RISPARMIO E WELFARE: QUALE FUTURO PER IL PAESE?

Gli italiani investono quasi la metà della ricchezza finanziaria in depositi e conti correnti. Ciò aveva senso in un contesto macroeconomico stabile che garantiva buoni rendimenti. Quest'era però è finita e le famiglie sono chiamate oggi a trovare nuove forme di investimento: ecco le risposte dell'industry e della politica

RISPARMIO E WELFARE: QUALE FUTURO PER IL PAESE?
👤Autore: Renato Agalliu Review numero: 34 Pagina: 38 - 43
L’incertezza sulla durata dell’attuale contesto, in cui è chiamata a fare la sua parte anche l’industria del risparmio gestito, è l’unica certezza. Nel mondo alla rovescia, con tassi di interesse prossimi allo zero, o addirittura negativi, e fasi di intensa volatilità, ci si trova dinnanzi a un territorio inesplorato, che non si svela nei manuali di economia e appare di difficile decodificazione sia per i mercati finanziari sia per le banche centrali. 
In uno scenario di mercato mutato, reso più difficile e sfidante dalla necessità di operare le scelte più opportune, gli obiettivi degli attori protagonisti dell’industria del risparmio gestito continuano a essere i medesimi: trovare le appropriate combinazioni sull’asse rischio-rendimento e soluzioni diversificate per esigenze differenti. Gestori e investitori istituzionali sono chiamati a rispondere alle sfide posizionandosi su asset class diverse e ricercare rendimenti più elevati, assumendosi, però, anche i relativi rischi con strategie più attive e slegate dal benchmark. 

In quest’ottica, secondo quanto emerso nel corso del Salone del Risparmio tenutosi a Milano, potrebbero convergere verso un ripensamento interno in termini di governance, professionalità e competenze. Senza dimenticare di rivedere il rapporto verso l’esterno nell’ambito di un più generale dovere di accountability (trasparenza, informazioni), oltre a intraprendere un percorso verso una migliore educazione finanziaria, affinché possa essere compreso che al trend di crescita di lungo periodo possono accompagnarsi oscillazioni nel breve. In termini pratici, poi, per enti e fondi pensione tutto ciò si inserisce nella cornice normativa riguardante le innovazioni regolamentari in materia di previdenza. In particolare, da maggio 2016, come rimarcato da Nicola Mango del Dipartimento del Tesoro, direzione IV mercati finanziari e sistema bancario, dispiegherà pienamente i suoi effetti, con il termine delle deroghe previste da regime transitorio, il cosiddetto Decreto 166. Si tratta della nuova disciplina, del ministero dell’Economia e delle finanze del 2 settembre 2014, n. 166, in materia di limiti agli investimenti e conflitti di interesse dei fondi pensione. 

Il decreto richiede ai fondi pensione di investire nel rispetto del principio della sana e prudente gestione “onde perseguire l’interesse degli aderenti e dei beneficiari della prestazione pensionistica, con l’obbligo di esporre un parametro oggettivo (non necessariamente il benchmark), di dotarsi di un modello organizzativo di gestione e controllo del rischio comunicandolo alla Covip”. In pratica ogni investimento è ammesso se il fondo è in grado di gestirlo/controllarlo mentre l’autorità di vigilanza ha il compito di monitorare costantemente la situazione. In breve, le innovazioni regolamentari per i fondi pensione, passando da un approccio prevalentemente quantitativo a uno maggiormente qualitativo, incentrato sulla ponderazione dei processi nonché sulla gestione dei rischi connessi agli investimenti, introducono: una maggiore flessibilità negli investimenti, con possibilità di ricorso anche a quelli meno liquidi; ricorso a fondi chiusi/alternativi e opportunità di diversificazione nei mercati emergenti. “Fermo restando – specifica Mango – la fissazione di appositi paletti di tipo prudenziale volti a regolamentare l’attività di investimento”.

