SMART INSURANCE ALL’EPOCA DELLE SMART CITY

All'aumentare delle connessioni corrisponde un incremento dei rischi: nel 2030, il 60% della popolazione mondiale vivrà concentrata nelle città. Il problema dell'interconnessione diventerà la prima minaccia per la resilienza dei sistemi

SMART INSURANCE ALL’EPOCA DELLE SMART CITY
Dai big data agli smart data. È già tempo di rivedere e rinnovare le strategie legate allo sfruttamento dei dati? La legacy della tecnologia oggi pesa più rispetto a quando l’evoluzione dei sistemi informatici era più lenta e meno pervasiva in campo assicurativo. Aumentano le connessioni tra i rischi e le minacce che derivano dalla concentrazione in luoghi ristretti di grandi quantità di persone e dati. In una recente ricerca di Axa, si legge che nel 2030 il 60% della popolazione mondiale vivrà concentrata nelle città: una situazione che esalta la vulnerabilità dei sistemi e ne minaccia la resilienza. 
Per difendersi dalle minacce, ma soprattutto per facilitare la vita delle comunità che abiteranno le città, è in corso la transizione verso le cosiddette smart city: luoghi che, grazie a nuove tecnologie, sharing economy e Internet of things, rivoluzioneranno il modo di vivere, di lavorare, di muoversi e di abitare. 
Per capire e guardare avanti, immaginando che ruolo potranno avere le istituzioni finanziarie nel mondo condiviso delle città intelligenti, Axa ha organizzato l’Axa-Bocconi Seminar 2016, dal titolo, Smart city, smart insurance? La sfida della città del futuro e il ruolo delle assicurazioni, coinvolgendo nel dibattito anche i protagonisti della sharing economy e del mondo delle utilities. 


LE RISORSE IMMATERIALI

Nel 2025, saranno 155 miliardi gli oggetti connessi, sostenuti da una struttura che sarà sempre più grande, ma anche vulnerabile. Un nuovo ecosistema socio-economico creerà uno scambio di beni e servizi tra aziende e persone, e tra singoli individui, in cui verrà meno la logica del possesso.
È già in parte così, se pensiamo a tutte le fiorenti società che si basano sulla sharing economy, come BlaBlaCar, il servizio di condivisione delle auto per lunghi tratti, il cui country manager per l’Italia, Andrea Saviane, era presente all’evento. “Il senso del nostro mestiere – ha specificato – è condividere costi ed esperienza: l’obiettivo è semplice, ed è quello di contribuire a offrire alla società un servizio migliore”. 

Già oggi una società come Uber, la più grande azienda al mondo di noleggio auto con conducente, senza una flotta di proprietà, ha una capitalizzazione di 70 miliardi di dollari, ovvero 17 milioni pro capite per dipendente. 
Emanuela Prandelli, Lvmh associate professor in Fashion e luxury management all’Università Bocconi, ha sottolineato nel suo intervento che per questo tipo di aziende, “l’asset chiave non è nelle risorse materiali, ma nella capacità di accesso a un network di informazioni capillari tali da costituire una massa critica di valore”. Nell’economia della condivisione, gli utenti di un servizio sono portavoce del messaggio, e con i loro comportamenti (con i dati che producono) aiutano le aziende a capire quali sono i network attraverso cui condividerlo, quali i target, e chi sono gli opinion leader.   





L’ENERGIA DIFFUSA

È chiaro che nelle smart city la rete energetica non può esser data per scontata: la qualità dell’energia e la resistenza agli shock dell’infrastruttura sono presupposti di un organismo che è sempre più vivente. “In questa fase di cambiamento – ha spiegato Giuseppe Gatti, membro del cda di Gdf Suez Energia Italia – il settore delle utilities rischia di essere in difficoltà, anche sulla scorta della caduta dei consumi energetici dell’industria e del cambio della distribuzione tra i settori”. Dal 2005 al 2015 i consumi elettrici industriali sono scesi dal 50% al 30% mentre quelli del terziario sono aumentati toccando anch’essi la quota del 30%. “Il futuro delle utilities – ha precisato Gatti – è rappresentato dalla generazione distribuita, e dalle rinnovabili: ma in questa fase di transizione occorre trovare una coesistenza intelligente con le fonti fossili”.

In quest’ottica, il gruppo Axa, in quanto investitore istituzionale, sta già operando la propria scelta. Entro il 2020, la compagnia, che ha già disinvestito 500 milioni di euro in aziende legate esclusivamente ai combustibili fossili, investirà tre miliardi in energia green. Entro il 2018, 200 milioni saranno destinati a progetti di start up nel campo delle innovazioni strategiche nel settore assicurativo, asset management, industria dei servizi tecnologici finanziari e dei servizi sanitari.  
“Noi di Axa – ha sottolineato Frédéric de Courtois (nella foto in primo piano), amministratore delegato di Axa Italia – crediamo nella sharing economy, che in realtà è sempre esistita. Ma il concetto chiave sarà la fiducia e la reputazione”.

UNA CITTÀ PIÙ INCLUSIVA

Tuttavia, i grandi rischi non spariranno, anzi. Flavio Piccolomini, ad per l’Italia e ceo continental Europe and Africa di Marsh, ha ricordato come ai “due pilastri”, la responsabilità civile i cui limiti saranno “incalcolabili” e le catastrofi naturali, si aggiunge il macro tema del cyber risk. “Una minaccia – ha ammonito – che va combattuta a tutto campo, partendo dalla governance dei sistemi complessi”. 

Nelle smart city, secondo Axa, saranno richieste nuove figure, come chief data officer e gestori dei rischi che sappiano fare enterprise risk management: “la città di domani – ha continuato de Courtois – sarà più inclusiva, e nel controllo di gestione servirà più collaborazione tra soggetti pubblici, privati, associazioni, enti e società civile. L’assicurazione è pronta a fare la propria parte per fornire servizi di qualità, a patto che non si fermi il cammino dell’innovazione”. 
Il timore è che a livello normativo siano prese decisioni contrarie allo sviluppo delle nuove opportunità della condivisione dei dati, in favore di un atteggiamento troppo zelante per quanto riguarda la privacy. L’ad di Axa ha ricordato a questo proposito una norma, contenuta in un disegno di legge in discussione alla Camera, che vieta la geolocalizzazione attraverso le black box. “Se questa disposizione sarà approvata – conclude de Courtois – costituirà un grave freno all’innovazione in Italia: non si potranno più offrire servizi che invece continueranno a essere disponibili in altri Paesi. La privacy deve ovviamente essere tutelata, ma la risposta non può essere quella di vietare l’innovazione”.


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