INSURTECH: TRA RISCHIO E MUTUALITÀ

Il nuovo modello di business assicurativo, trainato dalle tecnologie digitali, è promettente perché, tra le altre cose, permette di profilare i clienti al meglio, offrendo loro soluzioni sempre più personalizzate. Ma, con uno sguardo più laterale, si intravedono anche degli interrogativi di natura più sociologica

INSURTECH: TRA RISCHIO E MUTUALITÀ
L’industria assicurativa sta vivendo un periodo di profondi cambiamenti che molti esperti non esitano a definire dirompenti. L’intero settore è in grande fibrillazione e un po’ in tutto il mondo si stanno sperimentando nuovi modi di assicurare che potrebbero cambiare per sempre la nostra idea di assicurazione.
Poiché tutte queste forme di sperimentazione hanno in comune il ricorso a tecnologie digitali, si parla ormai da diversi anni di insurtech. Il sociologo francese François Ewald ha suggerito addirittura che l’adozione di queste tecnologie potrebbe aprire un “nuovo mondo” per il settore assicurativo. La domanda è: come? E soprattutto: con quali conseguenze per la società in generale?
L’entusiasmo con cui si sta promuovendo il ricorso a tecnologie digitali nel settore assicurativo scaturisce dalla consapevolezza che con esse si potrebbero migliorare tutti i processi decisionali che stanno alla base dell’assicurazione, dalla sottoscrizione della polizza alla scoperta di frodi assicurative, dall’offerta mirata di coperture per rischi di breve durata fino alla personalizzazione del premio assicurativo. Ma non solo: sono ormai realtà consolidate quelle compagnie che operano grazie all’insurtech nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi non solo nel ramo auto ma anche nella protezione delle persone (salute, infortuni), nel welfare, nell’abitazione, nel property e nel grande campo delle catastrofi naturali. 
Si profila così all’orizzonte un nuovo modello di business dai contorni ancora incerti ma estremamente promettenti.

RISCHIARE PER CRESCERE

L’industria assicurativa si trova, tuttavia, di fronte a un bivio. Lo sviluppo tecnologico è una strada che non lascia alternative, ma chi investe denaro e risorse umane nell’insurtech rischia di farlo inutilmente se il modello di business non si dimostra sostenibile. Chi decide invece di non investire, rischia di perdere un’occasione che potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo fondamentale nell’assicurazione del futuro. L’industria assicurativa è quindi quasi costretta a rischiare, sperimentare, senza avere tuttavia la certezza di fare la cosa giusta.
Un sociologo direbbe che questo lo potrà decidere soltanto l’evoluzione sociale, la quale per definizione non si lascia pianificare. L’assicurazione opera all’interno della società e ha nella società il suo ecosistema di riferimento. Si potrebbe anche dire che l’assicurazione è uno dei pilastri della società moderna. Non dovrebbe quindi stupire che la ricerca sociologica sia molto interessata a quello che sta accadendo nel settore assicurativo, sebbene una vera e propria sociologia dell’assicurazione ancora non esista.

IL PUNTO CIECO DELL’INSURTECH

L’attenzione della scienza sociale però non si limita a questo. Se è vero che un cambiamento dirompente del settore assicurativo potrebbe avere un impatto decisivo sulla società, è altrettanto vero che questo impatto potrebbe a sua volta ripercuotersi sul settore assicurativo, in modi ancora per lo più imprevedibili. In altri termini: il rapporto fra un’istituzione sociale come l’assicurazione e la società nel suo insieme ha una forma circolare. L’assicurazione fa parte di quella stessa realtà che l’assicurazione contribuisce a cambiare. Essa non agisce quindi sulla società dall’esterno, ma dall’interno. Per questo l’effetto della causa potrebbe essere la causa di effetti ulteriori e nei processi decisionali bisognerebbe tenerne conto. Ma proprio questo è ciò che il dibattito attuale sull’insurtech non vede. In questo dibattito c’è, per così dire, un punto cieco.
Quando si parla di punto cieco non s’intende semplicemente il fatto di non vedere. Il problema è molto più radicale, perché si tratta del fatto che non si vede di non vedere. Questo ovviamente non è una questione di competenze. I matematici attuariali, per esempio, hanno delle competenze che i sociologi non si sognano nemmeno. Inoltre i sociologi non servono a molto quando si tratta di sottoscrivere polizze assicurative. Essi non mirano nemmeno a scrivere l’algoritmo definitivo (che per altro non esiste) e non partecipano alle iniziative commerciali delle imprese di assicurazione. Il loro ruolo si limita a essere quello di osservatori di osservatori.

LA DIFFERENZA TRA PERICOLO E RISCHIO

Chi osserva un osservatore può vedere anche quello che l’osservatore non vede quando osserva qualcosa (e può vedere appunto che l’osservatore non vede di non vedere). Per esempio: nelle polizze Rc auto basate su tariffe comportamentali secondo il modello pay-how-you-drive, un sociologo si chiederebbe se l’algoritmo sia in grado di distinguere il pericolo dal rischio, cioè il danno che non dipende dalle decisioni del conducente dal danno che invece può essere attribuito alle sue decisioni. È ragionevole sostenere che i rischi sono proporzionali al numero dei chilometri percorsi, ma la ricerca ha suggerito che con l’aumentare dei chilometri aumenta anche l’esperienza (è il cosiddetto effetto di apprendimento), per cui un eventuale sinistro subito da chi guida a lungo potrebbe essere allo stesso tempo un rischio e un pericolo. Il problema diventa ancora più acuto quando l’assicurato sostiene che non ha denunciato alcun sinistro poiché ha guidato prudentemente, mentre l’assicurazione che ha elaborato i dati telematici sostiene che ha guidato imprudentemente nonostante non abbia denunciato alcun sinistro. Come si conciliano queste due prospettive?



