linea con la mission del settore assicurativo, ha detto la presidente di Ania, parlando di “un settore che ha la consapevolezza di svolgere un ruolo di primo piano per la crescita economica e per una transizione sostenibile, nella sua accezione più ampia, non solo ambientale ma anche sociale e finanziaria”. L’industry è in prima linea sui temi degli investimenti sostenibili del cambiamento climatico (cui si legano gli eventi catastrofali) e di un nuovo sistema di welfare, spinto dalla demografia. 
La recente emissione da parte della Commissione Europea di 250 miliardi di green bond è una nuova occasione per il settore, a patto che il framework di vigilanza prudenziale non risulti penalizzante per gli investimenti di medio e lungo termine. 


TRANSIZIONE VERDE: IMPOSSIBILE SENZA I PRIVATI

L’evento è stato anche una vetrina per l’approccio italiano alla risoluzione dei problemi: un metodo da sempre votato al dialogo e al compromesso, come specificato dal ministro dell’Economia (ed ex presidente di Ivass) Daniele Franco, intervenuto per l’occasione. Il ministro ha parlato dell’importanza del “rilancio dello spirito multilaterale del G20, cruciale per la principale sfida globale, cioè il climate change”. 
In aprile è stato aggiunto il pillar per il clima nel framework del G20, mentre in luglio è stato lanciato il nuovo schema per l’investimento verde e sociale: “sono sforzi fatti nel segno del multilateralismo”, ha ribadito Franco. 
Ma non è abbastanza, perché senza il settore privato la transizione verde non può realizzarsi. Il comparto assicurativo può contribuire con il proprio ruolo di assicuratore e di investitore, ma, è opinione di tutti, serve al più presto una tassonomia degli investimenti green. L’Europa può essere all’avanguardia nel settare degli standard globali di disclosure sulla sostenibilità.

IL GAP DI PROTEZIONE E LE ESIGENZE REGOLAMENTARI

Un altro elogio alla Commissione Europea è arrivato dal presidente di Ivass, Luigi Federico Signorini, che ha fatto un plauso alla proposta di includere nella standard formula di Solvency II i rischi legati al cambiamento climatico. “Da anni – ha ricordato – il settore assicurativo sta discutendo di protection gap in un contesto di mitigazione del rischio climatico. Dal 2022 l’Ivass farà indagini annuali e specifiche su questo tema”. Per un ruolo più marcato del settore assicurativo, anche Ivass sposa la necessità di uno schema obbligatorio pubblico-privato contro le catastrofi naturali: “è giusto – ha detto Signorini – esplorare questa opzione anche per l’Italia”.
Ma così com’è avvenuto per Solvency II, ha aggiunto Alberto Corinti, il consigliere dell’Ivass, occorre “un’evoluzione profonda della cultura di vigilanza e non è un processo veloce”. La nascita del Climate training alliance, un portare di training sul rischio climatico, che sarà attivo per tutti regolatori europei, rappresenta “un passo concreto”.

GREEN BOND, ISTRUZIONI PER L’USO

Il cambiamento climatico è al primo posto tra le preoccupazioni degli assicuratori, come ha confermato Philippe Donnet, group ceo di Generali: “è molto importante capire – ha detto – che non saremo in grado di offrire soluzioni solide se il clima si aggraverà. I rischi degli eventi catastrofici sono destinati ad aumentare, non esiste un luogo totalmente sicuro: se non siamo in grado di controllare gli eventi, le assicurazioni non saranno più in grado di assorbire i rischi”. 
Dal punto di vista degli investitori, occorre aumentare il livello di disclosure sui green bond, che al momento sono ancora molto onerosi, e introdurre il concetto di “default Esg”, come ha proposto Matteo Del Fante, ad e dg di Poste Italiane, contestualmente alla richiesta che nella revisione della standard formula di Solvency II non ci siano “elementi di prociclicità, così da favorire l’investimento a lungo termine”. 
La buona notizia, però, ha detto Isabella Fumagalli, head of Bnl Bnp Paribas private banking & wealth management, è che “la liquidità c’è”, anche per l’accumulo delle risorse durante la pandemia. “Non è vero – ha continuato – che fare investimenti sostenibili vuol dire rinunciare ai rendimenti: oggi gli strumenti esistono, ma vanno incentivati nell’interesse della collettività”.



DALL’EMERGENZA ALLA NUOVA NORMALITÀ

La collaborazione tra settore pubblico e industry assicurativa è essenziale nel campo del welfare, anche se le compagnie sono chiamate a fare di più. “Se guardiamo al mercato salute – ha argomentato Alessandro Castellano, ad di Zurich Italia – il mercato è ancora delle collettive. Non si è arrivati a sviluppare qualcosa di più attrattivo. Le nostre reti si scontrano con i retaggi culturali e il tema della prevenzione dovrebbe trovare una dimensione più mutualistica”.
Secondo Paolo De Santis, chief health & welfare di Generali Italia, c’è un tema di effettivo coordinamento pubblico-privato: “per trasformare il settore – ha detto – è necessario lavorare insieme, con percorsi condivisi diagnostico-assistenziali definiti dallo Stato, ma in cui il mondo dei rischi abbia un ruolo preciso in un modello di gestione di questi percorsi”.
Durante la pandemia, ha ricordato infine Farina, alcuni strumenti di welfare sono stati introdotti in forma emergenziale: “oggi – ha concluso – dobbiamo chiederci se e come quelle misure possano diventare parte integrante dei sistemi di sicurezza sociale, e che ruolo possa svolgere in tal senso il settore assicurativo”.

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