COSTRUIRE LA CATENA DELLA FIDUCIA

La pandemia ha cambiato le persone e ridefinito molte priorità. E soprattutto ha sancito la supremazia della relazione umana su quella dell’algoritmo. C’è una maggiore necessità di avere una figura su cui fare affidamento a fronte di fragilità ora più percepite. In questo scenario, secondo Francesco Morace, sociologo e saggista, l’assicuratore non può più limitarsi a essere un consulente, ma deve sviluppare capacità di empatia che vanno oltre il saper vendere ed essere persuasivi

COSTRUIRE LA CATENA DELLA FIDUCIA
L’innovazione è un concetto che non si limita a essere circoscritto nel perimetro delle soluzioni tecnologiche. È la capacità di trovare nuove modalità di adattarsi a un contesto segnato da un cambiamento sempre più rapido, ma che conserva sempre un elemento centrale imprescindibile: l’essere umano. Imparare a mettersi in relazione qui e ora, cioè nel mercato italiano e nell’anno 2022, è la premessa per costruire un nuovo approccio anche nel settore della distribuzione assicurativa che consenta di costruire un rapporto di fiducia fondato su basi autentiche. Ad aiutarci a comprendere come addentrarci in questo percorso è Francesco Morace. Sociologo e saggista, Morace lavora da più di 30 anni nell’ambito della ricerca sociale e di mercato, ed è fondatore e presidente del Future Concept Lab


Francesco Morace, fondatore e presidente di Future Concept Lab

LO SCENARIO DI INCERTEZZA LASCIATO DALLA PANDEMIA

“Lo scenario – spiega il sociologo – è in radicale cambiamento. Questi ultimi due anni di pandemia sono andati a impattare fortemente sulla sensibilità delle persone. Siamo molto più presenti a noi stessi, abbiamo compreso meglio alcune priorità, ad esempio quella della salute, che non è più il salutismo dell’era pre-Covid, ma una dimensione molto più ampia”. La pandemia ha creato una consapevolezza nuova, ma ha fatto emergere anche ferite, vulnus che hanno bisogno di assestarsi su nuovi valori e comportamenti. “Il Covid – prosegue Morace – ha accelerato molte tendenze che erano già in atto. Tra queste c’è certamente quella che noi chiamiamo smart and sustainable, vale a dire quella riguardante le due transizioni, digitale ed ecologica”. Sono due filoni che per molti anni resteranno al centro dei nostri comportamenti e delle nostre attività, andando sempre più a impattare anche sul settore assicurativo-finanziario, e che avranno delle ricadute pratiche sul modo di vivere e sulla visione del futuro. Questo perché al di là dei cambiamenti quotidiani che tutti abbiamo vissuto sulla nostra pelle, secondo Morace è cambiata in senso più ampio la percezione del futuro. “Siamo tornati a fare i conti con la variabile dell’incertezza: se prima eravamo convinti di avere un controllo sulla nostra vita e sul nostro futuro, ora è stata scompaginata la certezza di dominare la natura, di avere modelli di sviluppo inarrestabili”. 
Ma se dal un lato è aumentato il tasso di incertezza, allo stesso tempo è aumentato anche il desiderio di re-immaginare il futuro come qualcosa di migliore, che cerchi di riparare agli errori degli ultimi decenni su molti temi attorno a cui oggi c’è maggiore consapevolezza. “Da questo punto di vista una conseguenza diretta, molto importante, che impatta anche sui modelli di acquisto è la convergenza tra generazioni. La pandemia – osserva Morace – ha colpito in particolare i più anziani, ma ha coinvolto trasversalmente tutte le generazioni, anche quelle più giovani, che si sono riscoperte al fianco dei propri genitori e nonni. Questo è un aspetto importante che sarà un tratto distintivo dei prossimi anni, e che comunque era già molto radicato in Italia”. 



L’UOMO È AL CENTRO

Questo discorso vale anche per la dimensione tecnologica. “Prima della pandemia – prosegue Morace – eravamo quasi ossessionati dal tema dell’intelligenza artificiale, di quanto le macchine potessero addirittura sostituirsi all’intelligenza umana, alla nostra creatività. Ecco, questo tema ha mostrato i suoi limiti negli ultimi anni. Perché l’intelligenza artificiale, pur essendo molto importante, non ci salva dalle nostre paure”. C’è quindi un recupero della dimensione umano-centrica, con uno spazio maggiore per gli aspetti riguardanti la sensibilità umana. “La dimensione relazionale – osserva il sociologo – andrà a sostituire tutto ciò che è stato un algoritmo, un automatismo gestito da una macchina. Chiaramente queste cose non scompariranno e continueranno ad avere un certo peso, ma l’innovazione tecnologica andrà anche nella direzione di sottolineare gli aspetti più empatici, perché abbiamo capito meglio come alcuni aspetti umani non siano sostituibili. Le macchine, solo per fare un esempio, non possono conoscere cos’è la sofferenza, mentre le persone continueranno ad avere la dimensione della fragilità”. 
Tutto questo ampio scenario va a impattare sul mondo assicurativo e dei servizi, perché, sottolinea Morace, in questo contesto diventa fondamentale saper costruire una catena della fiducia, che deve affiancarsi alla catena del valore. “C’è la necessità – spiega – non solo di fidarsi, ma anche di affidarsi, e qui giocherà un elemento ruolo chiave la capacità di costruire nuovi modelli di relazione che un settore come quello delle assicurazioni dovrà rigenerare presentandosi come un partner quotidiano affidabile, credibile, ma che sia anche in grado di fare un passo in più per anticipare un’esigenza, un bisogno, non limitandosi alla customer satisfaction, ma sviluppando una capacità di anticipo”. 

UNA FIGURA SU CUI POTER CONTARE

A essere chiamati in causa nello sviluppo di queste capacità sono coloro che nel settore assicurativo sono in prima linea nella relazione con le persone. “Il broker, l’agente o il subagente – dice Morace – non dovranno più essere soltanto intermediari, ma sforzarsi di diventare qualcosa di più. Tutti noi oggi andiamo alla ricerca di relazioni profonde, autentiche, che implicano delle modifiche nelle fasi dell’intermediazione. Il professionista deve riuscire a porsi non più soltanto come un consulente, ma arrivare a farsi percepire come una sorta di angelo custode. Cioè come qualcuno su cui poter contare, una figura presente e che, senza essere invasiva, si palesa anche quando noi non ce lo aspettiamo, e non solo con finalità promozionali, di vendita, ma anche solo per verificare se ci siano delle esigenze nuove, o delle difficoltà”. Tutto questo implica lo sviluppo di un’arte della relazione, che non è solo quella della vendita. 
Il tutto si fonda anche su un tratto culturale caratteristico dell’Italia. “Il nostro – dice Morace – è un Paese di bar e di piazze, in cui la relazione con l’altro non è confinata solo nel recinto dei legami forti, ma si estende anche a quei rapporti della vita quotidiana che noi in sociologia chiamiamo legami deboli (nel senso che non sono quelli prioritari), e che sono molto importanti. Ecco perché, lo voglio ribadire, in Italia non si affermerà mai il modello anglosassone. Siamo culturalmente diversi, e la pandemia ha accentuato la richiesta più relazione”. La tecnologia, conclude Morace, deve essere al servizio di questa relazione. “Ci sarà bisogno di un suo maggior impiego – dice – ma sempre con una prioritaria attenzione alla costruzione di un rapporto solido con la persona.

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