IL RISPARMIO CRESCE NELLE SCELTE DELLE FAMIGLIE 

Dopo le incertezze che il 2014 ha trascinato con sé, il 2015 ha segnato un miglioramento del sentiment che vede i risparmiatori più disposti ad ascoltare e a pensare al futuro in termini ottimistici. È questa l’istantanea che si ricava dall’ultimo osservatorio GfK e Prometeia. Nello specifico, sono cresciute le famiglie che risparmiano e le quote di flussi accantonati, a riprova di una ripresa del potere di acquisto dei redditi della seconda parte dell’anno. Tuttavia, gli italiani continuano a manifestare la loro endemica difficoltà e a canalizzare il risparmio in progetti di lungo respiro, focalizzandosi su pochi importanti obiettivi: accumulo (meno in logica emergenziale rispetto al passato), famiglia, casa e previdenza. In tema previdenziale, nell’indagine si evidenzia come la sua rilevanza sia ancora molto contenuta. Tradotto: ciò non significa, come potrebbe apparire, che le persone non stiano elaborando strategie per il futuro, ma piuttosto non si prefigurano soluzioni tecniche specifiche. 
Nell’ultimo triennio le famiglie hanno investito in strumenti gestiti dagli investitori istituzionali quasi 300 miliardi di euro, che sono venuti in larga parte dal decumulo di obbligazioni bancarie, date le minori esigenze di finanziamento delle banche e, in misura minore, di titoli pubblici, la cui redditività è oggi particolarmente compressa. Fondi comuni, polizze vita e prodotti previdenziali sono così arrivati a costituire il 27% del portafoglio delle famiglie, il più alto livello degli ultimi 20 anni (avevano toccato il 23,6% a fine 1999), avvicinando il portafoglio delle famiglie italiane alla struttura che caratterizza gli altri Paesi avanzati, dove è scarsamente presente l’investimento diretto in titoli di debito. 
L’insieme dei prodotti di risparmio gestito (fondi comuni, gestioni patrimoniali, polizze vita e fondi pensione) nei portafogli delle famiglie italiane, che ha superato i 1350 miliardi di euro a fine 2015, potrà pertanto crescere ancora, pur se a tassi meno vivaci dell’ultimo triennio (25% nel 2016-2018 contro il 45% nel 2013-2015). All’interno del mercato, una componente importante sarà costituita dai fondi comuni, sia nella componente che entra direttamente nei portafogli attraverso fondi di fondi e gestioni in fondi, sia attraverso l’ulteriore riequilibrio del business assicurativo verso le polizze unit linked.


IL GAP PREVIDENZIALE E SANITARIO 

La coperta del welfare pubblico, sebbene il bilancio pensionistico puro si regga, è sempre più corta, con la spesa assistenziale eccessiva e spesso fuori controllo. E in prospettiva di medio-lungo termine, analizzando i punti salienti del Terzo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, pubblicato a febbraio dal centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali, sarà sempre più difficile da sostenere. Dallo studio si desume che un accorto lavoro di razionalizzazione degli sprechi offrirebbe risorse per rendere più flessibile, già dal 2016, il pensionamento anticipato. Un tema, questo, al centro del dibattito politico. L’operazione, che è studiata anche per offrire maggiori chance alle giovani generazioni in cerca di occupazione, non può essere realizzata senza un’adeguata copertura finanziaria. In questa direzione Ugo Loser, ad di Arca Sgr ha sottolineato che “il risparmio previdenziale privato è una priorità perché rende socialmente sostenibile la riforma della pensione pubblica”, arrivando persino a prefigurare che “se il sistema previdenziale pubblico, come nel mondo anglosassone, si limitasse a garantire i minimi pensionistici e se si indirizzasse il resto della parte contributiva al mercato privato, la previdenza privata potrebbe valere la metà del risparmio gestito attuale”. 


Tuttavia, il gap del sistema pubblico italiano non si segnala solo in campo previdenziale ma anche in materia di tutela della salute. Stando all’indagine Censis per il Forum Ania-Consumatori nel 2015, nel nostro Paese, oltre la metà dei cittadini (53,6%) dichiara che la copertura dello Stato sociale si è ridotta e paga di tasca propria molte delle spese che un tempo erano coperte dalla socialità. I tagli alla socialità pubblica hanno riversato sulle famiglie il costo delle prestazioni e dei servizi: nove milioni di queste hanno dovuto rinunciare a una prestazione sanitaria e 450mila sono state costrette a fare una scelta importante per garantire l’assistenza ai congiunti non autosufficienti. Quest’ultimi, in Italia, sono tre milioni con una spesa per le famiglie di 10 miliardi l’anno; il che porta il 78% degli italiani a dichiararsi favorevole a un’assicurazione contro la non autosufficienza. Inoltre, il progressivo invecchiamento della popolazione in Europa, e in Italia particolare, (secondo The European House-Ambrosetti sono previsti circa quattro milioni di ultra 85enni nel 2050) porterà a un bisogno crescente di strutture adeguate e moderne in grado di offrire un’assistenza socio-sanitaria e servizi di riabilitazione e lunga degenza post-acuta adeguati e qualificati. L’incremento della speranza di vita renderà, perciò, necessarie sempre più residenze specializzate in ambito Ltc. 
A breve in Italia vi sarà domanda per oltre 100 nuove residenze Ltc ogni anno. Del resto, ricorrere a progetti legati alla cura della persona non è un’idea del tutto nuova nel panorama della gestione immobiliare in Italia. Ma le difficoltà incontrate dai vari progetti precedenti sono state principalmente legate alla scarsa maturità dell’industria che faceva ancora riferimento alla dicotomia struttura pubblica contro iniziativa privata di piccola impresa. 

