WELFARE COMPLEMENTARE IN STAND BY?

Le iniziative del governo gialloverde, in particolare Quota 100, sembrano accantonare tutti i discorsi già aperti di collaborazione tra pubblico e privato nella previdenza e nella sanità. Eppure i due mercati sono vivi e in constante sviluppo, anche per merito delle scelte fatte dagli esecutivi precedenti

WELFARE COMPLEMENTARE IN STAND BY?
Il fronte delle pensioni, della sanità, del welfare in generale, è sempre caldo. Il motivo è semplice: il peso di queste voci sulle finanze è preponderante rispetto alle altre nel bilancio pubblico. Ogni governo mette mano in qualche modo a queste materie, così delicate non solo per i singoli cittadini ma anche per tutto il sistema. 
Dopo l’approvazione delle due misure simbolo del governo gialloverde, cioè la riforma pensionistica nota come Quota 100 e il reddito di cittadinanza, si torna a parlare dello stato dell’arte della previdenza complementare e del welfare integrativo, per capire in che modo le scelte degli ultimi anni hanno influenzato e cambiato lo scenario e il campo da gioco dei player privati. 

RITA: UN TENTATIVO DI FLESSIBILITÀ

Secondo Alessandro Bugli, avvocato dello studio legale Taurini-Hazan e da anni collaboratore nell’area formazione e welfare integrato del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, occorre analizzare le due fasi che corrispondono sostanzialmente all’azione degli ultimi tre governi che si sono succeduti. Nel triennio 2016-2018, le iniziative che hanno riguardato la previdenza complementare hanno cercato sia di garantire flessibilità in uscita, sia di superare l’impostazione finora data allo strumento, che sostanzialmente è una copia esatta del primo pilastro pubblico. “Se il sistema pubblico è rigido in uscita – argomenta Bugli – e quello privato richiede requisiti altrettanto rigidi, il risultato è la creazione di due meccanismi che non si completano”. 
Da qui l’idea, ad esempio, della Rita, la Rendita integrativa temporanea anticipata, che doveva contribuire a risolvere il problema, consentendo a chi aveva già un fondo pensione un meccanismo di uscita anticipata, utilizzando proprio il fondo come uno scivolo, con il vantaggio della libertà di scelta e della fiscalità agevolata. “È buona l’idea di avere un secondo pilastro previdenziale che assolve anche a esigenze diverse da quelle del primo, creando soluzione a bisogni concreti: pensiamo alle Ltc o agli anticipi per le spese sanitarie”, sottolinea l’avvocato. 


© ustino73 - iStock

IL RITMO VELOCE DELL’EUROPA

Con l’arrivo del nuovo governo, esattamente un anno fa, questa volontà di riequilibrio nella flessibilità sembra essere stata rinviata a data da destinarsi, perché le iniziative prese in ambito previdenziale sono state finora tutte concentrate sulla parte pubblica. Tuttavia, spiega Bugli, nel frattempo l’Europa è andata avanti: è arrivata la direttiva Iorp II, che ha modificato il funzionamento dei fondi pensione, introducendo regole di governance talmente rigide che condurranno a una concentrazione degli operatori più piccoli. 
“Il secondo tema – aggiunge – è l’introduzione del concetto paneuropeo nella previdenza: garantire cioè ai lavoratori che si muovono per l’Europa la possibilità di portarsi dietro il proprio libretto pensionistico. E poi ci sono i Pepp, i prodotti pensionistici individuali paneuropei, che dovrebbero, di fatto, essere un’alternativa, forse non del tutto valida, ai fondi pensione di secondo pilastro. Quindi, mentre l’Europa spinge nel comparto, in Italia poco si muove”.

LE INIQUITÀ DELLA NUOVA NORMA

Ma guardiamo più nel dettaglio a quello che ha fatto effettivamente il governo. Quanto è costata Quota 100? Secondo Itinerari Previdenziali, fare una stima dei costi non è facile e comunque ancora prematuro. Il centro studi giudica l’iniziativa come un’opzione che rende più flessibile il sistema rigido creato dalla riforma Fornero: “l’idea iniziale – spiega Michaela Camilleri, ricercatrice dell’area previdenza e finanza di Itinerari Previdenziali – è apprezzabile ma nel concreto sono state create anche delle iniquità. Pensiamo, per esempio, a Opzione donna, che ricalcola l’intero assegno previdenziale con il metodo contributivo, cosa che Quota 100, i cui principali beneficiari sono maschi, non fa”. Il problema è che continuare a inserire in questa materia misure nuove toglie stabilità al sistema. 
“Ciò che è certo – continua Camilleri – è che le riforme degli ultimi vent’anni hanno stabilizzato la spesa pensionistica pura: quello che preoccupa è però la crescita di quella assistenziale. Fino a oggi il sistema era abbastanza consolidato, ora l’ultima riforma ha aumentato l’incertezza: Quota 100 vale, per ora, per il triennio 2019-2021 e non sappiamo ancora se la misura sarà resa strutturale”. 

