ESG, LA STRADA È TRACCIATA

L’acronimo più utilizzato in questi anni nasconde una sterminata molteplicità di significati. La piena applicazione dei principi chiama in causa la capacità del settore dei rischi di armonizzare tutela dell’ambiente, aspetti sociali e governance senza che gli obiettivi confliggano tra loro. Un gioco che non sarà mai a somma zero

ESG, LA STRADA È TRACCIATA
I principi ambientali, sociali e di governance (Esg) sono saliti con sorprendente velocità in cima alle agende strategiche di dirigenti e consigli di amministrazione del settore assicurativo. Un’accelerazione dovuta a tanti fattori: in primis alla consapevolezza delle compagnie di essere attori essenziali per i cambiamenti delle società, ma anche per non restare indietro rispetto a un mondo che si muove molto più velocemente di quanto non faccia il settore dei rischi. 
Nonostante Esg sia l’acronimo sulla bocca di tutti, manca ancora un consenso generale sul reale impatto per l’assicurazione della piena applicazione di questi principi, soprattutto sulla capacità di armonizzare la E (ambiente), la S (gli aspetti sociali) e la G (governance) senza che le lettere confliggano tra loro. E ancora: manca una tassonomia condivisa che stabilisca con certezza l’ampiezza del campo da gioco, chi potrà giocare e soprattutto quali sono le regole, e infine un’analisi credibile sugli effetti dell’applicazione dei principi Esg sul business degli assicuratori verso i propri obiettivi. Gli approcci, come noto, variano considerevolmente tra i player del settore, con gli assicuratori che hanno un’opportunità unica, e insieme una grande responsabilità, nell’aiutare a costruire un futuro più equo e sostenibile.

UN’AGENDA INCREDIBILMENTE AMPIA

Gli aspetti centrali che devono essere affrontati dalle grandi organizzazioni per attuare una strategia Esg informata devono puntare a un’integrazione altrettanto completa ed efficiente, così da evitare sforzi inutili. 
Secondo molti assicuratori, sono così tante le lenti da cui guardare che il modello di business non può che cambiare continuamente. La sensibilità sul climate risk si è rafforzata nell’ultimo anno, con molta regolamentazione arrivata dalle autority internazionali, che hanno spinto soprattutto sugli aspetti di social e governance. L’agenda Esg è incredibilmente ampia, ed è cruciale capire quali possano essere gli interessi degli stakeholder, interni ed esterni alle compagnie, e contemporaneamente focalizzarsi su cosa deve fare una grande organizzazione. Si tratta di un processo continuo che comprende un framework che va aggiornato continuamente. La preoccupazione del settore si concentra sulle azioni e su come queste debbano essere guidate dalla strategia di business e non solo dalla compliance regolamentare. 

MEGLIO AGIRE CHE REAGIRE

Anche la pandemia ha influito sull’agenda delle compagnie, soprattutto riguardo la parte sociale (la S): dalla gestione della discesa dei premi al benessere dei dipendenti, fino all’introduzione accelerata di servizi a valore aggiunto, per esempio nel campo della salute (smart health).
Per quanto riguarda l’enviroment, invece, le compagnie stanno cercando di condividere le proprie metriche sull’impronta di carbonio, perché il settore ha l’interesse che tutti si sentano coinvolti e impegnati nella riduzione delle proprie emissioni. Insomma sono così tante le angolazioni da cui guardare che il modello di business sta evidentemente cambiando.
Intervenendo recentemente nel corso di un evento sul tema, Eugenie Molyneux, chief risk officer, commercial insurance di Zurich, ha ben sintetizzato la lezione principale impartita dalla pandemia alle compagnie: “il Covid – ha detto – ci ha insegnato che siamo in grado di adattarci quando arriva l’imprevisto, ma anche che non dovremmo attendere che arrivi, perché è meglio agire in anticipo”. Stesso discorso vale per il climate change e la perdita della biodiversità: “dovremmo agire in anticipo, piuttosto che reagire ai trigger”, ha aggiunto.  


