IL RINASCIMENTO DEL MARKETING ASSICURATIVO

La comunicazione delle compagnie è stata soprattutto una storia di insuccessi. Ora le cose stanno cambiando, grazie a nuove professionalità, idee vincenti prese in prestito da altri settori e tecnologie che hanno azzerato le distanze

IL RINASCIMENTO DEL MARKETING ASSICURATIVO
Creativo, coinvolgente, pervasivo, social: il marketing assicurativo sta vivendo un rinascimento. O forse sarebbe meglio dire che sta sbocciando solo ora. Certamente sta bruciando le tappe insidiando, per efficacia e apprezzamento dei clienti, settori tradizionalmente considerati molto più smart, come il leisure e l’entertainment. Le campagne pubblicitarie sono azzeccate e divertenti, si differenziano l’una dall’altra e creano quell’engagement che è vitale, oggi, per vendere un prodotto di qualsiasi tipo. Eppure non è facile: la missione non è compiuta perché dalle statistiche e dalle ricerche, il settore assicurativo, anche nelle sue migliori esperienze, fatica a imporsi e a farsi preferire.      

“Assicurazioni e fondi d’investimento sono stati storicamente cattivi comunicatori”, esordisce Enrico Finzi, sociologo e presidente di AstraRicerche, società che si occupa di consulenza e svolge indagini sociali e di marketing. A Insurance Review, Finzi ha spiegato quanto sia diverso, oggi, il panorama rispetto ai primi anni 2000, quando s’iniziava a porsi certe domande. “Anni fa – racconta – svolsi una ricerca in cui chiedevo agli intervistati di elencarmi tutte le campagne pubblicitarie del settore assicurativo che ricordavano. Era effettivamente una domanda complessa perché aperta e quindi mi attendevo percentuali basse ma certamente non così infime come poi fu”. In quella ricerca, solo due campagne erano ricordate da più del 5%: “insomma una catastrofe”, chiosa il sociologo. 
Uno dei problemi principali era quello che Finzi chiama effetto Plasmon; cioè i consumatori non erano in grado di distinguere una compagnia da un’altra quando le pubblicità erano spogliate dal marchio e dal logo della singola impresa: quasi l’80% dei pochi che si ricordavano di averle viste non sapeva attribuirle correttamente. “Concludemmo – aggiunge Finzi – che le compagnie non riuscivano a comunicare perché il messaggio non bucava, e la comunicazione non era afferente al brand”. 



@ fizkes – Fotolia.it

BRAVI ASSICURATORI = BRAVI COMUNICATORI?

Da allora molte cose sono cambiate in meglio. E i motivi sono molti. In primis, c’è una maggiore sensibilità delle imprese al tema del marketing e della comunicazione: è stata decisiva la creazione di team scelti con professionisti competenti che vengono anche dall’esterno delle compagnie, perché “i bravi assicuratori – dice Finzi – non è detto che siano altrettanto bravi comunicatori”. 
In seconda battuta, il top management si è reso conto che la comunicazione e i messaggi vanno rivolti ai consumatori e non agli azionisti. 
Poi si è cominciato a utilizzare in modo migliore le ricerche di mercato, ponendosi le domande giuste. Che preoccupazioni ha il cittadino? Quali termini capisce davvero? 
“Facendo un esempio extra settoriale – spiega il presidente di AstraRicerche – una ricerca di mercato nel comparto agroalimentare ha rivelato come, nonostante la comunicazione in quel settore usi in modo estensivo la parola filiera, questa sia conosciuta da un’esigua minoranza di persone: molti la confondono con il termine filare (di alberi) mentre, per i pochi esperti di meccanica, la filiera è prima di tutto un utensile col quale si esegue a mano la filettatura (il solco elicoidale di una vite, ndr). Questo esempio serve a capire – sottolinea – che molte volte, nei convegni, gli addetti ai lavori discutono ampiamente di qualcosa che al di fuori di quel consesso la gente non capisce”. 
Il quarto elemento decisivo, e più recente, è l’innovazione degli stili di comunicazione. Per un’azienda è necessario farsi ricordare e quindi, successivamente, farsi preferire: solo fino a pochi anni fa, le campagne pubblicitarie trasmettevano concetti di carattere generico che, precisa Finzi, “potevano andar bene per fare pubblicità all’assicurarsi ma non erano necessariamente utili alla singola compagnia per emergere e differenziarsi dalle altre”.





