2024, VIAGGIO NELL’INCERTEZZA

L’anno da poco iniziato dovrà dare risposta a tanti quesiti: che andamento avrà l’inflazione? Come governeremo la transizione energetica e quali saranno le conseguenze sulle persone e sulle imprese? I rischi geopolitici si attenueranno o si aggraveranno? Ecco un’analisi per capirci di più

2024, VIAGGIO NELL’INCERTEZZA
Governare l’inflazione, affrontare i rischi e rilanciare la crescita, in un anno che, al momento, potrebbe essere interlocutorio per l’economia mondiale, europea e italiana. L’immagine dello scenario economico e finanziario per il 2024 è quella di una bilancia dove i piatti sono in precario equilibrio: oscillano quasi impercettibilmente ma abbastanza da dare la sensazione che basti davvero poco per farli pendere da una parte o dall’altra. 
A fronte di alcuni segnali positivi, anche significativi, permangono i rischi che hanno caratterizzato gli ultimi anni: le politiche monetarie, la geopolitica, i costi (ma anche le opportunità) della transizione energetica. Lorenzo Forni, segretario generale di Prometeia Associazione e docente all’Università di Padova, intervistato da Insurance Review, ha tracciato un quadro articolato all’interno del quale l’Italia si muove con lentezza ma, tutto sommato, al riparo da grandi scossoni. “Non ci aspettiamo una recessione, o almeno niente di comparabile a quello accaduto nel 2020 o nel 2008”, esordisce Forni, parlando dell’Italia ma condividendo la riflessione anche per l’Eurozona. “Ci sono molti fattori di resilienza – continua – che giustificano una tenuta dell’economia rispetto agli elevati tassi d’interesse”. Per esempio, i risparmi accumulati dalle famiglie negli ultimi anni, tra pandemia, guerre e crisi energetica, sono stati in parte già investiti in strumenti a maggior rendimento.

LEGGERA E PROGRESSIVA RIPRESA

Nei primi mesi del 2024, secondo le indicazioni di Prometeia, anche grazie alla tenuta dei consumi delle famiglie, ci sarà una “leggera e progressiva ripresa” rispetto agli ultimi trimestri del 2023, con una crescita in prospettiva dello 0,4%, in linea con gli andamenti europei, rallentati in gran parte dalle difficoltà della Germania. “Le imprese italiane – ricorda Forni – sono entrate nella doppia crisi Covid-energetica ben capitalizzate e durante i periodi di tensione sono riuscite a scaricare gli aumenti di costi, quindi i bilanci sono robusti e non c’è un alto livello di indebitamento. Tutti questi fattori aiutano a difendersi dai tassi di interesse elevati e dal commercio mondiale in forte calo”.
Del resto, negli ultimi mesi l’inflazione è già calata molto, anche grazie al crollo dai prezzi dell’energia: un fenomeno che trascina al ribasso l’andamento dell’indice dei prezzi al consumo ma che nell’area euro si sta esaurendo. “In Italia – argomenta Forni – i benefici di questa dinamica si sentiranno ancora fino a marzo, quando in Francia e Germania, invece, cominceranno anche a calare i prezzi degli alimentari”.


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QUANDO TAGLIARE I TASSI?

I dati sull’inflazione che vedremo nei prossimi mesi saranno molto condizionati da queste variazioni. La Bce sta guardando all’inflazione core, quella che dipende soprattutto dai servizi, cioè al netto di energia e alimentari. “Prometeia – spiega Forni – non ritiene che la Bce taglierà i tassi già a marzo: sarà molto più attendista e guarderà all’andamento delle negoziazioni sui salari, ma visto il contesto di generale debolezza, prima dell’estate farà scattare il primo taglio”.
Le banche centrali, soprattutto Fed e Bce, in questa fase sono di fronte a un dilemma: “c’è una narrativa – osserva Forni – secondo cui sia pericoloso abbassare i tassi troppo presto per timore di un secondo round dell’inflazione che sarebbe ancora più difficile da affrontare. Però se le banche centrali non fanno nulla e l’inflazione continua a scendere, la politica diventerà ancora più restrittiva”. 
Un fattore di rischio che renderà la Bce prudente è l’insieme di quei fenomeni che possono influire sul pezzo dell’energia: a parte la questione mediorientale, il riferimento è a quello che sta accedendo nel canale di Suez, dove alcune aziende petrolifere hanno deciso di non transitare per evitare il rischio di essere bersagliate da parte degli Houthi dello Yemen. “Nonostante le nostre attese non siano per un rialzo significativo dei prezzi dell’energia, alcune incertezze e rischi potrebbero portare un po’ di volatilità”, precisa l’economista. 



