LA SANITÀ DOPO IL CIGNO NERO

A un anno dall’inizio della pandemia di Covid-19, come sta il settore salute in Italia? I problemi storici continuano a gravare sul Sistema sanitario nazionale, mentre cresce il ruolo dei privati, anche se occorrerebbero interventi strutturali. Ma i costi salgono e continueranno a salire

LA SANITÀ DOPO IL CIGNO NERO
Centoventuno miliardi di euro. Questo sarà il numero magico del nostro Sistema sanitario nazionale nel 2021. La pandemia causata dal nuovo coronavirus ha purtroppo esaltato più i difetti del sistema italiano rispetto alle sue qualità: una serie di carenze che hanno condizionato sia le prestazioni della sanità pubblica di base sia quelle della sanità integrativa privata, ancora troppo legata a quella universale per poter funzionare in modo efficace.
Secondo quanto emerge dall’ottavo Rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano, a cura di Itinerari Previdenziali, la spesa complessiva privata per sanità è ammontata nel 2019 a 45,4 miliardi di euro, di cui 40,2 miliardi out of pocket e 5,2 miliardi (11,5%) intermediata da fondi sanitari, compagnie di assicurazione e altri soggetti. Secondo una stima realizzata dal centro studi, i fondi sanitari attivi al 2019 erano 322, mentre gli assistiti erano intorno ai 17,7 milioni. “Un numero rilevante – commenta Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali – che supera quello dei fondi pensione grazie all’utilizzo sempre maggiore dei contratti di lavoro che consentono l’adesione ai dipendenti e ai loro familiari. Che apre però la strada per un’altra riflessione: la necessità di superare la discriminazione in termini di benefici fiscali tra dipendenti e non dipendenti”. 

C’È BISOGNO DI UNA LEGGE QUADRO 

Secondo Itinerari Previdenziali, un corretto sviluppo della sanità integrativa potrà supportare il sistema sanitario pubblico, per ottimizzare al massimo l’attività dei professionisti e l’utilizzo della strumentistica. Ciò che manca, però, è una legge quadro che regoli la sanità integrativa. Questa lacuna potrebbe innescare una serie di potenziali rischi: “in primis – spiega Brambilla – il diffondersi di forme sanitarie create solo per intercettare benefici fiscali che non sarebbero diversamente ottenibili acquistando direttamente coperture assicurative, con la diffusione di fondi sanitari creati ad hoc per interporre un soggetto giuridico (il fondo) tra l’utente e la compagnia di assicurazione”. Occorre evitare che “la mancanza di regole sulla trasparenza e l’amministrazione del patrimonio” causi gravi criticità nei rapporti con i cittadini con conseguente danno reputazionale per l’intero settore.



SI PREVEDE UN AUMENTO DEI COSTI

D’altra parte la spesa sanitaria è destinata ad aumentare in futuro sia a causa della pandemia, sia per la fase di transizione demografica, con un consistente invecchiamento della popolazione che richiederà maggiore spesa e più assistenza alla non autosufficienza. 
“La crisi del Covid-19 – precisa Brambilla – ha evidenziato da un lato la carenza di medici di base, specialistici, anestesisti e personale infermieristico, e dall’altro, almeno in alcune regioni tra cui Piemonte e Lombardia, la carenza di una sanità territoriale che ha creato gravi problemi negli ospedali”. Sarà quindi necessario l’aumento del personale medico infermieristico e la rimodulazione del numero chiuso delle specialità, che non consente di avere un corretto tasso di rimpiazzo. 

IL RITIRO DAI TERRITORI

La gestione della spesa sanitaria, frazionata tra 21 entità locali, ha mostrato tutti i suoi difetti: nel 1980, ricorda il centro studi, c’era un posto letto ogni 94 abitanti circa, mentre nel 2017 era disponibile un posto ogni 398 abitanti, con carenza di posti di terapia intensiva. Aggiungendo la sanità privata, circa 40.500 posti, si arriva a un totale di un posto letto ogni 314 abitanti: troppo poco. 
Il personale degli ospedali è passato da 8,4 unità per mille giornate di degenza nel 2004 a 10,7 nel 2017, mentre sul territorio si è andati dalle 3,2 unità ogni mille abitanti del 2004 alle 2,7 del 2017. “La scelta può essere corretta dal punto di vista dell’efficienza economica e soprattutto della specializzazione sanitaria – fa notare Brambilla – ma ha fortemente diminuito la sanità territoriale e l’assistenza alla popolazione anziana”.

