IL RISCHIO DI NON SAPER GESTIRE IL CAMBIAMENTO

Gli ultimi anni sono caratterizzati da un’elevata volatilità del rischio per le imprese, esito di un periodo percorso da molte forze di rottura degli equilibri conosciuti. Non solo la tecnologia, che impone nuovi modelli di business a cui ci si sta lentamente adeguando, ma anche le persone rappresentano nuove istanze che impattano sul mondo del lavoro. E su tutto incombe l’incognita della guerra

IL RISCHIO DI NON SAPER GESTIRE IL CAMBIAMENTO
👤Autore: Maria Moro Review numero: 94 Pagina: 52
Negli ultimi anni il panorama del rischio per le imprese si è caratterizzato per una forte volatilità, un’accelerazione su più fronti e un’espansione del contesto di riferimento a livello globale, tanto da rendere necessario alle aziende lo sviluppo di una cultura della resilienza e di una forma mentis orientata ad assecondare il ritmo accelerato del cambiamento. 
Gli ambiti di mutazione e novità che impegnano sempre più le imprese riguardano l’evoluzione dei consumatori verso nuovi stili di vita ed esigenze, l’aumentata competitività, la trasformazione digitale, il crescente peso delle normative, i nuovi trend nell’organizzazione del lavoro, e poi rischi operativi come il cyber e strategici come i fattori Esg. I manager aziendali si trovano a mettere sul terreno strategie che vanno continuamente riviste, alla luce di una realtà che sembra riservare continue novità e (spesso poco gradite) sorprese. Saper leggere il presente e i trend di evoluzione del rischio è in questo senso una necessità per i manager, e a loro Protiviti si è rivolta con un’indagine per comprendere verso quali prospettive si stanno orientando e a quali rischi ritengono di dover porre maggiore attenzione nell’immediato e in prospettiva. 
La survey, dal titolo Executive Perspectives on Top Risks for 2022 and 2031, è stata condotta da Protiviti in collaborazione con il dipartimento di Enterprise risk management dell’università statunitense del North Carolina e ha visto il coinvolgimento di 1.453 executive tra componenti dei cda e top manager di imprese appartenenti a vari settori industriali in diversi paesi del mondo. Al panel è stata sottoposta una lista di 36 rischi macroeconomici, strategici e operativi, chiedendo di dare una classificazione in termini di importanza per la propria azienda sul breve periodo (l’anno in corso) e sul lungo, fino al 2031. 
La rilevazione è stata condotta tra settembre e ottobre dello scorso anno, e non coglie quindi le preoccupazioni e le attese dei manager per lo scenario che si è verificato con l’invasione russa dell’Ucraina. La crisi in corso sarebbe certamente rientrata tra i motivi che più impegnano i dirigenti nella conduzione dei loro programmi, in particolare per l’impatto diretto sulla continuità dell’attività aziendale, sui costi, su voci che risentono del clima di fiducia come export e consumi, e sul rischio di tensioni più ampie a livello geopolitico. D’altro canto, possiamo sperare ancora, soprattutto per ragioni umanitarie, che il conflitto abbia una durata breve e che e i timori di un impatto pesante e duraturo sulla crescita economica si affievoliscano. 

LA PANDEMIA FA MENO PAURA DELLA CRISI ECONOMICA

Il confronto a livello globale tra i principali rischi attesi per il 2022 e quelli al 2031 rispecchia l’ovvio divario tra la concretezza dei casi contingenti odierni e l’ipotesi plausibile nel medio - lungo periodo. I rischi dell’oggi sono frutto dell’osservazione e del vissuto quotidiano, mentre per il futuro prevalgono le evidenze sui rischi originati dall’evolvere di tendenze, in molti casi già attuali. La previsione a dieci anni considera alcuni dei cambiamenti in atto oggi e che si presume saranno ancora in corso nel 2031, magari su basi differenti, come nel caso del rischio tecnologico che è l’ambito più presente in prospettiva futura. 
La rilevazione relativa all’anno in corso vede ai primi posti della classifica voci ancora legate alla pandemia di Covid-19, quali gli “effetti delle misure per il contenimento e la gestione dell’emergenza sanitaria sulle performance aziendali” (al primo posto) e “l’impatto delle nuove condizioni di mercato come esito della pandemia sulla domanda dei clienti” (al terzo). La pandemia entra parzialmente anche nella voce “condizioni economiche che possono limitare/ostacolare la crescita”, collocata al quinto posto: si tratta in primo luogo di condizioni specifiche del mercato o di ambito finanziario, ma il tema fa emergere anche la concreta difficoltà delle imprese nel continuare a operare in un ambiente in cui la situazione esterna e le decisioni a livello politico, dal piano nazionale a quello sovranazionale, possono determinare pesanti ripercussioni sulle strategie di mercato e sui progetti di crescita dell’azienda. In questo senso, le misure di contenimento della pandemia hanno rappresentato un’interferenza necessaria dei governi sulle attività produttive, pervadendone ogni ambito (dall’organizzazione del lavoro alle forniture), un’eventualità che nei paesi occidentali prima non era probabilmente neppure presa in considerazione ma che ora apre a nuovi scenari nella gestione del rischio. 

