LA VIA ITALIANA AGLI ECOSISTEMI

Sono il punto di riferimento del settore: partnership, collaborazioni, ma anche progetti interni, piattaforme attraverso cui le start up arrivano ai clienti delle compagnie. Se cinque anni fa non c’era nulla di simile, oggi la crescita è fortissima: ma attenzione ai competitor della tecnologia e di internet

LA VIA ITALIANA AGLI ECOSISTEMI
L’amore fugge, diceva François Truffaut. Ma anche i consumatori. E dove vanno? Per esempio verso i produttori di smartphone, i siti di e-commerce, le start up. 
Vogliono altro, vogliono di più e lo vogliono semplice. Vorrebbero nuovi servizi nelle app delle banche e delle compagnie assicurative. E se da un lato i consumatori confermano la fiducia in banche e assicurazioni, dall’altro si dimostrano più aperti ad attori meno tradizionali.
Merito della tecnologia, dell’evoluzione di fintech e insurtech, che hanno reso possibili, almeno sulla carta, una serie infinita di nuove applicazioni. Ma tra renderle possibili e realizzarle ce ne passa. 
E poi è arrivata la pandemia a cambiare tutto, a rallentare i nostri corpi, i nostri movimenti, ma a rendere più esigenti e veloci le nostre teste. L’arrivo del nuovo coronavirus ha accelerato forzatamente la digitalizzazione del settore finanziario e assicurativo, velocizzando quel processo di sviluppo che spinge gli operatori tradizionali a collaborare con il cosiddetto ecosistema, cioè le start up. Tra i pochi pro di questa nuova condizione che stiamo vivendo da più di un anno, ci sono quindi alcune nuove opportunità di business nel campo fintech e insurtech.

LOCKDOWN, SODDISFATTI I CLIENTI ASSICURATIVI 

Dal nuovo studio dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, si evince, per esempio, che nell’ormai lontano lockdown di marzo-aprile 2020, il 73% dei clienti italiani è rimasto soddisfatto del servizio ricevuto dalla propria banca grazie agli strumenti digitali. Si parla di strumenti ormai di base, come la possibilità di eseguire bonifici e pagamenti online, o di interagire con il personale dell’istituto, ma anche di azioni più complesse, come firmare e scambiarsi documenti in digitale. 
La percentuale di soddisfazione sale al 77% se ci spostiamo nel settore assicurativo. I clienti hanno apprezzato la facilità d’interazione con l’agente e la semplicità del rinnovo della polizza, anche se il 23% degli insoddisfatti lamenta proprio alcune difficoltà di comunicazione. 
Tra i servizi più conosciuti e apprezzati nel mondo insurtech c’è in prima fila l’acquisto o il rinnovo in digitale delle polizze: nel campione intervistato, il 40% conosce questa possibilità, mentre il 27% dichiara di aver utilizzato l’opzione. 

SERVE MAGGORE SEMPLICITÀ NELL’ACQUISTO

Il 24% dei clienti sa anche che grazie alle tecnologie digitali è possibile modificare le coperture, ma solo il 12% l’ha fatto. Il 19% sa che è possibile gestire un sinistro da mobile ma appena il 9% l’ha fatto. Un business di cui le compagnie parlano sempre più spesso è quello dei servizi di telemedicina e delle assicurazioni istantanee o on-demand: tuttavia questi strumenti sono ancora poco conosciuti e soprattutto poco utilizzati (appena il 6%). 
Pensando all’assicurazione del futuro, i consumatori italiani chiedono soprattutto velocità da parte della compagnia nel risolvere i problemi e liquidare i sinistri, ma anche semplicità e trasparenza nella sottoscrizione e nel rispondere ai reclami: il 29% ha acquistato almeno una volta una polizza in modalità completamente digitale e un ulteriore 35% intende valutarne la possibilità nel corso dell’anno. Ma serve maggior semplicità nell’acquisto. 



RETICENZA A FORNIRE I PROPRI DATI

Tuttavia, per garantire una user experience come quella attesa, servirebbero più dati. E se oggi solo il 9% dei clienti condivide la maggior parte dei dati personali con l’assicurazione, il 26% non intende farlo nemmeno in futuro. Sei clienti su dieci non vogliono condividere informazioni provenienti dai social, e tuttavia il 38% dei clienti bancari vorrebbe poter godere dalla app della banca di servizi per l’identità digitale, il 36% di servizi per la telefonia mobile, il 34% per la mobilità. Gli under 35, in particolare, chiedono servizi di budgeting (31%, contro il 19% tra gli over 55) e opzioni di investimento personalizzate (30%, contro 21% tra gli over 55).

INNOVAZIONE: UN SETTORE FORTE ANCHE NELL’EMERGENZA

Per venire incontro a queste esigenze, attorno alle società finanziarie sta emergendo un ecosistema pronto a intercettare le richieste di user experience di qualità, velocità, trasparenza e anche (perché no?) sostenibilità. 
Sono oltre 300 le start up italiane fintech e insurtech che nel 2020 hanno dimostrato anche una notevole capacità di adattamento alla crisi: il 54% del campione ha dichiarato di non aver subito un impatto negativo dal primo lockdown, mentre il 19% ha sostenuto di aver colto nuove opportunità di business proprio dall’emergenza. A livello globale, si aprono nuove opportunità di collaborazione: oltre la metà delle 2.541 start up fintech insurtech censite dallo studio a livello mondiale collabora già con imprese non finanziarie (54%), il 32% lo fa con realtà del settore finanziario, il 30% con altre start up.