LA CHIAVE È IL TFR

Tuttavia, nonostante il nuovo governo sembri non curarsi delle pensioni integrative, la previdenza complementare non ha avuto alcun detrimento, tanto che i numeri ci dicono che l’adesione continua a crescere. A riprova che, a volte, la stabilità normativa è premiante. 
Se si guarda il dato complessivo degli iscritti, a forme di previdenza complementare, l’Italia conta circa otto milioni di teste e i Pip sono la forma con più iscritti, tanto che hanno superato di gran lunga i fondi negoziali e quelli aperti. Però, occorre saper interpretare quei numeri. In primis, in quel dato ci sono doppi iscritti che investono quindi su più fondi, “ma il problema vero – sottolinea Bugli – è quanto si versa nel fondo, giacché da un punto di vista pratico non c’è un beneficio se non si investe”. 
In questo senso, rientra la grande questione del Tfr che, secondo l’avvocato dello studio milanese, “è il meccanismo più utile” per alimentare con costanza un fondo integrativo. Se per i lavoratori delle grandi aziende, il meccanismo è già rodato, molto diverso è lo scenario di quelle piccole e medie, cioè la stragrande maggioranza delle imprese italiane. “Quando Alberto Brambilla (presidente di Itinerari Previdenziali, ndr) aveva scritto la riforma del 2005 – spiega Bugli – aveva inserito un fondo di garanzia per le Pmi, poiché dev’esserci qualcosa che bilancia l’uscita del Tfr, che per le Pmi è sostanzialmente capitale circolante”. 



IL PESO DELLO ZAINETTO

Su questo punto, però, deve giocare il suo ruolo anche l’educazione finanziaria e previdenziale, perché il grosso della contribuzione alla pensione integrativa può essere dato proprio dal Tfr: in questo modo potrebbero entrare nel circolo del secondo pilastro un grande numero di Pmi. “Non serve contare le teste assicurate, ma pesare gli zainetti pensionistici”, evidenzia Bugli. 
In un Paese in cui l’alfabetizzazione finanziaria è quasi nulla, lo sforzo che sta facendo il settore privato, compresi i distributori, è importante. Secondo l’avvocato, però, per ottenere più risultati occorrerebbe passare “da una logica di vendita a una di consulenza lungo tutta la vita”, spiegare che il fondo pensione è un libretto di risparmio che accompagna chi lo sottoscrive, facendo leva anche sulle prestazioni intermedie e non solo sul discorso pensione. 

LA CONFUSIONE DELLA SANITÀ

L’altro grande tema del welfare italiano riguarda la sanità. In questo campo, la situazione è ancora più complessa e a uno stato più embrionale. Uno dei problemi di fondo è lo scarso coordinamento tra cosa fornisce lo Stato, la regione, il comune di residenza, in generale il primo pilastro pubblico, e cosa può invece fare il privato. Anche nella spesa sanitaria privata c’è molta confusione. Non è vero, per esempio, che continua a crescere, ma segue l’invecchiamento della popolazione, mentre nei 40 miliardi di euro circa di cui si parla come spesa out of pocket c’è anche di voluttuario e non necessario. 
“Il Sistema sanitario nazionale – dice Michaela Camilleri – nonostante le numerose difformità territoriali è un buon sistema, ma quello che la parte pubblica ha dimenticato è proprio il contributo che può dare il settore privato”. 


© AndreyPopov - iStock

IL RISCHIO DI TORNARE INDIETRO

Dall’ultima indagine della commissione Affari sociali della Camera, sembra che si vada verso l’idea di una sanità integrativa che opera solo come strumento di erogazione di prestazione extra Lea: “come dire – precisa la ricercatrice – che tutto ciò che fa il pubblico il privato non lo può fare. Quest’iniziativa significherebbe rinnegare tutto il percorso fatto negli ultimi 26 anni”. 
Un Paese che ha un sistema di sicurezza sociale squilibrato ha anche un sistema di welfare complementare non efficiente. Quest’ultimo attecchisce laddove lo Stato sociale è radicato. È interessante, in questo senso, quello che sottolinea il Bilancio previdenziale di Itinerari Previdenziali: la sanità integrativa è sviluppata molto meno nelle regioni dove la sanità pubblica è di minor qualità, mentre in quelle più ricche, dove il primo pilastro è più efficiente, il welfare complementare è più diffuso. “È una questione di cultura del wealth management, di approccio al risparmio, che è ancora molto scadente nel modello italiano”, conclude Bugli. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti