CLAIMS MADE: UNA RIVOLUZIONE PER L’RC PROFESSIONALE

Nel redigere la sentenza 9140 sulla legittimità della clausula claims made, sembra che le sezioni unite della Corte di Cassazione non abbiano tenuto conto delle conseguenze pratiche delle loro decisioni. Chiarita la questione sull'ammissibilità della stessa nel nostro sistema, si aprono altrettante preoccupanti situazioni circa la validità della garanzia e la capacità di copertura della polizza

CLAIMS MADE: UNA RIVOLUZIONE PER L’RC PROFESSIONALE
C’è un importante dibattito dottrinale e, per certi aspetti, persino filosofico (parliamo di filosofia del diritto) che resta spesso sotto traccia nelle analisi degli addetti ai lavori e nelle aule di giustizia, ma che talvolta irrompe sulla scena attuale, impattando in modo dirompente sui diritti delle persone e, in proiezione, sugli equilibri economici.

Il dibattito riguarda una domanda: se una corte superiore, nelle occasioni in cui sia chiamata a disciplinare e indicare al sistema una via o una regola, debba o meno tenere conto degli effetti pratici del proprio decidere, tanto sul sistema macroeconomico che governa una nazione, quanto sulla sorte di un diritto conteso o di un settore che incide su importanti interessi, spesso già in precario equilibrio.
Ci si chiede cioè se, nel tracciare una linea o una nuova interpretazione di una regola, le corti superiori (specie quando decidono sulla legittimità costituzionale di una norma, ovvero rendono a sezioni unite un principio che tutti dovranno seguire da lì in poi) debbano tenere conto degli effetti pratici sul sistema di quanto si apprestano a regolare, ovvero se il ragionamento debba rimanere neutro rispetto agli interessi, pur dirompenti, in gioco.

Sembra che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel redigere la sentenza depositata in data 6 maggio 2016 (n. 9140, pres. Rordorf, est. Amendola) sulla complessa e annosa questione della legittimità della clausola denominata claims made o a richiesta fatta, non si siano in nulla curati delle conseguenze pratiche della loro decisione.
Si giustifica quindi la preoccupazione (e i cattivi presagi) che la lunga attesa della decisione aveva indotto ai più nel mondo degli operatori, mercato assicurativo in testa, temendo i possibili effetti dirompenti di una eventuale dichiarazione di illegittimità della clausola in argomento (come da più parti sostenuto), ovvero di una sua rivisitazione radicale sotto l’aspetto della regolamentazione degli interessi sinallagmatici in gioco.
Se il primo aspetto è stato superato con una chiara deliberazione a favore della ammissibilità della clausola claims made nel nostro sistema, sul secondo profilo (la diversa regolamentazione che la Corte impone circa la validità della clausola) la questione è oggi assai preoccupante. 

Né va sottaciuto il fatto che la clausola claims made oggi regolamenta tutto il mercato assicurativo che si offre al mondo delle professioni, soggetto e compresso tra obblighi di dotarsi di “idonee coperture assicurative” (l.148/2011 e L.189/2012, meglio nota come legge Balduzzi) e una penuria di offerta di prodotti assicurativi adeguati sul piano della ampiezza della garanzia, e sostenibili su quello del loro costo economico.

IL NODO DELLA MERITEVOLEZZA DELLA TUTELA

La scansione sintetica di questa fondamentale decisione nel panorama della assicurazione (specie) della responsabilità civile e, ancor più incisivamente, di quella professionale, può essere così delineata:
  • la clausola claims made è in via generale legittima nel nostro ordinamento perché è consentito derogare allo schema di cui all’art. 1917 cc;
  • la stessa non è mai vessatoria, perché attiene sempre alla delimitazione dell’oggetto assicurativo e non mai alla esclusione di una quota di responsabilità per l’assicuratore;
  • tuttavia la clausola in questione può essere fatta oggetto, da parte del singolo giudice, di sindacato di legittimità sotto il profilo della meritevolezza di tutela della deroga al regime legale ordinario;
  • in questo contesto di esame di legittimità, in linea di principio, appaiono legittime le clausole claims made così dette pure (con retroattività illimitata), perché le stesse “svalutano del tutto la rilevanza dell’epoca di commissione del fatto illecito”;
  • di contro, assai problematica sarà l’indagine di meritevolezza con riferimento alle clausole così dette impure (retroattività limitata nel tempo ndr), a partire da quella, particolarmente penalizzante, che limita la copertura alla sola ipotesi che, durante il tempo dell’assicurazione, intervengano sia il sinistro che la richiesta di risarcimento”;
  • infine, ogni qual volta la clausola sia prestata in vigenza di un obbligo assicurativo ex lege per il professionista (come è oggi per ogni esercente), ove l’interesse protetto è prevalentemente quello del cliente terzo danneggiato, il giudizio di idoneità sarà sempre negativo ogni qual volta una clausola claims made (comunque articolata, pura o mista) esponga il garantito a buchi di copertura.