© GaudiLab – iStock

LA TRANSIZIONE È UN PERCORSO

A livello di strategia le compagnie devono dimostrarsi determinate e solide ma non possono esserlo così tanto da non riuscire a essere flessibili. Gli analisti consigliano di non “costruire piani di transizione”, perché “la transizione si realizza giorno dopo giorno”.
Ed è proprio la transizione, la parola chiave anche dal punto di vista della sottoscrizione dei nuovi rischi. A questo proposito, Marsh Specialty ha recentemente ricordato quanto impattano e impatteranno in futuro i cosiddetti transition risk, che insistono sulle policy, sull’area legale, sulla tecnologia e sul mercato. Gli specialisti della gestione dei rischi (dai risk manager ai grandi broker) hanno da tempo elaborato nuove linee guida per le coperture di responsabilità D&O legata alle tematiche Esg, oppure soluzioni, più o meno innovative, che riguardano i rischi parametrici. La sfida è sviluppare in modo omogeneo un nuovo framework di sottoscrizione che tenga sempre più conto dei principi Esg e della transizione energetica. Le nuove soluzioni assicurative, dicono da Marsh, devono essere guidate da nuove analisi dei rischi, quantitative e qualitative.



ESISTE UN SOLO MODELLO DI INNOVAZIONE?

Emergono, così, i due campi principali dove le compagnie giocano simultaneamente la stessa partita: il primo riguarda l’identità stessa di una grande organizzazione, per esempio l’impronta di carbonio che decidono di tollerare il management e gli stakeholder; il secondo riguarda in che modo la compagnia serve il mercato, ovvero come i principi Esg coinvolgeranno la clientela. 
Si è visto, ad esempio, che durante la pandemia alcune aziende hanno trasformato il loro business: da produttori di profumi a produttori di materiale sanitario, da produttori di aspirapolvere a fornitori di ventilatori. Il compito del settore assicurativo è mostrare chiaramente ai clienti come cambia il loro profilo di rischio e in che modo è possibile continuare a proteggerli. 
Un discorso parallelo coinvolge la tecnologia che investe tutti questi aspetti e a cui bisogna guardare con una prospettiva di lungo periodo. Negli ultimi mesi, le grandi compagnie internazionali dicono di aver rivoluzionato il proprio modello di innovazione, per incorporare più efficientemente tutti i principii Esg.

IN GIOCO LA FATTIBILITÀ DEI PIANI D’IMPRESA

Ma quanto è possibile farlo efficientemente ed efficacemente? Rob Anarfi, chief risk officer di Beazley, ha fatto notare, durante un intervento pubblico, che la convergenza tra E (enviroment), S (social) e G (governance) è tutt’altro che scontata. Non è detto che i tre principi riescano a convivere nella medesima strategia, soprattutto se l’organizzazione deve rendere conto a gruppi eterogenei di stakeholder. “La governance – ha fatto notare – comprende tutti i domini, mentre la parte social riguarda più l’inclusione e la comunità, ed è una sensibilità degli ultimi anni”. Ma è paradossalmente la E l’aspetto più nuovo e anche il più urgente, e quindi ne parlano tutti. “Per tenere insieme i tre principi bisogna fare un salto culturale perché ogni gruppo di stakeholder comprenda le ragioni degli altri”, ha chiosato.
Il grande tema è proprio la fattibilità di certi piani d’impresa. Alcune compagnie hanno costruito strategie Esg che poi hanno dovuto ritrattare perché i tre principi, insieme, confliggevano. Bisogna saper bilanciare i tre principi in base ai clienti, ma anche agli azionisti e ai dipendenti: torna il discorso di riuscire a tenere insieme tutti gli stakeholder. 


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I NUOVI MODI PER STARE INSIEME

Ma non basta, come detto, solo l’impegno delle aziende: occorre creare gli incentivi giusti, tutta la transizione deve diventare subito più profittevole, rilanciare la trasparenza e lavorare a chiudere i gap di conoscenza. Secondo Swiss Re, che è partita nel 1979 e già nel 2003 era neutrale rispetto ai gas serra, non saranno anni facili, ma l’alternativa è certamente peggiore. 
Il rischio di litigation, fanno notare da Swiss Re, sarà uno tra i più incisivi: cambiano le aspettative della società, delle persone. Occorre trovare un sistema di derisking, e non abbassare la capacità di sottoscrizione. 
Serviranno 100 trilioni di dollari solo per la transizione energetica, ma già oggi le masse disponibili superano i 130 trilioni: è vitale, secondo il riassicuratore svizzero, creare le condizioni per sbloccare questi fondi. 
Soprattutto per quanto riguarda l’enviroment, le compagnie stanno cercando di condividere i propri risultati non certo per bontà d’animo o beneficienza fine a se stessa, ma perché il loro maggior interesse è che le persone si sentano coinvolte e impegnate nelle questioni legate all’ambiente e ai nuovi modi per stare insieme nella società. 

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