IL CLIENTE NON VA PIU' TRADITO

Strategie di integrazione sempre più profonde tra fabbrica prodotto e distribuzione, parlare chiaro e mostrare le cose per quelle che sono. Ma soprattutto guadagnare e mantenere la fiducia del consumatore: in poche parole, per vendere protection bisogna crederci davvero

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👤Autore: Fabrizio Aurilia Review numero: 14 Pagina: 39 - 40
Da gennaio Poste vende prodotti di protezione al telefono. Il vecchio caro telefono. Chi ha un conto presso Banco Posta ha ricevuto una cortese telefonata da un impiegato di Poste Italiane che gli ha proposto una polizza danni o una infortuni (Prontoposte protezione infortuni). Dall’inizio di quest’anno, in sordina, l’attività di call center ha fruttato circa 10 mila clienti in più all’azienda, Poste Vita, guidata da Maria Bianca Farina, recentemente entrata nel novero di nomine anche per la presidenza del colosso pubblico che a breve sarà messo (una quota minoritaria) sul mercato. 


STRATEGIE FALLIMENTARI E FACILI ALIBI

Senza spot, campagne di marketing virale, testimonial d’eccezione, Poste ha rotto ancora una volta il muro tra fabbrica prodotto e consumatore: con risultati, seppure embrionali, comunque soddisfacenti. Ci si dovrebbe chiedere come fa un non assicuratore di professione, senza una rete professionale qualificata per la vendita di polizze a rendere i propri prodotti così appetibili. Una risposta parziale arriva da Claudio Raimondi (nella foto) direttore vita, marketing e welfare di Poste Vita, quando dice, semplicemente, che alle persone “bisogna parlare chiaro e dire che un Pip gli serve perché tra trent’anni la pensione dello Stato non basterà più. Bisogna mostrare le cose per quelle che sono, però bisogna crederci: e noi ci crediamo. Tuttavia – aggiunge –, non basta che Poste aumenti la propria quota di mercato nella previdenza: i numeri che dovrebbe macinare la pensione integrativa sono enormi e gli operatori dovrebbero riconoscere che le strategie finora hanno fallito, e non è con alibi esogeni che si risolvono i problemi”.   


UN PROGETTO COMUNE DI PROTEZIONE

Quindi, il primo passo per la diffusione dei prodotti di protezione vita e danni non sono i prodotti ma le strategie: più che altro la chiarezza delle strategie. “Le compagnie hanno moltissime lacune – argomenta Marcello Mazzotti, country manager di Cnp Italia –, ma non si può chiedere di fare investimenti senza un minimo di garanzie. Un esempio? Una primaria impresa danni, sollecitata dalla banca con cui ha un accordo di distribuzione, ha proposto circa un anno e mezzo fa una polizza malattia. Ne sono state vendute 26. Risultato? Una perdita di tempo per tutti”. 
Industria assicurativa e canale bancario devono studiare un progetto comune di protezione, investendo insieme, dandosi degli obiettivi realmente condivisi: dev’esserci una corrispondenza tra strategia della banca e della compagnia che giustifichi investimenti di questo tipo. “Significa – precisa Mazzotti – un cambio radicale di cultura bancassicurativa, con la speranza, poi, di proporre prodotti mirati. Sarebbe bello costruire contratti tailor made, senza perdersi nei meandri incomprensibili di una moltitudine di offerte”. 
La flessibilità che il cliente può apprezzare è quella che non mette a rischio l’efficienza della rete distributiva e l’efficacia della proposizione del prodotto. 


POCHI SOLDI E GRANDI SPERANZE

Se il modello è quindi una collaborazione sempre più stretta tra produzione e distribuzione, tale da dover ripensare le strategie in chiave di maggior integrazione, nel canale agenziale la contraddizione è ancora più profonda. Da un lato le rappresentanze chiedono sempre più indipendenza (una richiesta che negli ultimi anni è stata avallata e supportata dal legislatore, per altro), dall’altro le possibilità di crescita dei rami elementari sembrano propendere per il modello opposto. “Dobbiamo capire – sottolinea Jean François Mossino, presidente del gruppo agenti Sai di UnipolSai – come invertire il ciclo produttivo. I dati dimostrano che ci sono agenti che sanno vendere bene il vita: ma sono solo quella parte che ha potuto, o per caratteristiche proprie o insieme alla compagnia, seguire un piano di sviluppo organizzato”. Anche in questo caso, quindi, si tratta di strategie a lungo termine che, dal lato della distribuzione, vuol dire percepire una retribuzione adeguata in cambio di un accrescimento del rapporto di fiducia con il consumatore. Stiamo parlando di un mercato potenzialmente di massa, che riguarda clienti impoveriti, con poco tempo a disposizione e poco appassionati alla materia e, tuttavia, con grandi esigenze. 


LA COSTRUZIONE DELLA FIDUCIA

Come creare polizze che possano coniugare queste esigenze, salvaguardando i costi di distribuzione e non tradendo il cliente? “I Pip – continua Mossino – sono un bello strumento che non remunerano l’agenzia adeguatamente; ma d’altra parte non si può caricare il cliente di costi, perché questo non va tradito. Bisogna pensare come remunerare servizio e valore aggiunto dell’agente. Ad esempio, se vogliamo aiutare qualcuno a mettere da parte dei soldi per la pensione, bisogna prepararci a sopportarlo durante tutto il percorso: bisognerà quindi integrare quel piano di accumulo con un prodotto di protezione, una Tcm o un polizza sull’invalidità. Ma – conclude – tutte le invalidità, sia da infortunio, sia da malattia, perché altrimenti tradiamo, ancora una volta, la sua fiducia”. 



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