LE POTENZIALITÀ DEI DATI

Il grande entusiasmo che accompagna l’insurtech è dovuto poi in buona parte alla consapevolezza che l’industria assicurativa sta seguendo anche la rivoluzione dei big data. L’assicurazione è sempre stata avida di dati. Ma quello che i big data promettono è qualcosa di diverso rispetto al tradizionale calcolo probabilistico. Le sofisticate tecniche di predizione algoritmica che scavano nei dati digitali promettono di scoprire delle correlazioni che offrirebbero un pronostico personalizzato per ciascun individuo, anziché una previsione riferita al pool nel quale l’individuo è stato incluso dalla segmentazione statistica.
Questa prospettiva è molto allettante perché darebbe modo alla compagnia di offrire polizze tagliate su misura su ciascun assicurato e adeguare il premio affinché ciascuno paghi in proporzione alla sua effettiva esposizione al pericolo. Il pronostico assomiglierebbe così molto a una profezia. Ma se cambia in generale il modo di prevedere il futuro, cambia anche il modo di assicurare. E un sociologo si chiede appunto con quali ripercussioni sulla società nel suo insieme.

IL GIUSTO PREZZO DELLA PRIVACY

Da un punto di vista sociologico il problema non è tanto se le predizioni algoritmiche siano giuste o sbagliate, ma cosa succede quando chi deve prendere delle decisioni ci crede. Edipo avrebbe avuto senza dubbio un destino diverso se i suoi genitori non avessero prestato ascolto all’oracolo che avevano interrogato. A questo si aggiunge un’altra questione tipicamente sociologica: le predizioni ottenute dallo scavo dei dati dovrebbero essere comunicate? E si potrebbero comunicare i predittori ricavati dall’analisi dei dati senza offrire allo stesso tempo all’assicurato un modo per aggirare il sistema?
Queste domande conducono rapidamente a qualcosa che assomiglia molto a un dilemma. L’assicurato è disposto a comunicare i propri dati se è convinto di poterci guadagnare qualcosa, per esempio un premio più conveniente. Ma può anche farsi degli scrupoli a cedere i propri dati se sa che questi non saranno usati sempre a suo favore. Da un lato c’è il desiderio di pagare il giusto prezzo, dall’altro il fantasma di profezie che potrebbero avere per l’individuo degli effetti assai discriminanti. Una versione più sofisticata della classica asimmetria informativa, si potrebbe dire. Se non fosse che i dati che servono a produrre informazioni ci sono già e circolano in quantità enormi nel mondo digitale in modo spesso incontrollabile per gli utenti, ed è difficile resistere alla tentazione di impiegarli.

MUTUALITÀ VS PERSONALIZZAZIONE

Il rapporto fra pronostico personalizzato e giusto prezzo conduce infine a quella che per un sociologo è forse la questione cruciale della trasformazione basata sull’insurtech: la mutualità. Le tecniche di profilazione dei clienti incoraggiano un ragionamento a prima vista condivisibile: se guido prudentemente, perché dovrei pagare anche per quelli che guidano in modo imprudente? L’assicurazione, a sua volta, è sempre stata interessata a selezionare gli assicurati più virtuosi. Con le tecniche predittive basate sui profili individuali, domanda e offerta si potrebbero incontrare con un effetto benefico per entrambi: l’assicurato virtuoso pagherebbe di meno e l’assicurazione guadagnerebbe di più.
La realtà sociale, tuttavia, è più complessa. Il meccanismo assicurativo si basa tradizionalmente sul fatto che gli individui che fanno parte dello stesso pool condividono la medesima sorte: tutti sono esposti a un pericolo, ma nessuno sa dire chi tra i membri del gruppo sarà più sfortunato. Per questo conviene pagare un premio che partecipa alla mutualità collettiva piuttosto che contare sulla possibilità di cavarsela da soli. L’incertezza in questo senso non è solo un problema, ma anche una risorsa.
L’iper-personalizzazione del rischio, cioè un premio tagliato esattamente su ogni singolo individuo, pone un interrogativo: come fare a non sacrificare la mutualità, cioè il meccanismo di compensazione? Le tecniche predittive, che promettono una previsione individualizzata, rischiano di minare la mutualità. Compensare la perdita di questo meccanismo è una questione che il settore assicurativo deve porsi. Inoltre l’adeguamento del premio all’esposizione individuale al pericolo potrebbe indurre gli assicurati a esporsi di meno, a “inibirsi” nell’agire.
Introdurre nel dibattito sull’insurtech anche il punto di vista della sociologia non garantisce ovviamente una soluzione a tutti questi problemi, ma offre forse una prospettiva alla quale sarebbe un peccato rinunciare.

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