IL SETTORE ASSICURATIVO: SINONIMO DI RESILIENZA

Difficile dire se l’esperienza dell’anno passato sia bastata per far cambiare la rotta, certo è che a un anno dall’inizio della pandemia, anche il mondo dei rischi sta facendo i conti con la nuova normalità. Guardando indietro, le risposte del settore assicurativo all’emergenza sono state le più varie: come spesso accade il comparto ha comunque dimostrato di possedere quella capacità di resistenza agli shock che sta alla base del suo modello di business. 
Le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, d’altra parte, hanno comportato una drastica mutazione delle modalità operative delle imprese di assicurazione, che hanno “garantito ai propri dipendenti, alla rete distributiva e ai propri assicurati il massimo supporto senza perdere di vista la continuità aziendale”, come ha sottolineato il co-direttore generale di Ania, Umberto Guidoni, sentito da Insurance Review. 



LA REDISTRIBUZIONE DEL RISCHIO

E quindi, che risposte concrete ha dato il settore alle esigenze di sicurezza e protezione dei cittadini? 
Le imprese, ha ricordato Guidoni, hanno dovuto fare i conti con una redistribuzione del rischio nell’ambito dei diversi comparti assicurativi. “A fronte di rami che hanno subito una riduzione della sinistrosità, come la Rc auto o gli infortuni sportivi, ci sono state linee di business, come quella della responsabilità datoriale o della Rc professionale sanitaria nei quali quanto accaduto lascia presagire un possibile incremento delle denunce”. 
Le compagnie, soprattutto per quanta riguarda l’offerta dei prodotti salute, stanno ripensando profondamente la propria value proposition. “Quasi tutte le imprese operanti nel ramo malattia – conferma il co-direttore generale di Ania – hanno integrato la propria offerta con servizi quali l’assistenza telefonica h24, una diaria giornaliera in caso di ricovero o di autoisolamento, fino a prevedere, nei casi più gravi, l’erogazione di un indennizzo ai soggetti colpiti dal Covid. È inevitabile – continua – che i servizi di telemedicina o di assistenza a domicilio nel prossimo futuro diventeranno una componente fondamentale dell’offerta assicurativa, anche nell’ottica di soddisfare i nuovi fabbisogni scaturiti dalle regole di distanziamento sociale, e in questo l’innovazione tecnologia giocherà un ruolo fondamentale”.

UN SUPPORTO AL SSN

Nonostante il mercato assicurativo abbia dimostrato di essere pronto ad affrontare le nuove sfide, secondo Ania, i cittadini devono comprendere l’importanza di munirsi di un’adeguata rete di protezione. È vero che la domanda di coperture sanitarie è decisamente aumentata con l’irrompere sulla scena del nuovo virus, ma lo è altrettanto che il Paese resta fortemente sotto assicurato. La quota di spesa sanitaria coperta attraverso lo strumento assicurativo è solo l’1,5% contro il 9% della Germania e 13% in Francia.
Questa situazione è dovuta principalmente alla necessità di essere a supporto del Ssn: “nei prossimi anni – spiega il co-direttore generale di Ania – una delle principali sfide del settore sarà riempire questo gap di protezione, non solo con l’offerta ma anche con soluzioni di sistema che rendano l’apporto del privato complementare rispetto a quello pubblico”.

UNO SCHEMA NAZIONALE CONTRO IL RISCHIO PANDEMICO

In questo contesto, s’inserisce l’interlocuzione con il settore pubblico per il disegno di uno schema assicurativo contro il rischio pandemico, “un evento sistemico di natura eccezionale” che non può essere assicurabile con le tradizionali coperture. Occorre lavorare da un lato sulla prevenzione e dall’altro sulla copertura dei danni provocati a famiglie e imprese: “l’ipotesi di schema nazionale a cui l’associazione sta lavorando – spiega Guidoni – prevede una partecipazione tra settore pubblico e privato al 50% con un’esposizione complessiva molto significativa. Come di recente rappresentato anche dalla presidente dell’associazione Maria Bianca Farina, l’ipotesi formulata è frutto di un gruppo di lavoro composto da economisti, virologi, infettivologi e assicuratori”.

LA PANDEMIA NEI TRIBUNALI

Un approfondimento interessante riguarda le conseguenze che l’epidemia avrà sulla struttura della responsabilità civile e penale in ambito sanitario, sia sulla natura della responsabilità dell’operatore (se contrattuale o extracontrattuale) sia sulla valutazione della condotta del singolo professionista che si attiene alle buone pratiche e alle linee guida per la gestione dei pazienti Covid. 
I medici, e in generale gli esercenti le professioni sanitarie, sono chiamati ormai da un anno al massimo sacrificio, anche personale. Come noto, in caso di chiamata di responsabilità la colpa dell’operatore dipendente o strutturato risponde solo in caso di comprovata negligenza, imprudente o imperita secondo i canoni della responsabilità extracontrattuale. Secondo una tendenza prevalente nei commenti normativi, sarà arduo identificare degli specifici indici di responsabilità nella gestione emergenziale della pandemia, giacché l’impatto massivo del fenomeno sulle strutture sanitarie, tra le altre cose, potrà portare a responsabilità dell’operatore sanitario solo nel caso di una colpa grave. 

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