I NUMERI DELL’INDUSTRIA DEL RISPARMIO 

L’industria del risparmio gestito italiano si è definitivamente lasciata alla spalle la pesante eredità della duplice crisi finanziaria e del debito sovrano, mettendo a segno risultati significativi. La raccolta netta, positiva a partire dalla metà del 2012, si è rafforzata al punto da raggiungere durante il 2015 quota 142 miliardi di euro. Un livello secondo solamente a quello registrato nell’anno boom dei fondi comuni (1998). “Il patrimonio gestito ha raggiunto valori mai toccati nel corso della più che trentennale storia del risparmio gestito in Italia: a fine 2015 esso ammontava a 1.835 miliardi di euro, una cifra pari al 118% del Pil ed equivalente al 45% del totale delle attività finanziarie detenute dalle famiglie”, ha esordito il neo presidente di Assogestioni, Tommaso Corcos, aprendo i lavori dell’edizione 2016 del Salone del Risparmio. Numeri tanto più significativi se rapportati a un prodotto interno lordo che dal 2008 è calato di circa il 9%. La crescita è stata alimentata dalla ricomposizione di portafoglio delle famiglie italiane, che hanno abbandonato l’investimento diretto in titoli per entrare nel risparmio gestito. Invero, questi numeri fanno parte di un trend di sviluppo dell’asset management globale, giunto a una fase di maturità, con una previsione di crescita annua pari all’1,7% per il prossimo quinquennio, dopo le ampie oscillazioni dei periodi precedenti. “Guardando più da vicino l’evoluzione del mercato italiano, si possono individuare due elementi caratteristici: il ruolo delle componente retail particolarmente dinamica negli ultimi anni, e l’elevata apertura alla concorrenza internazionale”, evidenzia Corcos. 

Nei fondi comuni, il 34% del mercato è rappresentato da prodotti istituiti fuori dall’Italia e promossi da gestori esteri. L’apertura media del sistema distributivo presso la clientela retail, è stimata pari al 42% e raggiunge punte superiori al 60% tra gli intermediari specializzati nella fascia private. Risultati importanti che devono servire da trampolino di lancio per le nuove sfide che attendono il settore. 

SOLUZIONI? PARTNERSHIP PUBBLICO-PRIVATO 

Per sviluppare la crescita organica del settore del risparmio nei prossimi anni, il presidente di Assogestioni ha declinato una serie di linee guida: “consolidare i modelli di servizio dell’industria; mantenere elevati standard di governance mettendo al centro dei dibattiti il concetto di stewardship; allargare l’azione dell’industria del risparmio gestito anche verso il mondo delle Pmi e dell’economia reale; portare le Sgr a giocare un duplice ruolo a livello previdenziale, sia come promotori di soluzioni sia come gestori del risparmio raccolto attraverso i nuovi Peep (Pan-european personal pension) europei; valorizzare il capitale umano della nostra industria e svolgere una parte da protagonisti nel processo di educazione finanziaria delle famiglie italiane”.

Tuttavia, perché questo modello possa essere messo in pratica celermente, anche la politica deve fare la sua parte, affinché “il risparmio a lungo termine diventi un obiettivo di policy”. In questa direzione la risposta non si è fatta attendere ed è giunta direttamente dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: “siamo impegnati – ha esordito – in una nuova fase del progetto Finanza della crescita 2.0 e il governo sta valutando l’introduzione di misure volte a indirizzare il risparmio verso investimenti produttivi e a stimolare lo sviluppo della gestione specializzata del risparmio, dove l’Italia potrebbe giocare un ruolo più deciso”. In questa direzione il Belpaese, ha rilevato il ministro, sta volgendo lo sguardo altrove: verso il modello francese del Plan d’epargne in action e quello statunitense Venture capital trust, con l’obiettivo di puntare a modelli di governance più avanzati. Un passo, questo, che potrebbe segnare la svolta anche a livello comunitario, con il regolamento sugli Eltif (European long term investment fund) e con il progetto Cmu (Capital market union). E proprio in quest’ultimo piano d’azione si inserisce la grande sfida dell’industry del risparmio lanciata anche da Assogestioni: ossia lo sviluppo di un mercato previdenziale attraverso la nascita del Peep, il prodotto paneuropeo standardizzato. 

UN FONDO PER LE STRUTTURE SOCIO-SANITARIE

Per rispondere alle esigenze di assistenza è nato il Fondo Personae: un fondo immobiliare dedicato alle strutture socio-sanitarie e sanitarie, connesse con l’abitare e l’assistenza agli anziani, con la cura delle disabilità fisiche e mentali e con la riabilitazione di persone di qualsiasi età, con la ricerca/prevenzione/cura della salute in generale. Lanciato recentemente da Serenissima Sgr e il gruppo Orpea, con la consulenza di Reddy's Group, il patrimonio del Fondo Personae è previsto tra un minimo di 90 milioni di euro da raggiungere entro il termine del primo periodo di sottoscrizione, fino a un massimo di 900 milioni, che potrà essere ottenuto con emissioni successive. Gli investimenti del fondo saranno effettuati prevalentemente in Italia (dal 50,1% al 100% del valore degli investimenti totali) ed eventualmente, ma in forma minoritaria (da zero al 49,9%), all’estero. Il fondo è riservato esclusivamente a investitori professionali e ad altri soggetti tempo per tempo autorizzati alla sottoscrizione e detenzione di quote di fondi di investimento alternativi, riservati ai sensi della vigente disciplina di settore e nel complesso definiti gli investitori qualificati. 

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