RETROATTIVITÀ E INCERTEZZE NELLA VALUTAZIONE

È estremamente importante comprendere, pur in questa fase di impatto embrionale e ancora di sintesi interpretativa, quali saranno le conseguenze immediate e a breve termine di tale importantissima sentenza, alla luce di quelle che sono le prime decisioni di merito che si cominciano a leggere, proposte dai tribunali dello Stato chiamati per primi a cimentarsi con la sentenza 9140.
La sentenza infatti (la critica era emersa fin dalle prime analisi), mentre traccia in modo chiaro, se si vuole, le regole di ammissibilità e liceità della clausola in un contratto, affatto chiarisce come debba regolarsi un giudice nella ipotesi in cui ritenga non giustificabile il testo della clausola in questione: dovrà annullare tutto il contratto o una parte di esso? E, nel secondo probabile caso, quale regime di durata della copertura dovrà subentrare a quello che le parti avevano pur liberamente scelto? 
In particolare, come si legge nelle decisioni di merito uscite nei mesi scorsi, non è chiaro se la illegittimità di una clausola claims made, che preveda una retroattività inefficace perché troppo limitata nel tempo, debba portare al semplice ampliamento del tempo della garanzia, ovvero alla sua sostituzione (come, per altro, prevede la stessa decisione 9140) con il regime tipico della assicurazione della responsabilità civile: il sistema loss occurrance, ovvero l’assicurazione del fatto avvenuto in periodo di valenza del contratto.


L’INCONGRUENZA DELLE DECISIONI DEI TRIBUNALI

Una breve disamina delle prime decisioni di giudici di merito, chiamati ad applicare l’impianto della sentenza 9140, chiariranno le nostre preoccupazioni.
Così ad esempio, il tribunale di Milano, in data 15 giugno 2016, ha deciso per la illegittimità di una clausola claims made che prevedeva una retroattività di tre anni dalla stipula della polizza, estendendo tale lasso di tempo a dieci anni per così far rientrare la garanzia a favore di un architetto che aveva errato un progetto edile molti anni prima di assicurarsi.
Di contro, il tribunale di Napoli solamente cinque giorni dopo (il 20 giugno 2016), depositava una sentenza con la quale riteneva legittima una clausola del tutto identica a quella esaminata dal tribunale di Milano (retroattività di tre anni), così respingendo la domanda di garanzia avanzata da un ente ospedaliero verso il proprio assicuratore.

Ancora, diversamente, il tribunale di Treviso nella sentenza depositata il giorno 10 giugno 2016, condanna la compagnia di assicurazione a coprire la responsabilità di un professionista chiamato a rispondere della negligente gestione di una curatela fallimentare, nonostante la polizza, con clausola claims made, fosse già cessata al momento in cui il commercialista riceveva per la prima volta una richiesta danni.
Questa totale incongruenza e squilibrio in decisioni rese, in situazioni del tutto analoghe, a distanza di pochissimi giorni, non possono che allarmare.
E, come è logico intuire, siamo solo all’inizio.
Questa incertezza sta infatti determinando decisioni di merito (l’impatto pratico sul sistema del quale si diceva in apertura di questo articolo) del tutto disomogenee fra loro, generando un livello di incertezza che il mondo assicurativo non può sostenere.


UN MERCATO DA RIDISEGNARE

Proviamo dunque a delineare così questi plausibili scenari futuri, che impattano sulle tante anime che gravitano attorno al mondo dell’assicurazione della Rc professionale.
Va da sé che il comparto assicurativo direttamente coinvolto dalla decisione sarà quello delle coperture rese alla responsabilità civile professionale.
Una prima conseguenza pratica sarà quella di rendere ancora più aleatorio l’esito del corposo contezioso giudiziale che pende tutt’oggi con riguardo alla validità, o meno, delle delimitazioni temporali delle coperture sotto effetto della clausola claims made; contenzioso che certamente ora verrà fortemente condizionato dalla sentenza 9140.
Resta poi rimessa alla incertezza più assoluta, come detto (e come abbiamo visto nelle prime decisioni di merito che cominciano a vedere la luce), l’impatto che la decisione di un giudice potrebbe avere sulla efficacia delle stesse coperture assicurative chiamate a garantire in giudizio il professionista: se, ad esempio, un giudice correggesse il regime temporale della polizza da claims a loss, lo stesso contratto invocato potrebbe non essere attivo sul fatto, proprio perché stipulato dopo l’antecedente eziologico della colpa. 
Certamente il mercato assicurativo dovrà rivedere il proprio impianto assuntivo dei rischi professionali e, con essi, anche i costi di riservazione attuali. Ad esempio, si potrà prevedere l’uscita di scena della clausola claims made cosiddetta impura, oggi per il vero la più gettonata nel panorama dell’offerta assicurativa. 
Facile prevedere, con l’estensione temporale delle coperture indotte da questa decisione, l’innalzamento dei costi assicurativi per i professionisti, e quindi degli indici attuariali che governano l’offerta del prodotto sul mercato. Il probabile innalzamento dei costi legati alla estensione del rischio temporale diverrebbe dunque, per paradosso, un boomerang a carico della categoria dei liberi professionisti, che si vorrebbero tutelare. 
Né al settore assicurativo potrà comunque piacere (nel contesto finanziario e di ritenzione delle riserve) una aleatorietà del ramo, indotta non solo dalla tipicità del rischio, ma anche dalla possibile valutazione futura che il singolo giudice potrà dare della efficacia vincolante del regime temporale della polizza, pur liberamente accettata e negoziata fra i contraenti.
Il monito lanciato verso le associazioni di categoria e, per essi, verso gli operatori commerciali che collocano i prodotti sul mercato della Rc professionale, avrà conseguenze tanto nel contesto della negoziazione del prodotto, quanto in quello (che rimane sotto traccia, ma non silente) della responsabilità professionale degli stessi intermediari che facilitino la commercializzazione di polizze ritenute in seguito inadeguate.
Infine, ma non ultimo, lo stesso monito avrà (se ben compreso ove è opportuno che lo sia) conseguenze di natura precettiva anche per l’Esecutivo (chiamato a regolamentare per decreto gli obblighi assicurativi imposti dalla legge) e, in ultima analisi, per lo stesso legislatore che proprio di questi tempi sta discutendo la riforma della responsabilità sanitaria (ddl Gelli, n. 2224, attualmente in Commissione al Senato, con testo approvato alla Camera dei Deputati, lo scorso gennaio 2016).

Quello che va detto è che la Corte ha provato a farsi carico (prima ancora del nostro legislatore, che ancora si dibatte tra inefficaci formule normative come la legge Balduzzi, o confusi propositi di riforma solo settoriale della materia, come il ddl Gelli riferito ancora alla sola Rc sanitaria) del grido di dolore che proviene in più modi dal mondo delle professioni, schiacciato oggi tra rigidità giurisprudenziali circa il loro operato (sempre più veicolato verso l’obbligazione di risultato), costi materiali di reperibilità delle garanzie assicurative. E, soprattutto, la sensazione diffusa di inadeguatezza delle stesse coperture, lasciando oggi sempre più il professionista esposto sul piano patrimoniale, oltre che emotivo.
Lo strumento di correzione giurisprudenziale, però, rischia all’atto pratico di creare più problemi che soluzioni. 
A quando un intervento del Legislatore, finalmente chiaro ed efficace, che consenta di dare regolazione normativa a un contratto così delicato che coinvolge interessi primari di una ampio ventaglio di operatori economici e del terziario?

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