UN SISTEMA E I SUOI ANTIVIRUS

Un’efficace gestione dei rischi parte da una corretta raccolta delle informazioni, un’attenta analisi dei fattori critici e un’offerta personalizzata sulle effettive esigenze dell’assicurato. Ne parliamo con i diversi attori di un settore che varia al variare delle emergenze

Watermark 16 9
👤Autore: Laura Servidio Review numero: 12 Pagina: 27 - 30
La crisi economico-finanziaria, la globalizzazione, il mutato contesto sociale, il proliferare di normative, spesso orientate all’armonizzazione internazionale di standard intersettoriali (Iso31000) o di settore (Solvency II) e la crescente digitalizzazione hanno contribuito alla manifestazione di nuovi rischi, quali ad esempio il cyber risk, e all’enfatizzazione di rischi già esistenti, come quello legato alla supply chain.

Una risposta importante può arrivare dall’industria assicurativa. “È necessario – spiega Orazio Rossi, country manager di Ace Europe – che società, broker e assicuratori comprendano quanto sia necessario lavorare insieme, nel medio lungo periodo: per raccogliere e condividere le informazioni necessarie per individuare i profili e la portata nei diversi contesti. In altre parole, i rischi emergenti non possono essere gestiti come quelli tradizionali, in una logica di transazione, nell’ambito della tradizionale stagione dei rinnovi”. 

Nel caso della supply chain, ad esempio, è possibile che l’assicuratore si faccia carico delle conseguenze dirette e indirette che un evento occorso a uno dei fornitori (o anche a un subfornitore) potrebbe comportare sulla sua capacità di garantire gli impegni presi. “Per farlo, però – continua Rossi – è necessario che le catene di approvvigionamento siano note, che i fornitori chiave siano identificati e ciascuno di essi valutato attentamente per i rischi ai quali è esposto: un evento severo occorso a un fornitore chiave può mettere in ginocchio un’azienda determinandone il blocco produttivo, anche per molti mesi in un contesto dove, sempre di più, si applicano logiche di just-in-time con magazzini ridotti all’osso. Lo hanno compreso bene le aziende europee (alcune anche italiane) e americane quando, un paio di anni fa, il principale distretto industriale thailandese è finito sott’acqua per un alluvione”. 
Anche il danno ambientale è assicurabile: si possono coprire i costi di bonifica conseguenti a un evento e quelli necessari per la messa in sicurezza a fronte di una minaccia; in questo ambito, poi, sono fondamentali i servizi accessori che la compagnia, per il tramite dei suoi partner specializzati, è in grado di mettere in campo sia in fase di assessment preventivo sia nella fase di pronto intervento, successiva all’evento, fondamentale per il contenimento del danno.  
Anche nel cyber risk cominciano a esserci coperture in grado di dare risposte. È possibile dare protezione ai danni materiali diretti (costi di ripristino per un sistema violato), a quelli di notifica per un furto di dati personali, a quelli indiretti connessi all’interruzione dell’attività, così come a quelli di responsabilità, nel caso in cui l’evento arrechi danni a terzi. 





FARO SULLA NORMATIVA

Tra i nuovi rischi, derivanti dalla crescente globalizzazione, ci sono quelli legati alle baby multinational, società tipiche del tessuto produttivo italiano che, pur non essendo grandi in termini di fatturato, hanno già impianti produttivi all’estero. “Questo è un segmento importante dell’Italia manifatturiera – precisa Rossi – e rappresenta la parte più vitale del nostro talento imprenditoriale. Molte di queste aziende, ancora oggi, sono assicurate in violazione delle più elementari norme in materia fiscale e civilistica, sia in Italia sia nei Paesi esteri in cui sono localizzati gli impianti, esponendo tutti, compreso gli intermediari, a rischi crescenti. È ancora molto comune che, in forza di polizze emesse in Italia, si coprano impianti e persone residenti in Paesi esteri dove non è consentito dalle normative locali operare su basi cosiddette non admitted. In questi casi, quando si verifica un sinistro importante in uno di questi impianti all’estero, potrebbe non essere automatico che la società locale benefici dell’indennizzo corrisposto in Italia. Un evento serio potrebbe accendere un faro per le autorità locali che, scoprendo che l’impianto era assicurato in forza di una polizza emessa in un Paese estero non admitted, potrebbero pregiudicare la continuazione stessa dell’attività”. 

Anche l’idea di sottoscrivere coperture locali non è molto praticabile per la complessità e i rischi che questo comporterebbe. “Ace – sottolinea Rossi – ha sviluppato una specifica competenza nel predisporre programmi multinazionali destinati alla media impresa italiana internazionalizzata, che consentono da una parte di avere un unico punto di negoziazione mantenendo il controllo centrale sulle coperture in forza; dall’altra, di garantire il rispetto della compliance alle normative civilistiche e fiscali di tutti i Paesi coinvolti. Le competenze e il network di cui Ace dispone, ci consentono di impartire istruzioni affinché siano emesse polizze in più di 190 Paesi, nel pieno rispetto delle normative locali e di quanto concordato nel contratto stipulato in Italia. Questo è un tema al quale le aziende e i loro intermediari dovrebbero prestare molta più attenzione di quanto non facciano oggi”.





IL RUOLO DEI FORNITORI

Un grande potenziale di cumulo per gli assicuratori é dato anche dai danni da contingent business interruption (Cbi) che subentrano, nell‘ambito dell‘assicurazione interruzione d’esercizio, in seguito a sinistri subiti da fornitori o clienti diretti, i quali non sono più in grado di mantenere gli impegni presi. “L’abbattimento delle barriere commerciali, l’outsourcing su scala globale e il crollo delle spese di trasporto – spiega Davide Gilli, direttore commerciale di XL Insurance Company – hanno modificato le modalità con cui le merci sono prodotte e distribuite, lasciando poco margine di errore nella supply chain. Le catene di produzione sono spesso molto complesse e sempre più sensibili, la merce viene ordinata just in time oppure just in sequence e la ripartizione del lavoro tra diversi soggetti è aumentata anche a fronte di un’internazionalizzazione, sempre più spinta, delle aziende. Una piccola interruzione in queste lunghe catene di fornitori può causare un’importante contrazione nella produzione, provocando perdite economiche e reputazionali all’azienda finale. Questo nuovo scenario rende molto più complessa e difficile la valutazione d’esposizione di rischio per gli assicuratori che dovranno effettuare un assessment dei rischi su diverse aree geografiche”. 

Le catastrofi naturali nel 2011, quali le inondazioni in Thailandia e il terremoto in Giappone, hanno causato danni rilevanti alle infrastrutture, con disagi senza precedenti per la supply chain. “Questi eventi – conferma Gilli – non solo hanno messo in crisi le aziende direttamente colpite, ma hanno anche avuto ripercussioni su scala globale, laddove molte forniture utilizzate dalle aziende di tutto il mondo possono provenire da specifiche aree geografiche. A seguito di questi catastrofici eventi, molte aziende hanno messo in atto specifiche strategie di monitoraggio dei propri fornitori, individuando nel risk engineering la soluzione per gestire queste complesse esposizioni: gli ingegneri del rischio, specializzati nei rami trasporti e danni, assumono una prospettiva olistica per identificare i pericoli in tutto il sistema, individuare le cause più probabili di interruzione, rispondere ad una carenza di fornitura rapidamente e subito dopo il verificarsi di un problema”. 

XL Insurance offre, insieme ai programmi globali di copertura assicurativa per i trasporti e per i danni ai beni, anche servizi di risk engineering focalizzati sull’individuazione e sulla mitigazione dei rischi della supply chain, che coprono sia l’area tradizionale property sia l’area marine e supply chain.
“Abbiamo sperimentato – conferma Gili – che, a causa di eventi sociopolitici o eruzioni vulcaniche che impediscono il traffico aereo, le nostre aziende subiscono danni all’attività produttiva e le criticità legate alla supply chain dimostrano come la contingent business interruption possa rappresentare una vera minaccia per le aziende. Questi eventi, non causando danni ai nostri beni o a quelli dei nostri fornitori diretti, non fanno scattare la classica copertura business interruption, pertanto l’azienda rimane esposta e la perdita di fatturato non rimborsata; l’evento del Giappone ha mostrato come siano stati denunciati sinistri anche in Paesi non toccati dall’evento e come la gestione di tali sinistri abbia messo in luce nuove problematiche per tutti gli attori coinvolti (cliente, broker, assicuratore). I rischi Cbi – conclude – crescono e il ricorso alle tecniche di risk management e loss prevention diventano strumenti fondamentali”.


QUANDO IL DANNO E' INQUANTIFICABILE

Quando si parla di rischio reputazionale, molto dipende dal tipo di attività dell’azienda assicurata.
“È difficile – conferma Francesco Semprini, direttore generale Hdi-Gerling – quantificare il rischio reputazionale, perché è necessario tenere conto della tipologia di impresa. Ad esempio, un’azienda chimica ha un grado di esposizione inferiore rispetto a un’azienda alimentare o, ancora di più, rispetto a un’azienda che vive di brand; come nel caso del danno morale, anche nel caso di quello reputazionale, è difficile calcolare quale potrà essere la perdita economica derivante da un danno d’immagine”.

In entrambi i casi, sono due le strade praticabili: stabilire dei limiti di polizza stringenti o effettuare un’accurata analisi dei rischi. “Soprattutto nel caso della supply chain – spiega Semprini – la strategia di Hdi-Gerling per gestire e contenere i danni parte dall’analisi della tipologia dei fornitori: l’ubicazione (se un fornitore si trova in Egitto, vi è un alto rischio politico), l’organizzazione e la struttura (se il fornitore ha uno o più stabilimenti e qual è la saturazione delle sue linee di produzione), da chi arriva il semilavorato o il componente per la produzione di un farmaco o di un macchinario. Più l’analisi è precisa, più è possibile essere generosi con il cliente. Naturalmente, anche le analisi hanno dei limiti: non è possibile conoscere tutti i fornitori, dovendo limitarsi a individuare quelli chiave. Il tutto presuppone un buon rapporto di collaborazione con il cliente che deve fornirci tutte le informazioni”.

In ogni caso, l’elemento chiave è la personalizzazione. “Servono polizze fatte su misura: in Hdi-Gerling, le clausole le discutiamo nello specifico con il cliente, in base al settore di attività (alimentare, turbine, farmaceutico), alla normativa locale e ad altri fattori. Si parte da qui per costruire un’analisi per la supply chain”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti