COME FLIRTARE PER INNOVARE

L’avvicinamento fra corporate e start up ricorda le fasi iniziali del corteggiamento: si tenta di rendersi più affascinanti possibile e si cerca, allo stesso tempo, di valutare se il potenziale partner abbia tutte le carte in regola per soddisfare le proprie aspettative. Se tutto va come previsto, si convola poi a nozze con un matrimonio di innovazione

COME FLIRTARE PER INNOVARE
Demo days, start up competitions, elevator pitch: prima dell’arrivo del Covid-19 erano termini estremamente in voga quando si parlava di innovazione. Di fatto, degli speed date di business durante i quali le start up presentano in cinque minuti il proprio progetto al pubblico, sperando che subito dopo arrivi qualche pretendente a manifestare l’interesse per una relazione. Ad assistere tra il pubblico si trovano prevalentemente i classici business angel (ossia singoli investitori privati) alla ricerca di qualche progetto imprenditoriale interessante, fondi di venture capital con l’intento di arricchire il proprio portafogli di investimenti, e aziende a caccia di nuovi business e innovazione. Soffermiamoci sulle aziende. 
Ci sono prevalentemente tre modi con cui le aziende cercano di innovare:
1. adottando o acquistando soluzioni innovative da terzi;
2. innovando con propri team interni; 
3. acquisendo un’intera azienda o un team.
Nel primo caso appare evidente che, con l’adozione di soluzioni, per quanto innovative, di soggetti terzi, queste saranno comunque sempre disponibili a tutto il mercato, anche ai concorrenti diretti. Pertanto, percorrendo questa strada, la sfida principale sarà quella di sviluppare un proprio vantaggio competitivo,  farlo evolvere continuamente e mantenerlo nel tempo.

CRESCITA INTERNA ED ESTERNA

Per quel che riguarda la seconda via, ossia l’innovazione basata unicamente sulle proprie forze, molti sostengono che la disruptive innovation difficilmente nascerà in questo modo all’interno di una corporate. Al contrario, una start up vive molto più frequentemente dinamiche che possono generarla: in una casistica abbastanza frequente, a un certo punto della sua vita si troverà infatti costretta, sotto la spada di Damocle del burn rate, a sessioni di brainstorming disperate, a dover testare qualcosa di impensato, a drastici pivot… In altre parole, a dover tentare il tutto per il tutto per cercare di sopravvivere. Ed è lì che, più di una volta, esce fuori la vera innovazione, quella con la “I” maiuscola, irradiando la start up di una luce nuova e capace di convertire perfino gli early investors più disillusi al follow on. Una luce che invece più difficilmente si accenderà con la maggiore razionalità della corporate.
La terza via, conosciuta in genere con l’acronimo M&A, indica l’acquisizione di una start up da parte di una corporate. Tale via, per essere veramente efficace e funzionale, deve tuttavia essere approcciata da entrambi i partner potenziali in maniera molto attenta.  

OPEN INNOVATION E SCALE UP

Occorre innanzitutto sapere bene che le corporate, quando osservano i founder pitchare sul palco, sono prevalentemente alla ricerca di due specifiche tipologie di partner: il partner open innovation e il partner scale up.
La prima tipologia, di solito con modello di business B2B, deve essere in grado di prospettare fin da subito un futuro promettente insieme. Per fare questo, cerca in genere, a chi le si avvicina dopo la sessione di pitch per conoscerla meglio, di dimostrare la sua capacità di generare open innovation di valore mediante una proof of concept (Poc). Qualcosa del tipo: “passiamo un po’ di tempo insieme con un progetto-test, così ti renderai conto che ti conviene iniziare una relazione più stabile con me”. La start up ha così la possibilità di dimostrare che sarebbe in grado di apportare un’accelerazione di innovazione, con impatti concreti e positivi sull’attuale business della corporate, che mai sarebbe riuscita altrimenti a conseguire in autonomia e in tempi altrettanto rapidi. 

EFFICIENTAMENTO E DIVERSIFICAZIONE

Non deve apportare nuovi modelli di business, ma semplicemente incrementare il valore di quello già esistente, rendendo ad esempio maggiormente efficienti alcuni processi, apportando nuove soluzioni tecnologiche, incorporando know how esterno e così via. Qualora il risultato della Poc abbia convinto a procedere addirittura con l’avvio delle pratiche matrimoniali, la prassi vuole che venga richiesto alla start up un lock del team dei fondatori per qualche annetto.
Quando invece la corporate mira a una scale up, ossia a una startup che abbia già dimostrato una forte capacità di crescita e scalabilità del proprio modello di business, l’acquisizione ha invece in genere un obiettivo di diversificazione dalle attuali linee di business e di prodotto, nonché la generazione diretta di nuovi fatturati e profitti incrementali. In questi casi la strada obbligata per un’oculata decisione in merito al grande passo passa inevitabilmente per una accurata due diligence.

UNA QUESTIONE DI TEMPO

Ipotizziamo ora che una corporate abbia effettivamente individuato in una specifica start up una potenziale sposa ideale. Qual è il momento giusto per tirare fuori l’anello di fidanzamento? Qui c’è un chiaro trade off a cui la corporate deve porre molta attenzione: quello tra la consistenza nel tempo dei risultati e lo stage della start up. Più infatti la start up cresce, più ne aumenterà il valore di mercato e di conseguenza, presumibilmente, anche il suo costo. D’altra parte, non si può però prescindere dall’avere risultati inoppugnabili che permettano di valutare adeguatamente il valore aggiunto che ne apporterebbe l’acquisizione. 
Fattore determinante per la corporate è dunque la velocità di esecuzione di tutta una serie di valutazioni di potenziale interesse, magari su più opportunità contemporaneamente, quando i valori di mercato sono ancora contenuti. Risulterà pertanto favorito in questa corsa chi dedicherà sufficiente tempo e risorse per una strutturata attività di scouting, attivazione e valutazione dei Poc e due diligence.

UN’ATTENZIONE RECIPROCA 

E infine, cosa devono fare le start up per rendersi il più attrattive possibile? Al netto dei risultati e dei Kpi di business, che ovviamente sono un elemento di valutazione primario, altri elementi possono incidere molto sul suo appeal.
L’approccio del team è fondamentale: un team dinamico, coeso, capace, determinato ma flessibile, ha sicuramente più probabilità di creare fiducia e convincere. Invece uno degli errori più frequenti è quello di non saper soddisfare le aspettative. Molte startup, ad esempio, tendono a concordare più Poc possibili con numerose aziende, rendendo in tal modo spesso insostenibile un adeguato focus su ogni singolo progetto: meglio meno accordi, ma con potenziali partner seriamente interessati ad approfondire fino in fondo l’opportunità. 
Per concludere possiamo dire che, come nelle più solide storie d’amore, dopo il primo approccio occorre conoscersi molto bene, dedicarsi reciprocamente il giusto tempo, essere in due a essere convinti della relazione e dimostrare massima serietà. Solo a questo punto si può pensare a un matrimonio di innovazione.

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