COME IL MERCATO PUÒ GESTIRE IL RISCHIO TERREMOTO

I ceo italiani di Aon e Marsh, Andrea Parisi e Marco Araldi, parlano del ruolo degli assicuratori nella gestione del rischio sismico in Italia: oltre a una maggiore diffusione delle coperture, occorre stimolare una cultura dell’esposizione al pericolo e arrivare a una concreta collaborazione tra i privati e lo Stato

COME IL MERCATO PUÒ GESTIRE IL RISCHIO TERREMOTO
👤Autore: Beniamino Musto Review numero: 103 Pagina: 38-39
Quale risposta concreta può arrivare dal mondo assicurativo per affrontare il rischio terremoto, sia in chiave preventiva sia in termini di trasferimento all’assicurazione di questo rischio? Lo abbiamo chiesto agli amministratori delegati delle branch italiane di due colossi globali del brokeraggio, Aon e Marsh, i quali hanno tracciato a Insurance Review un quadro articolato dello stato dell’arte relativo alle polizze terremoto. 
Secondo Andrea Parisi, ad e dg di Aon Spa, in un contesto fortemente interconnesso, anche le aziende presenti in territori non soggetti a particolari rischi sismici possono comunque risultare particolarmente esposte a tale rischio, in modo indiretto, attraverso la loro supply chain. “Aon – spiega – può supportare i suoi clienti per un assessment della loro esposizione grazie al cat-modelling, che si basa sulle molteplici serie storiche di dati a disposizione”. Uno dei temi di maggiore attualità, rileva Parisi, riguarda “il mancato aggiornamento delle somme assicurate, che tenga in debita considerazione l’inflazione e i recenti rallentamenti nelle catene di approvvigionamento”. Tra le soluzioni che il mercato assicurativo sta esplorando c’è “l’introduzione di nuove polizze parametriche, con liquidazioni post-sinistro collegate a criteri predefiniti e svincolati da puntuali quantificazioni del danno”.
Per Marco Araldi, ceo di Marsh Italia, nel nostro paese occorre innanzitutto lavorare sulla sicurezza infrastrutturale “ma anche sulla cultura del rischio e della prevenzione”. Per Marsh ciò significa “sensibilizzare verso il ruolo degli strumenti assicurativi, ma anche implementare modelli di valutazione e quantificazione del rischio che diano una visione chiara dell’esposizione ai sismi e delle possibili conseguenze”. In chiave preventiva, la tecnologia mette a disposizione strumenti per il monitoraggio e per l’adeguamento sismico delle strutture. “Per essere realmente efficaci – aggiunge Araldi – queste risorse vanno sempre più integrate in una governance in cui la valutazione dell’esposizione al rischio e dei potenziali danni, supportata da modelli scientifici e previsionali, sia la bussola di ogni processo decisionale”. Oltre alla prevenzione, “è importante lavorare sugli aspetti di trasferimento del rischio, sia per le realtà aziendali sia per la Pa, senza trascurare i privati cittadini che, al momento, corrono il rischio di essere sottoassicurati”.