DIFFICILE ADEGUARSI ALLE CONTINUE EVOLUZIONI

Il rischio tecnologico riguarda tre dei dieci top risk a livello globale per il 2022 e le voci specifiche mostrano l’ampiezza del tema. Se le “minacce informatiche” (nono posto) delimitano un vasto ambito operativo, le altre due voci denotano il peso sempre più strategico delle tecnologie per l’evoluzione del business aziendale e il timore di non essere in grado di adeguarsi al nuovo corso: la voce “adozione di tecnologie digitali (intelligenza artificiale, automazione, Nlp, realtà virtuale) che richiedono nuove competenze difficili da reperire sul mercato o da formare internamente” si colloca al quarto posto nella classifica globale, mentre all’ottavo si trova “l’incapacità di far leva su tecniche avanzate e predittive di data analytics e big data per migliorare la comprensione del mercato e aumentare produttività ed efficienza”. Da notare come questi due timori si ritrovino (unici rischi tecnologici) anche nella classifica delle previsioni per il 2031, con il primo che sale sul gradino più alto del podio e il secondo che si colloca sul decimo, a dimostrazione di una tendenza che le imprese prevedono vada consolidandosi. 
A parte la voce “aumento del costo del lavoro con ripercussioni sugli obiettivi di profittabilità” (sesto posto), gli altri rischi inseriti nella lista dei più temuti per il 2022 potrebbero far parte di un macro-insieme definibile come “rischio di non riuscire a gestire il cambiamento” e includono sfide che prendono atto dell’evoluzione sociale ed economica più generale: i top manager a livello globale collocano al secondo posto della classifica le “sfide di successione delle risorse in azienda e capacità di attrarre e trattenere talenti”, al settimo una generica “resistenza al cambiamento in relazione al modello di business e all’operatività aziendale” e al decimo la “incapacità di rispondere tempestivamente alla rapida evoluzione delle aspettative e priorità in relazione a tematiche sociali di diversità, equità e inclusione”. Almeno due di queste istanze mettono in evidenza l’esigenza delle aziende di comprendere sempre di più le questioni sociali e le aspirazioni della popolazione, di instaurare un dialogo con le persone (nel loro ruolo di cittadini, di consumatori, di lavoratori) per comprenderne le attese e i bisogni, e fornire di conseguenza la propria parte di risposte sotto forma di prodotti e servizi ma anche di etica aziendale, reputazione e ruolo nella società. 



RISCHI TECNOLOGICI E DELLA GESTIONE DEL LAVORO

Focalizzando sui rischi attesi per il 2031, i manager intervistati fanno emergere le priorità rappresentate dal crescente ruolo delle tecnologie nel successo dell’attività aziendale e i rischi che potremmo definire di adattamento ai cambiamenti nel mondo del lavoro e nella società. Molte sono le voci presenti nella classifica del 2022 che si ritrovano per il 2031, e che permangono come ambiti di rischio, laddove i contenuti specifici potranno essere necessariamente diversi.
Tra le novità, emerge un macro-trend che riguarda i cambiamenti nel lavoro e sul luogo di lavoro: al terzo posto si trova “la rapida velocità dell’innovazione di rottura, che supera la capacità aziendale di competere”, al quarto il timore che “l’emergere di prodotti e servizi alternativi incida sul modello di business”, al sesto il rischio che “l’entrata di nuovi competitor e altri cambiamenti nel settore minaccino le quote di mercato”, al settimo “l’impatto di cambiamenti normativi e ispezioni sulla resilienza operativa, i prodotti e i servizi”, al nono “le sfide alla competitività connesse a un ambiente di lavoro ibrido e ai cambiamenti sulla natura del lavoro”. Emerge la visione da parte degli executive di un contesto lavorativo e di business messo sotto pressione da una serie di istanze esterne e nuove, condizioni che potrebbero far evolvere verso un diverso ambiente in cui l’azienda dovrà operare, come se quello che stiamo vivendo sia in effetti un periodo di transizione verso la quarta rivoluzione industriale.



IN ITALIA PREOCCUPANO GLI OSTACOLI ALL’OPERATIVITÀ 

Guardando al particolare della rilevazione effettuata tra gli executive italiani, per il 2022 colpisce in primo luogo il fatto che tra i primi dieci rischi - al contrario di quanto avviene nella top ten globale - non appaiano le minacce dirette per l’attività aziendale derivanti dalla pandemia, indice di un contesto perturbativo che sembra assorbito, se non già superato.
Nei dieci rischi più rilevanti se ne incontrano sei presenti anche nelle classifiche globali e quattro specifici della realtà nazionale. Tra i rischi che si ripetono si annoverano i tre di ambito tecnologico (la capacità di far fruttare analytics e big data per finalità di business è al primo posto, le minacce informatiche al terzo e la difficoltà di reperire nuove competenze per l’adozione di tecnologie digitali al sesto), la resistenza al cambiamento (quinta posizione), la successione delle risorse aziendali e l’attrazione dei talenti (settimo posto) e l’impatto negativo delle condizioni economiche esterne sul business (ottavo posto). I quattro rischi “tipicamente” italiani sono incentrati sull’ambito operativo e denotano una particolare concretezza di approccio e chiarezza di visione sull’attualità: si tratta dei rischi legati alle “incertezze lungo la supply chain in relazione alla solidità dei fornitori, alla disponibilità delle forniture, alla volatilità dei prezzi” (secondo posto), l’“impatto dei cambiamenti normativi sull’operatività e, in generale, su prodotti e servizi” (quarto), la “cultura dell’organizzazione, che non favorisce l’identificazione e l’indirizzo tempestivo dei rischi e delle opportunità di mercato” (nono) e l’“evoluzione delle politiche commerciali globali che possono limitare il commercio internazionale” (decimo), tutte voci molto legate alla realtà manifatturiera e vocata all’export del sistema economico del nostro Paese.

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