PREVIDENZA, UNA QUESTIONE MAI RISOLTA

Mentre si avvia alla conclusione la contestata avventura di Quota 100, torna a scaldarsi il dibattito pubblico sulle pensioni, tema spesso utilizzato a fini elettorali. Restano sullo sfondo, invece, le grandi tematiche demografiche, come la denatalità e l’invecchiamento della popolazione

PREVIDENZA, UNA QUESTIONE MAI RISOLTA
In fondo al tunnel c’è la fine di Quota 100. L’opzione tanto voluta dalla falange leghista del governo Conte 1, e altrettanto criticata, scadrà a fine anno. Nonostante Quota 100 sia stata un mezzo flop, si è già acceso il dibattito sulla possibilità di una nuova riforma delle pensioni, anche se gli addetti ai lavori ritengono che più che di riforma si tratterà di un aggiustamento, per evitare uscite brusche, innalzamenti dell’età pensionabile per grandi coorti e agevolare la flessibilità in uscita, meglio di quanto abbia fatto, appunto, Quota 100. 
Sindacati, maggioranza, governo, Inps e parti sociali hanno iniziato le schermaglie, le prese di posizioni tattiche, il pressing per le uscite dal lavoro a 62 anni. 

COPERTI FINO AL 2026

Una delle opzioni al vaglio è quella dell’Inps, che prevede di corrispondere la pensione in due tranche, a 62 anni la quota contributiva e a 67 quella retributiva, che però non sembra essere particolarmente gradita. Molte sono però le possibilità sul tavolo, e non sembra in realtà esserci tutta questa fretta, considerando che, almeno fino al 2026, il sistema prevede svariate possibilità per la pensione e coperture adeguate. 
Come ricorda Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari Previdenziali, “Quota 100, così come la intendiamo, cioè 62 anni di età e 38 di contributi, finisce, ma bisogna ricordarsi che si tratta comunque di una piccola parte dell’intero provvedimento, mentre fino al 2026 prosegue la possibilità di andare in pensione con 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva, un anno in meno per le donne, indipendentemente dall’età anagrafica, e probabilmente alla scadenza questo meccanismo sarà reso stabile”. 

L’USCITA DEI BABY BOOMER

Quelli che hanno scelto Quota 100, del resto, sono pochi, appena 16mila nel 2019 e 12mila nel 2020. Il grosso di chi è andato in pensione in questi anni, cioè 170mila soggetti, ha scelto l’opzione 42 anni e 10 mesi e sono usciti dal mercato del lavoro persino prima di chi ha optato per Quota 100. 
Anche per questo non c’è stato un impatto così forte sulle finanze del primo pilastro, come molti si attendevano. “Abbiamo avuto sicuramente un incremento di spesa in questi tre anni – spiega Brambilla – con un aggravio di circa 4,5 miliardi a decrescere. Va detto – continua – che comunque un minimo di flessibilità in uscita deve esserci. Dal decreto legislativo 29 del gennaio 2019 erano stati stanziati 40 miliardi, invece alla fine se ne spenderanno la metà per tutto il periodo dal 2019 al 2026: quindi un impatto molto diluito e in esaurimento già dal 2023”. Tuttavia, l’opzione 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva dovrà essere mantenuta dopo il 2026: “è una proroga di buon senso”, argomenta il presidente di Itinerari Previdenziali, “perché aiuta la generazione dei baby boomer a uscire dal mondo del lavoro senza grandi impatti sul sistema”.

SERVE PIÙ FLESSIBILITÀ

Insomma l’esaurimento di Quota 100, i nuovi provvedimenti tuttora allo studio, e la necessità di garantire una flessibilità in uscita, rilanciano il bisogno di un modello d’integrazione più forte tra primo e secondo pilastro pensionistico. “Il sistema previdenziale necessita senz’altro di un riordino per far fronte, da una parte, alle conseguenze della crisi del mercato del lavoro, che sta riducendo i flussi contributivi, e dall’altra all’esigenza di garantire una pensione dignitosa ai giovani”, questa la premessa di Dario Focarelli, direttore generale di Ania, sentito da Insurance Review, a proposito delle tematiche previdenziali. 
L’Ania è da sempre convinta della necessità di “superare rigidi requisiti a favore di una maggiore flessibilità, ferma la sostenibilità e l’equilibrio tra contributi e prestazioni”. Un sistema che dia al lavoratore la possibilità di scegliere se accedere alla pensione o posticipare il pensionamento, in accordo con il datore di lavoro. “In questo contesto – continua Focarelli – è decisivo rafforzare la previdenza integrativa, sia per garantire un livello adeguato alle prestazioni sia per permettere ai lavoratori che lo desiderano un’uscita anticipata”. L’associazione auspica un “portale delle pensioni”, già peraltro attivo in molti Paesi europei, che unifichi le posizioni previdenziali del lavoratore e prospetti il livello complessivo della pensione futura, sommando quella pubblica e quella integrativa.