AZIENDE ANCORA TROPPO POCO ASSICURATE

Ma quanto sono diffuse realmente le polizze terremoto nel nostro Paese? “Nonostante l’Italia sia caratterizzata da molteplici zone a rischio sismico – osserva Parisi – generalmente si riscontra una scarsa propensione alla copertura assicurativa a cui fanno fronte ex post gli interventi statali”. Dall’indagine Ania del settembre 2022 è emerso che, nonostante il 75% delle abitazioni a uso privato sia esposto a un rischio significativo di catastrofi naturali, solo poco meno del 5% delle stesse viene protetto da una polizza contro il rischio sismico. “Lato imprese – afferma l’ad e dg di Aon Spa – la diffusione delle coperture terremoto muta fortemente in base alle dimensioni: la percentuale di assicurazione contro il terremoto varia dal 93% riscontrato nelle imprese grandi (fatturato superiore ai 50 milioni), a circa i due terzi per le imprese medie (fatturato compreso tra i 10 e i 50 milioni), fino a un terzo di quelle piccole (fatturato compreso tra i 2 e i 10 milioni). In imprese con fatturato inferiore ai 2 milioni si riscontrano percentuali di assicurazione simili a quelle per le ubicazioni a uso privato (8,4%)”, osserva Parisi.
Secondo il ceo di Marsh Italia, per il mondo delle imprese ci sono margini di miglioramento nella penetrazione assicurativa, in particolare per quanto riguarda quelle di medie e di piccole dimensioni che, evidenzia Araldi, “a differenza delle aziende più grandi, presentano percentuali di assicurazione sensibilmente più ridotte. Ora, se consideriamo il ruolo centrale delle microimprese nel nostro tessuto produttivo (più del 90% del totale), gli effetti di eventi catastrofici su questo comparto rischiano di generare conseguenze rilevanti per l’economia di tutto il Paese”. Anche nella pubblica amministrazione, “le nostre analisi sulle coperture assicurative per il patrimonio pubblico evidenziano, al momento, un’azione di mitigazione limitata. Si riscontrano di frequente massimali di indennizzo non commisurati alle conseguenze dei sinistri, franchigie e scoperti elevati. Nel contesto dei vincoli di spesa della Pa, questo porta a delle coperture che spesso si basano sulle capacità economiche piuttosto che sul reale fabbisogno di tutela, e che portano lo Stato ad assumere quasi per intero gli oneri degli eventi catastrofali ai danni dei beni pubblici”, sottolinea Araldi. 

A QUANDO UNA PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATO?

Si parla molto di arrivare a una partnership tra pubblico e privato: ma nel concreto, a quale obiettivo si può puntare? “Su queste tematiche – afferma Parisi – Aon Italia è impegnata in prima linea nella partecipazione a proposte progettuali di ricerca e innovazione supportate dalla Commissione Europea, insieme a partner internazionali di diversa natura e leader di settore. Queste, infatti, incentivano lo sviluppo di nuove soluzioni assicurative e riassicurative volte a migliorare la resilienza delle comunità e delle infrastrutture critiche alle catastrofi dovute a eventi naturali estremi, quali i terremoti, legati al cambiamento climatico”.
Dal punto di vista di Araldi, la collaborazione tra compagnie assicurative e Stato può essere fondamentale per comunicare e sensibilizzare al valore della tutela assicurativa. “Questa collaborazione – aggiunge – può poi estendersi nella creazione di modelli di assicurazione che permettano un accesso più ampio alle coperture in senso mutualistico, che distribuiscano il rischio sul territorio, con benefici tanto per gli abitanti delle zone più esposte quanto per quelli delle zone sismicamente meno attive”. Questo deve avvenire anche “con la realizzazione di modelli di gestione assicurativa specifici e regolamentati, come avviene in molte altre parti del mondo”.

COSA ACCADE ALL’ESTERO

All’estero infatti esistono diversi casi di compartecipazione tra settore assicurativo privato e Stato. Le opzioni per realizzare questa collaborazione anche in Italia possono essere diverse: un pooling di compagnie private con lo Stato a giocare un ruolo di integrazione per i sinistri che eccedono le capacità del settore privato; oppure forme di compartecipazione mutualistica o un fondo statale. 
Araldi cita come esempio “lo schema francese Catastrophes Naturelles, che dagli anni ’80 offre tutela da un ampio pool di rischi catastrofali, in cui lo Stato è riassicuratore di ultima istanza attraverso la società pubblica Caisse Centrale de Reinsurance, che permette alle compagnie di ottenere capacità e garanzia. Alla base di questo sistema c’è anche l’azione dei cittadini, che finanziano lo schema attraverso un premio addizionale, obbligatorio ma costante, sulle polizze property e furto/incendio”.
Un altro esempio è quello citato da Parisi, parlando di quanto accade in Nuova Zelanda, “dove è stato costituito un EarthQuake Commission (Eqc) a organizzazione e riassicurazione statale, che si occupa della gestione e del pagamento dei sinistri causati da catastrofi naturali. Per le polizze incendio, regolarmente emesse dalle compagnie private di assicurazione, viene previsto l’obbligo dell’estensione alle catastrofi naturali, la cui parte di premi e sinistri vengono trasferite all’Eqc”.

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