LA NASCITA DI UN (ECO)SISTEMA

“Se guardiamo all’insurtech italiana di cinque anni fa non vediamo nulla”, spiega Laura Grassi, direttore dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano, al telefono con Insurance Review. “Il primo messaggio molto positivo – continua – è che la crescita è stata molto veloce e che le proposte sono oggi molto interessanti”. In Italia si è creato un vero e proprio “ecosistema insurtech”, sottolinea Grassi, che è riuscito ad andare oltre l’iniziativa individuale di questa o quella start up innovativa. L’insurtech dev’essere proprio questo, cioè una rete, un ecosistema di realtà che collaborano: “questo aspetto è molto positivo e tipicamente italiano, poiché nel nostro Paese il fenomeno è nato da subito all’insegna delle partnership”, spiega Grassi.  
Incumbent e start up lavorano insieme generando sinergie in molti punti della catena del valore. Anche quando queste ultime nascono “molto verticali per andare a risolvere un problema specifico”, contemporaneamente hanno già l’idea di collaborare con un operatore tradizionale. 

LA STRADA VERSO I CLIENTI

Questa sorta di via italiana dell’insurtech attenua molti limiti propri delle piccole aziende innovative. Uno su tutti il problema del trust sul cliente finale, molto importante soprattutto nel settore assicurativo: “le start up – argomenta Grassi –, grazie all’ecosistema, utilizzano la base cliente dell’incumbent per arrivare agli assicurati molto spesso senza che loro se ne accorgano, giacché li raggiungono in white label dalla piattaforma dell’assicuratore tradizionale, che a sua volta garantisce la user experience del cliente”. 
Poi c’è tutto il tema di back-office, un’ottimizzazione interna alle compagnie che le start up stanno migliorando grazie alla modellizzazione sempre più sofisticata e flessibile: pensiamo, per esempio, alle polizze o ai servizi legati al Covid-19, i cui aggiornamenti giornalieri possono modificare gli scenari da un momento all’altro, come abbiamo visto. 

NICCHIE CHE NON LO ERANO

Uno dei settori più coinvolti nell’innovazione insurtech è, come noto, quello della distribuzione. In questo campo, racconta Grassi, c’è una serie di attori che sta cercando di rendere migliore il lavoro di agenti e broker attraverso la conoscenza del cliente o l’adeguatezza delle polizze proposte. “Ma c’è anche qualcuno che sta cercando di fare disruption in quel segmento, tuttavia senza grande impatto”, precisa.  
Guardando invece all’offerta, al contenuto delle singole polizze, l’insurtech sta permettendo ai player più svelti di aggredire quelle nicchie di potenziali clienti non servite dalle grandi compagnie, o al massimo raggiunte con prodotti standard. “Non è raro scoprire – rivela Grassi – che, talvolta, quello che si credeva il bisogno di protezione di una nicchia in realtà si manifesti come un bisogno trasversale che sfugge alle segmentazioni tradizionali, come le classiche variabili socio-demografiche”. 
Grazie alla raccolta di dati sempre più granulari, e alla possibilità di processarli in modo nuovo, sono emersi cluster che non rispondono alle logiche tradizionali, aprendo così la porta a servizi innovativi, come l’instant insurance, ma non solo: “è possibile così, sempre di più e sempre meglio, accorciare i tempi tra l’emersione del rischio e del bisogno di protezione e il momento di sottoscrizione della polizza”, chiosa Grassi.  

ATTENZIONE AI NUOVI ARRIVATI

Ma ora conviene tornare all’inizio per chiudere il discorso: se è vero che gli italiani si fidano degli operatori tradizionali, lo è altrettanto che sono aperti a nuovi soggetti, se questi ultimi saranno in grado di intercettare meglio i loro bisogni e risolvere i loro problemi. 
L’83% di chi ha risposto alle domande della ricerca del Politecnico, assicurerebbe la salute con una compagnia assicurativa, ma il campione è sempre più propenso a sperimentare anche nuovi attori meno tradizionali: per piccoli finanziamenti il 53% si affiderebbe anche a player innovativi, fra cui produttori di smartphone come Apple e Samsung (21%), a start up (19%), a siti di e-commerce come Amazon (19%) e aziende internet come Google e Facebook (17%).
Stesso discorso vale per il settore produttivo: fra le Pmi, banche e assicurazioni sono ancora gli attori più affidabili, ma avanza la tendenza a valutare anche altri operatori. Il 33% delle Pmi ha una propensione medio-alta a chiedere un prestito a breve termine o un finanziamento del capitale circolante a un attore innovativo, come supermercati (23%) e imprese del mondo utility (16%). Per i servizi assicurativi, il 69% delle Pmi si affida a compagnie assicurative, il 50% alle banche, ma ben il 31% valuterebbe anche un attore innovativo come un’azienda internet (19%), utility (18%) o addirittura comparatori online (24%).

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