UN DIFFICILE PASSAGGIO GENERAZIONALE

Ma sono tante le azioni che, da un lato, svilupperebbero con più vigore la previdenza complementare, mentre dall’altro, sgraverebbero lo Stato da costi difficili da sostenere. Per esempio, spiega Focarelli, si dovrebbe “eliminare la tassazione sui rendimenti delle forme pensionistiche, come nella maggior parte dei Paesi europei, anche per favorire i giovani, per i quali i rendimenti possono costituire una parte consistente del montante previdenziale”. Bisognerebbe poi pensare a un “passaggio generazionale della previdenza”, consentendo ai contribuenti di fruire dei benefici fiscali per figli e nipoti, una sorta di “libretto previdenziale”, come una volta i nonni regalavano quello di risparmio ai nuovi nati della famiglia. “È alle adesioni dei giovani, insomma, che occorre indirizzare gli sforzi maggiori”, chiarisce Focarelli, così come bisognerebbe dare piena coerenza alle raccomandazioni dell’Antitrust: “occorrerebbe – ricorda il dg di Ania – dare piena attuazione alla legge che, per assicurare un’effettiva libertà di scelta da parte dei lavoratori, prevede l’esercizio del diritto alla piena portabilità delle posizioni contributive da parte degli aderenti, che possono trasferire altrove i propri risparmi, ma non possono farlo sui contributi pagati a loro favore dal datore di lavoro”.



L’ASSISTENZA SANITARIA DIMENTICATA

Secondo Brambilla, la previdenza complementare è un settore da valorizzare maggiormente, proprio a partire dall’intraprendenza delle compagnie. Itinerari Previdenziali ricorda che esiste una platea di 6,5 milioni di lavoratori, impiegati in aziende piccole o piccolissime che non vengono raggiunti dalla previdenza complementare e che, invece, “sono un terreno fecondo per le assicurazioni”. 
“Ma il problema vero – sostiene Brambilla – è la natalità, perché l’invecchiamento della popolazione si associa a famiglie sempre meno numerose. Oggi abbiamo soltanto una forma di assistenza pubblica, che è l’indennità di accompagnamento per i non autosufficienti, per una spesa che non arriva a un punto di Pil; ma se poi si aggiungiamo le garanzie sanitarie offerte gratuitamente dallo Stato e dalle regioni alle Rsa, arriviamo a quasi due punti di Pil, un dato vicino alla media europea. Ciò che manca totalmente è la parte di copertura personale”.
A livello statale non è stato fatto quasi nulla per l’assistenza sanitaria integrativa e siamo l’unico Paese europeo, ricorda Brambilla, che non ha una legge quadro per i fondi di sanità integrativa, che sono nati in maniera disordinata, così come trent’anni fa i fondi pensione. “I governi, e soprattutto il ministero della Salute – chiosa il presidente di Itinerari Previdenziali – hanno grandi responsabilità per non aver normato l’assistenza sanitaria e le Ltc”. 

SERVE UN QUADRO NORMATIVO ORGANICO

Il peso della parte assistenziale sul welfare pubblico, come noto, è particolarmente gravoso e sovente improduttivo. Anche su questo tema, l’Ania ha proposto negli anni alcune soluzioni per rendere più efficiente l’integrazione tra la previdenza, sanità e assistenza, in modo che il supporto ai sistemi pubblici copra anche i bisogni in caso di problemi di salute, favorisca la prevenzione, gestisca le lungodegenze o la perdita di autosufficienza. “Per questo – spiega Focarelli – è necessario che anche nell’assistenza e nella sanità, com’è avvenuto per la previdenza, sia delineato un quadro normativo più organico e trasparente sugli obiettivi di interazione da perseguire, e sulla governance dei soggetti abilitati”. 
Gli ultrasessantacinquenni, ricorda il dg di Ania, rappresenteranno nel 2065 più di un terzo dell’intera popolazione, con il risultato di un incremento delle prestazioni pubbliche per non autosufficienza e una maggiore domanda di servizi sanitari e assistenziali.

LE POTENZIALITÀ DEL WELFARE AZIENDALE

Oltre a una riforma di sistema, quindi, Focarelli sottolinea la necessità di “estendere gli incentivi già previsti per il welfare aziendale a tutti i lavoratori, in particolare alle partite Iva, prevedere misure di compensazione a fronte dei contributi del datore di lavoro e incentivi specifici per chi opta per l’integrazione tra previdenza e assistenza, per esempio premiando la scelta di ricevere una pensione complementare che, in caso di sopravvenuta perdita di autosufficienza nel corso dell’erogazione, si incrementi per far fronte alle maggiori spese”.
Infine, Ania lancia l’idea di un “fondo di avviamento strutturale” che renda più accessibili ai giovani, e comunque alle fasce economiche più deboli, piani di accantonamento. “In ogni caso – conclude il direttore generale di Ania – il concorso delle assicurazioni può rendere più efficiente la quota di spesa privata a supporto e vantaggio del sistema nel suo complesso”.

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