 
LA VARIABILE IMPAZZITA: LA RUSSIA

Restando sulla questione energetica, e in particolare sul petrolio, Prometeia sta analizzando il ruolo della Russia. Mosca sta continuando a vendere molto petrolio, anche più di quanto facesse prima dell’invasione dell’Ucraina, solo che lo sta indirizzando a paesi non europei. Il 2024, come sappiamo, è un anno di elezioni politiche importanti: da Taiwan alle elezioni europee, fino alla partita tesissima delle presidenziali americane. “La Russia – riflette Forni – potrebbe voler influenzare le tornate elettorali come ha già fatto, ma questa volta attraverso l’arma del petrolio, magari riducendo le esportazioni, alzando i prezzi e creando tensioni inflazionistiche in primavera. È un rischio che valutiamo comunque basso, perché la Russia ha un bisogno estremo di quegli introiti per sostenere la sua economia che ormai è diventata un’economia di guerra, e in ogni caso quel petrolio non rifornisce più l’Europa”.

UN NUOVO EQUILIBRIO TRA STATI UNITI E CINA

Ma quando si parla di rischi geopolitici, non si può non considerare le due superpotenze in competizione negli ultimi anni: Stati Uniti e Cina. Secondo Forni, le previsioni dei prossimi tre anni mostrano che il peso economico dei due paesi si manterrà sostanzialmente stabile: la Cina vale tra il 15 e il 20% del Pil mondiale in dollari, mentre gli Stati Uniti un po’ sopra il 25%. “Questi dati – aggiunge – riflettono una sostanziale debolezza della Cina e un nuovo segnale di forza degli Stati Uniti, il che può far pensare a una sorta di tregua nelle tensioni commerciali”. Pechino non si sente più così forte come prima e sta affrontando una serie di difficoltà: dal calo demografico alla disoccupazione giovanile, dall’inquinamento alla crisi del mercato immobiliare. Questa dinamica tempera molto le sue ambizioni esterne.


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L’ITALIA DEVE ACCELERARE

Tornando all’Italia, il nostro paese sta imboccando, dopo gli anni di rimbalzo seguiti al 2020, il sentiero ben noto della bassa crescita. La produttività è stata prossima allo zero negli ultimi due decenni, i salari reali non crescono da trent’anni. A questo si aggiunge che la popolazione in calo ha un impatto negativo sul mercato del lavoro: si stimano che mancheranno almeno 100mila lavoratori all’anno, concentrati soprattutto in settori come costruzioni e agricoltura. Come rilanciare la crescita italiana? Le risposte ci sarebbero: “Da un lato c’è il Pnrr – spiega Forni –, che però va molto a rilento, anche a causa della revisione chiesta nell’ultimo anno. Poi ci sono le riforme: giustizia, settore pubblico, educazione, mobilità sostenibile, ma al momento si è concretizzato poco. Mentre la carenza di lavoratori richiederebbe una revisione completa delle politiche di immigrazione: l’Italia – sottolinea – ha bisogno di aumentare il numero di immigrati con vari livelli di qualifiche”. 
Un altro punto riguarda il debito pubblico: le previsioni governative vedono il debito stabile al 140% fino al 2026, ma considerano una certa quota di privatizzazioni e tassi di crescita difficilmente raggiungibili. “Noi, tuttavia – commenta Forni –, non vediamo gravi minacce per la tenuta dei conti pubblici, anche perché il ciclo dei tassi d’interesse sta girando dalla parte giusta, cosa che potrà attenuare eventuali rischi di tensione sui titoli di Stato, anche grazie agli acquisti di famiglie e imprese. Infine – conclude il segretario generale di Prometeia Associazione – la Bce ha avviato il Tpi, Transmission protection instrument, percepito dai mercati come una garanzia di liquidità”. 

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