L’ITALIA È DAVVERO UN PAESE PER VECCHI?

La popolazione attiva si sta riducendo e questo comporta una diminuita capacità di acquisto della fascia d’età che si affaccia al mercato dei consumi, tradizionalmente il target anche del settore assicurativo. Basterà la silver economy a sopperire ai problemi occupazionali e alla denatalità?

L’ITALIA È DAVVERO UN PAESE PER VECCHI?
👤Autore: Cinzia Altomare Review numero: 110 Pagina: 60-63
L’Italia è il paese con la più bassa incidenza di giovani sul totale della popolazione nell’Unione Europea e il Mezzogiorno presenta una perdita superiore rispetto al nord. In realtà, la quota dei giovani compresi tra i 18 e i 34 anni sarebbe ancora leggermente maggiore al sud, ma qui la flessione è molto severa, con il 28% in meno a partire dal 2002, in base agli ultimi dati pubblicati da Istat lo scorso 12 ottobre (I giovani del Mezzogiorno: l’incerta transizione all’età adulta). 
Insomma, negli ultimi vent’anni l’Italia meridionale ha perso quasi un terzo della popolazione compresa tra 18 e 34 anni: la perdita è stata un po’ più leggera al nord, ma il dato complessivo è comunque drammatico. L’inverno demografico che da tempo interessa il nostro paese avanza implacabile, con gravi conseguenze sul piano sociale ed economico.
In un articolo pubblicato su Insurance Daily (Invecchiamento della popolazione, le conseguenze per le assicurazioni, 27 febbraio 2022), abbiamo parlato del fatto che il progressivo invecchiamento della nostra popolazione evidenzia due questioni diverse: da un lato, gli italiani vivono sempre più a lungo, dall’altro nascono sempre meno bambini. È il fenomeno noto come crescita zero della popolazione e, secondo gli studiosi dell’Istat, lo sfondamento al ribasso della soglia dei 60 milioni di abitanti che stiamo osservando implicherà una perdita di fisionomia del nostro paese. Con l’attuale aspettativa di vita alla nascita di 80 anni circa, sul lungo periodo la nostra popolazione dovrebbe fermarsi a poco più di 30 milioni di abitanti.

LA LUNGA ATTESA DELL’ETÀ ADULTA

Il fenomeno è evidente fin dai cosiddetti Baby boomer, cioè i nati fra il 1956 e il 1965, ma ha subito un’accelerazione a partire dai Millennial, i nati fra il 1981 e il 1995. 
Se gli esperti dell’Istat hanno ragione, per il 2060 gli ultra-settantenni rappresenteranno il 30,7% della popolazione residente nel Mezzogiorno e il numero degli italiani si sarà ridotto della metà.
Nel nostro paese, la propensione alla nuzialità e alla procreazione si riduce ovunque: nel 2021 l’età media al primo matrimonio era di circa 36 anni per lo sposo (erano 32 nel 2004) e 33 per la sposa (29 nel 2004). L’età della prima procreazione per le donne è in continuo aumento e ciò interferisce con il ciclo biologico della fertilità, alimentando il fenomeno dell’inverno demografico.
Se la questione risulta abbastanza evidente a livello sociodemografico, quello che allarma è il risvolto economico che comporta questa drastica diminuzione della popolazione in età produttiva. In Italia, e in particolare nel sud del Paese, i giovani evidenziano un percorso più lungo e complicato verso l’età adulta. In pratica, si dilatano notevolmente i tempi di uscita dalla casa dei genitori. Ben il 71,5% dei 18-34enni vive ancora in famiglia. Nel nord la percentuale scende al 64,3%, ma la media Ue è inferiore al 50%.

IL FATTORE OCCUPAZIONALE

È superfluo ricordare come la questione sia direttamente legata al tasso di occupazione.  La carenza di opportunità lavorative stabili nel Mezzogiorno non è una novità, ma la situazione continua a peggiorare. Fra i Millennial, il tasso di attività tra i 20 e i 34 anni, già basso nella generazione precedente (60,3%) si riduce ulteriormente e passa al 54,4%, come il tasso di occupazione (41,6%). Resta invece molto elevato quello di disoccupazione, con il 23,6%, contro il 9,1% nel centro-nord.
L’indeterminatezza sul futuro lavorativo influisce negativamente sulla qualità della vita dei giovani meridionali: più della metà sono insoddisfatti della propria situazione economica e un terzo la considera peggiorata. La prova di questo è che tale insicurezza è forte nelle regioni con basso Pil pro-capite e alta disoccupazione: tocca il massimo in Sicilia, col 27,9%, ma risulta assai minore in Piemonte e Veneto. Ormai sappiamo quanto siano gravi, sul piano macroeconomico, le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione. 

LA DISEGUAGLIANZA DI LUOGO

Il prodotto interno lordo, in particolare, si misura mettendo in relazione la produttività, l’occupazione, la partecipazione al mercato del lavoro, la struttura demografica e la dimensione della popolazione stessa. L’Istat ha teorizzato che una riduzione di quattro milioni di abitanti nei prossimi vent’anni determinerebbe una caduta del Pil di 6,9 punti. Tenendo poi conto della drammatica diminuzione della popolazione in età attiva, questo calo potrebbe arrivare addirittura al 18,6%.
Ma le conseguenze dell’invecchiamento progressivo della popolazione italiana vengono anche amplificate dal forte divario economico che caratterizza il nostro paese. Studi recenti (Rapporto sulla popolazione, di Francesco Billari e Cecilia Tommasini, Il Mulino, 2021; Il divario di cittadinanza di Luca Bianchi e Antonio Fraschilla, Rubbettino, 2020; L’Italia longeva di Graziana Caselli, Vivana Egidi e Cosmo Strozza, Il Mulino 2021 e il Rapporto 2022 della Svimez) denunciano una disparità economica endemica, che si rispecchia in una disuguaglianza di luogo, ovvero in una differenziazione profonda nelle condizioni quotidiane di vita dei cittadini.

L’INCREMENTO DELLA POPOLAZIONE ATTIVA

Sempre secondo l’Istat, la spesa pro-capite per interventi e servizi sociali da parte dei comuni nelle aree del nord-est è tre volte superiore che al sud. Il divario tra le diverse zone del nostro paese è dunque assai marcato, il che ci fa pensare che definire l’Italia un paese per vecchi, come fanno alcuni, citando un film famoso, sia probabilmente sbagliato.
Se questo fosse un paese per vecchi, soprattutto al sud, non ci vorrebbero 11 ore per spostarsi in treno da Siracusa a Trapani (sono 388 chilometri), su linee ferroviarie che sono ancora quelle installate nell’Ottocento, perché sarebbe impensabile pretendere che una persona anziana si metta alla guida per colmare la distanza, magari per andare a trovare i propri cari.
Se guardiamo il lato squisitamente economico del fenomeno, in particolar modo dal punto di vista assicurativo, ci accorgiamo che, statisticamente, all’aumento della longevità corrisponde un incremento della popolazione anziana attiva, cioè un aumento delle persone di età superiore ai 60 anni che ancora lavorano e producono. 



UNA NUOVA VALUTAZIONE DEL DANNO ALLA PERSONA

L’attività svolta, più intensa che in passato per questa fascia d’età, comporta un aumento della possibilità di subire lesioni traumatiche per varie ragioni. Ad esempio, il numero di feriti per incidente stradale in questa parte della popolazione è raddoppiato nel corso degli ultimi anni e quasi la metà degli infortuni domestici denunciati riguarda proprio soggetti con più di 60 anni. 
Come abbiamo avuto modo di osservare in altre occasioni, l’accertamento e la valutazione del danno fisico subito da queste persone comporta una certa difficoltà, perché questi soggetti presentano particolari caratteristiche fisiopatologiche e funzionali, determinate dal processo di invecchiamento subìto. 
I riferimenti utilizzati per la valutazione del danno alla persona corrispondono alle conseguenze mediamente osservabili per una determinata lesione ed è assai difficile tenere conto delle condizioni preesistenti in una persona di età superiore a 60 anni, poiché per essa non è possibile applicare il normale concetto di integrità psico-fisica. Come sappiamo, in questo caso le conseguenze di lesioni relativamente modeste possono portare a gravi compromissioni funzionali, diversamente da quanto accade per i soggetti giovani.
La necessità di un diverso approccio alla valutazione delle lesioni, rapportato a un numero di soggetti sempre in aumento, produce un certo impatto sugli andamenti tecnici dei rami che interessano i danni alla persona e, conseguentemente, sulle politiche delle compagnie assicuratrici.
Questo è il motivo per cui molte compagnie sono restie a coprire rischi che riguardano soggetti anziani, come la responsabilità civile delle Rsa o le polizze infortuni che assicurano persone di età superiore ai 60-65 anni.

POLIZZE: CALA LA CAPACITÀ D’ACQUISTO DEL TARGET

Ma per gli assicuratori c’è anche da considerare la diminuita capacità di acquisto delle fasce di rischio tradizionalmente considerate come obbiettivo. Il fenomeno della denatalità, anche definito come de-giovanimento è un processo che ha coinvolto tutta l’Europa. Negli ultimi due decenni, l’Ue ha registrato una perdita netta di oltre 16,6 milioni di abitanti fra 18 e 34 anni. Queste dinamiche hanno interessato l’Unione in modo non uniforme: i Paesi dell’area orientale, centrale e meridionale hanno fatto registrare cali quasi sempre molto importanti, mentre alcuni altri, come i Paesi scandinavi, la Francia e la Germania, hanno evidenziato perdite più contenute.
In questo quadro, l’Italia presenta una tendenza negativa accentuata e nel 2021 diviene il paese con la più bassa incidenza di 18-34enni sulla popolazione, inferiore di circa due punti alla media Ue. Casi simili sono la Grecia, il Portogallo, la Bulgaria e la Slovenia, che costituiscono contesti economici poco comparabili al nostro, così come l’importanza del mercato assicurativo in questi paesi non è equiparabile a quanto succede in Italia, che è assai più assimilabile alla Francia o alla Germania dal punto di vista economico.

UN TASSO DI ATTIVITÀ INSUFFICIENTE 

Il mercato del lavoro italiano, infine, ha anche risentito degli effetti strutturali di una lunga fase di stagnazione economica cui si sono succedute in rapida sequenza le ripercussioni critiche di due eventi di portata storica: la crisi economica del 2008, che ha avuto effetti protratti fino al 2015, e la pandemia di Covid-19. Ambedue questi fenomeni hanno inciso sugli squilibri territoriali del mercato del lavoro, interessando soprattutto i giovani del Mezzogiorno, ma coinvolgendo l’intero tessuto sociale nazionale. 
Nel 2022 il tasso di occupazione rilevato fra i giovani italiani (33,8%) era di 15,4 punti inferiore alla media dell’Unione Europea e ci ha collocati nella penultima posizione, prima della sola Grecia, per quota di occupati sulla popolazione compresa tra 15 e 29 anni. 
E sebbene il calo di popolazione attiva sia per la gran parte imputabile alla dinamica demografica, ovvero al de-giovanimento di cui abbiamo parlato, esso è dovuto anche alla riduzione di circa sei punti del tasso di attività: il 66% fra i Millennial e ben 71,8% nella generazione dei Baby boomer.

UN MERCATO ASSICURATIVO PER VECCHI

Insomma, la popolazione attiva in Italia ha continuato a ridursi e ciò comporta una diminuita capacità di acquisto considerevole, proprio nella fascia d’età che si affaccia al mercato dei consumi, sia sul piano generale, sia per quanto riguarda i prodotti assicurativi.
È pur vero che l’attenzione degli studiosi di marketing si stia giustamente orientando sempre di più sulla silver generation, ma non è possibile prescindere dal fatto che la generazione tradizionalmente riconosciuta come target, non solo stia riducendosi costantemente, ma abbia perso gran parte del suo potere d’acquisto. La questione della denatalità è dunque di rilevanza primaria per le prospettive di tutta la società italiana, non solo di quella meridionale. 
Forse non saremo davvero un paese per vecchi, ma di questo passo il mercato assicurativo potrebbe davvero diventare tale.

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