CHI SI LODA… È AUTOREFERENZIALE

Lo stile, il colore, l’intenzione: sono questi i ferri caldi su cui battere per modellare il marketing assicurativo. Riconoscere la strada sbagliata è facile: occorre guardare alla nostra cartina geografica, al mare in cui siamo immersi, e fare affidamento, per una volta, a certi stereotipi che sono però sempre pronti a essere smentiti con un colpo di vento. Secondo il sociologo, il fatto di essere un Paese mediterraneo, ci pone lontanissimi dal memento mori. “Agitare la minaccia – spiega – conduce, in Italia, la maggior parte dei cittadini a girarsi dall’altra parte e non assicurarsi”. È un concetto che, strano a dirsi, il settore assicurativo ha capito solo da poco tempo. 
“Le campagne migliori – sottolinea Finzi – non rappresentano il target, ma evocano una favola. Uno dei difetti della comunicazione finanziaria è la banalità del messaggio: proteggi il tuo benessere, proteggi la tua famiglia, guarda al futuro, sono slogan che al massimo possono fare cultura assicurativa, ma certamente non fanno marketing di brand. In secondo luogo – continua – puntare sui concetti di responsabilità, professionalità e competenza non serve, perché i consumatori che ricevono il messaggio danno per scontato che un operatore di mercato abbia questi attributi. Parlare di sé in maniera laudatoria non paga: nessuno è pronto a screditarsi. Spesso, però, i vertici delle compagnie tendono ancora a una comunicazione autoreferenziale, scartando proposte buone di consulenti capaci”. 


IL RITORNO DELL’AGENTE

Il quadro oggi è in decisa evoluzione, soprattutto per alcuni operatori, non per forza colossi del settore. Questo grazie a un effetto imitativo rispetto ai competitor, ma anche alla riscoperta del fattore umano: cioè dell’intermediario. Secondo Finzi, dopo che il settore ha cercato per anni di deprimerlo, negli ultimi tempi c’è stata una tendenza alla riscoperta della figura dell’agente. “Si è capito – osserva – che il suo ruolo è essenziale, soprattutto nell’era di internet: le compagnie sembrano aver compreso che l’investimento nella rete deve avere anche un ritorno dal punto di vista del marketing. Inoltre, l’agente è cambiato: è un consulente informato, moderno, che è in grado davvero di venire incontro alle esigenze del cliente, più e meglio di prima”.
Non si può trascurare, però, ciò che l’agente deve fare per la maggior parte del tempo: cioè vendere un prodotto. Ecco quindi che le polizze, all’atto pratico, sono la materia in cui si sostanzia tutto il processo di marketing. 
I prodotti, secondo AstraRicerche, devono avere una principale e irrinunciabile caratteristica: la trasparenza. Deve essere davvero chiaro il duplice impegno contrattuale. Ma sappiamo che molte volte non è così, per mille ragioni, non sempre riconducibili alla scelta delle compagnie. “In una recente ricerca – rivela Finzi – abbiamo chiesto agli intervistati come si sentissero dopo aver firmato un contratto di assicurazione: la maggior parte ha risposto che percepivano il legame con l’assicuratore in modo negativo, il che è terribile perché si dovrebbe invece ottenere l’effetto opposto: un sollievo per essersi tutelati e protetti”. 
La prima cosa è quindi la trasparenza, da cercare attraverso contratti semplici e chiari, in cui, lo si dice sempre, non si parli l’assicurese.





UN COMPROMESSO PER NON PENTIRSI DI PAGARE UN PREMIO

I prodotti più apprezzati, per esempio nel ramo danni, conferma Finzi, sono comunque quelli molto personalizzabili, multipli e modulabili, in cui l’elenco dei rischi può essere di volta in volta rinnovato, eliminando e aggiungendo a seconda delle proprie necessità. 
Poi, c’è la questione della sostenibilità economica. Su questo aspetto torna di moda la consulenza, che dovrebbe aiutare ad adattare al meglio la polizza alle esigenze personali: “tuttavia – precisa Finzi – dovrebbe essere sempre chiaro che la perfezione non esiste. Per averla, il cliente dovrebbe probabilmente pagare una cifra che, cumulata negli anni, diventerebbe paradossalmente superiore al massimo dei rischi che corre. Bisogna, quindi, che il cliente non cominci a pentirsi di aver pagato i premi: non si tratta solo di un punto di compromesso economico, ma anche di rischio”. E in questo l’agente è ancora fondamentale, non necessariamente per vendere. 
“Tutto questo complesso di strategie – conclude il presidente di AstraRicerche – mostra una compagnia dal volto umano, non arcigna, e che non trasmette il solo messaggio di voler incassare i premi”. 

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