L’INDUSTRIA DEL WELFARE

Cresce, secondo un rapporto di Cerved, la spesa delle famiglie italiane per servizi alla persona: il settore arriva ora a coprire complessivamente il 9% del Pil. Eppure, nonostante questi numeri, più della metà dei nuclei familiari ha rinunciato nel 2021 alle cure mediche

L’INDUSTRIA DEL WELFARE
Il welfare è ormai un settore economico. Anzi, ancora di più, è un settore economico solido e in crescita. Lo testimoniano i numeri dell’ultima edizione del Bilancio di welfare delle famiglie italiane, pubblicazione curata dal gruppo Cerved e presentata all’inizio dell’anno nel corso di un evento che ha coinvolto rappresentanti delle istituzioni, delle imprese e del mondo accademico. Nel dettaglio, secondo il rapporto, la spesa di welfare delle famiglie italiane nel 2021 è ammontata a 136,6 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita dell’11,4% su base annua. Calcolatrice alla mano, fanno una media di poco più di 5mila euro a famiglia, pari al 17,5% di un reddito familiare netto calcolato da Innovation Team, società del gruppo Cerved, poco oltre la soglia dei 30mila euro all’anno.
Se a ciò si aggiungono poi i 21,2 miliardi di euro del welfare aziendale, si arriva a una cifra in grado di coprire il 9% del Pil. Ecco perché il rapporto parla a più riprese di “industria del welfare”. Ed ecco perché secondo Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, il settore potrà ricoprire un ruolo fondamentale nella ripresa economica dell’Italia. “L’industria del welfare è un settore trainante per la crescita del Paese”, ha commentato Mignanelli. “Gli investimenti pubblici e privati – ha proseguito – sono decisivi per rinnovare il nostro sistema di welfare, generando nuovi modelli di servizio capaci di rispondere alla domanda delle famiglie”.

UNA SPESA IN CRESCITA

Sono ormai anni che la spesa di welfare delle famiglie italiane risulta in crescita. Il 2020, colpito dalla pandemia di coronavirus, ha segnato un po’ una battuta d’arresto, ma il settore, come visto, ha subito mostrato una certa capacità di ripresa e ha messo a segno nel 2021 un rialzo persino superiore alla crescita del Pil.
Come ha illustrato Enea Dallaglio, partner di Innovation Team, la principale voce di spesa riguarda la salute: nel 2021 le famiglie italiane hanno speso 38,8 miliardi di euro in prestazioni sanitarie. Seguono poi l’area dell’assistenza agli anziani (29,4 miliardi) e quella dei supporti al lavoro (25 miliardi). Completano il bilancio di welfare delle famiglie italiane le spese per l’istruzione (12,4 miliardi), l’assistenza familiare (11,2 miliardi), le assicurazioni di previdenza e protezione (8,3 miliardi), la cura dei bambini e l’educazione prescolare (6,4 miliardi), infine la cultura e il tempo libero (5,1 miliardi). Quasi tutte le aree registrano valori in deciso rialzo rispetto al 2018. Fanno eccezione soltanto supporti al lavoro e cultura e tempo libero, entrambe, almeno a giudicare dai numeri del rapporto, pesantemente colpite dagli effetti della pandemia.

LE RINUNCE AL WELFARE

Tutto bene, dunque? Non proprio, perché, nonostante questi numeri, ancora troppe famiglie si trovano costrette a dover rinunciare ad alcune prestazioni di welfare. Il dato che salta più all’occhio è senza dubbio quello delle prestazioni sanitarie: più della metà delle famiglie italiane (50,2%) ha rinunciato nel 2021 ad alcune cure mediche. E almeno nel 13,9% dei casi, si trattava di rinunce giudicate “rilevanti”. Nel 2018, giusto per avere un’idea, il livello di rinuncia nelle prestazioni sanitarie si fermava al 40,8%.
Le famiglie italiane non hanno rinunciato tuttavia soltanto alle cure mediche. Il 56,8% ha dovuto fare a meno di servizi per l’assistenza agli anziani e alle persone bisognose (22% di rinunce rilevanti), il 58,4% di prestazioni relative all’assistenza ai bambini e all’educazione in età prescolare (17,4%) e il 33,8% a servizi dedicati all’istruzione (11,6%). In tutti questi casi, eccezion fatta soltanto per l’istruzione, il livello di rinuncia risulta in rialzo rispetto ai dati del 2018.



UN’OFFERTA CHE (ANCORA) NON C’È

Alla base delle rinunce ci sono sicuramente la pandemia di coronavirus e le restrizioni poste per evitare ogni rischio di contagio: complessivamente questi fattori hanno determinato il 58,9% delle rinunce negli ultimi due anni. Poi c’è una motivazione economica, visto che, come ha osservato Dallaglio, “i servizi costano” e “il segmento meno abbiente della popolazione è anche quello che presenta una più alta incidenza della spesa di welfare sul reddito familiare”. Ma poi c’è anche altro. E c’è soprattutto la mancanza di un’offerta adeguata ai bisogni della popolazione. “Due terzi delle famiglie, quelle più benestanti, hanno avuto difficoltà nel trovare servizi adeguati ai propri bisogni di assistenza per gli anziani”, ha osservato Dallaglio. “C’è una distanza grandissima – ha aggiunto – fra domanda e offerta”. Nell’ambito dell’assistenza agli anziani, per esempio, il rapporto evidenzia che più del 60% delle famiglie ha rinunciato a servizi di welfare perché giudicati di qualità insufficiente (29,5%) o perché, più semplicemente, non ancora disponibili sul mercato (31,9%).
Ecco perché, nelle conclusioni della ricerca, si pone la necessità di un complessivo ripensamento del sistema di welfare. Il rapporto, a tal proposito, identifica quattro sfide: la salute come valore guida, il miglioramento della qualità della vita per gli anziani, il ruolo della famiglia nell’istruzione e la conciliazione fra vita e lavoro. “Siamo di fronte a una grande opportunità, perché la domanda già oggi alimenta un mercato in grado di trainare le stime di crescita dell’economia più generale”, ha commentato Dallaglio. Adesso serve qualche passo in più. “Occorre razionalizzare la spesa per renderla più economica ed efficiente, e poi – ha concluso – bisogna aggregare l’offerta per attrarre ulteriori investimenti e garantire un catalogo di servizi in linea con le esigenze di una popolazione che sta cambiando molto rapidamente”. 

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