PROTECTION, PERCHE' NESSUNO CI CREDE DAVVERO

Un comparto in stagnazione, nel quale da un anno all’altro cambia poco. I player dicono di voler finalmente investire e si distinguono per le strategie di lungo periodo; ovvero quelle meno condizionate dal risultato immediato

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👤Autore: Fabrizio Aurilia Review numero: 14 Pagina: 28 - 29
Questo è l’anno della protection. O no? Da qualche tempo, almeno dall’inizio della crisi economica, dell’impennata della disoccupazione e dello spread, del crollo dei consumi, periodicamente si sente dire che il mercato dei prodotti di protezione in Italia sta per decollare: è l’anno buono, si dice. Tuttavia, finora, l’attesa è stata delusa. 
Ogni anno, compagnie, distributori, banche squadernano strategie, programmi di sviluppo, promettono piani di marketing aggressivi e innovativi per spingere i prodotti protection e dar linfa a un mercato che sembra sempre pronto a esplodere. 

Numeri alla mano, poi, si fa il conto con la realtà dei fatti: ovvero che il mercato della protection resta al palo, sempre in procinto di spiccare il volo, ma inesorabilmente bloccato da qualcosa. Da molte cose, in realtà: in primis, la debolezza cronica della cultura assicurativa, poi la fiducia, sempre più immotivata, verso uno Stato assistenziale e l’oggettiva difficoltà a investire in polizze oltre quella Rc auto. Anche i player del settore, però, devono fare autocritica, perché è loro la responsabilità di non aver saputo ancora intercettare e stimolare bisogni latenti ampiamente riscontrabili nella società. Insomma, per una serie di motivi, che saranno ancora ampiamente analizzati, la raccolta premi del settore langue.


RISULTATI DA MERCATO DI NICCHIA 

Dopo il calo registrato nel 2012, quando i premi totali ammontavano a 7,2 miliardi di euro (-8% rispetto ai 7,8 miliardi del 2011), al 31 dicembre dello scorso anno la raccolta ha sfiorato gli otto miliardi. La quota di mercato sulla somma rami vita e danni, tuttavia, si contrae ulteriormente: se nel 2012 la protezione rappresentava il 7% della raccolta totale dei premi assicurativi italiani, a fine 2013 valeva il 6%. Circa il 20% della raccolta dei prodotti bundled, cioè legati ad altri strumenti finanziari (mutui, prestiti ecc.) è intermediato dalle banche, mentre il restante 80%, formato da prodotti non bundled, quindi stand alone, è venduto dagli agenti. Ma, anche in questo caso, i numeri non sono confortanti. Da una ricerca condotta da Emf group, su un campione rappresentativo di intermediari assicurativi (agenti e broker) è risultato che il 45% intermedia più di due polizze tcm al mese, il 12% esattamente due, e il restante 33% ne vende al massimo una. Molto simili i dati sulla vendita delle polizze Infortuni (stand alone): il 29% dichiara praticamente di non venderne nessuna, il 15% una sola, il 17% due polizze e il restante 39% più di due. 


UN’OCCASIONE DA SFRUTTARE

Questi dati restituiscono uno scenario fosco, ma non così chiaro. Il sentiment degli operatori è ambiguo. Da una parte il settore assicurativo percepisce con chiarezza che prima o poi il mercato comincerà ad aprirsi. C’è chi crede che questo avverrà improvvisamente, che gli italiani dall’oggi al domani si renderanno conto dell’importanza dei prodotti di protezione e previdenza, e chi invece è convinto che la crescita sarà lenta ma, anno dopo anno, esponenziale. 
Dall’altra, però, la certezza che anche nel nostro Paese si attivi questo circuito non c’è: anzi. Si è sempre detto che l’Rc auto assorbe tutta la capacità di spesa assicurativa degli italiani; ora che il calo dei prezzi è significativo, non è automatico che le risorse risparmiate siano reinvestite in altri prodotti assicurativi. 
I player del settore, infine, devono guardarsi dall’arrivo di cigni neri: non investire da subito, e pesantemente, nella protection potrebbe rivelarsi un errore drammatico. 

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