RIPENSARE LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

Assoprevidenza invita Covip e tutti gli attori del settore a riflettere sui possibili interventi per accelerare la crescita della pensione integrativa. Ad anticiparlo il suo presidente, Sergio Corbello, che esorta a ritarare il principio di volontarietà

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👤Autore: Laura Servidio Review numero: 15 Pagina: 34 - 35
Per i fondi cosiddetti negoziali o di categoria il bilancio non può dirsi entusiasmante. “La previdenza complementare nel suo complesso – conferma Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza – riguarda, oggi, soltanto un quarto degli occupati del settore privato e, in non pochi casi, l’ammontare degli accantonamenti individuali è a dir poco risibile. In particolare, per i molti fondi categoriali istituiti dopo il 1993, la percentuale delle adesioni è molto bassa, a volte quasi marginale, e, in generale, a iscriversi sono prevalentemente gli anziani e non i giovani, che della previdenza complementare hanno un’oggettiva necessità prospettica. Complice anche la lunga crisi, che ha ridotto sia il numero degli occupati e le nuove assunzioni, le adesioni sono in calo, al contrario di quanto avviene per i fondi pensione aperti e, soprattutto, per le forme assicurative individuali (Pip), spinti, gli uni e le altre, dalla forza delle reti distributive di promotori, agenti e consulenti”.
Ventun anni non sono pochi per tirare le somme. “Visti i risultati – afferma Corbello – sono convinto che i tempi siano maturi per una riconsiderazione della filosofia che sta alla base delle modalità di adesione ai fondi: estrema enfatizzazione del momento collettivo nella costruzione del fondo e demando all’iniziativa del singolo, circa l’opportunità di utilizzarlo”.
A questo proposito, Assoprevidenza compirà, prossimamente, un passo ufficiale per invitare la Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione, a una riflessione al riguardo, che dovrà coinvolgere tutti i protagonisti della previdenza complementare, a cominciare dalle parti sociali. “Non proporremo di cambiare ancora una volta la regole, anzi. Siamo contrari a un nuovo cantiere normativo: le novità debbono realizzarsi a legislazione invariata”. 


RIPARTIRE DALLA RILETTURA DEL PRINCIPIO DI VOLONTARIETA' 

In particolare, l’accento va sul principio di volontarietà che si è rivelato assai limitativo per lo sviluppo del sistema complementare. “Penso che del principio debbano essere rimeditate le modalità di  espressione. Proviamo a pensare a un accordo collettivo in base al quale, a una certa data, tutti gli appartenenti a una categoria di lavoratori dipendenti, siano iscritti a un fondo, con la previsione del versamento del Tfr, di un contributo del datore di lavoro e di un apporto contributivo individuale. Ciascun lavoratore ne viene informato con una comunicazione che illustra le caratteristiche del fondo, le condizioni di adesione, la situazione pensionistica del lavoratore, le proiezioni della prestazione complementare, i benefici fiscali e il termine di tempo entro cui potrà decidere di non voler mantenere l'adesione. In questo modo, il principio di volontarietà resta salvo, continua a essere il perno della partecipazione al piano pensionistico, ma si manifesta diversamente. Sono convinto che la volontarietà possa essere espressa anche nella forma di un dissenso il più possibile informato e consapevole”. 
Il mancato sviluppo e il calo di adesioni ai nuovi fondi negoziali, certificato dai dati Covip, confermerebbe l’opportunità di questa proposta. “Se guardiamo ai vecchi fondi complementari precedenti al decreto del 1993 – quelli che hanno avuto più successo – scopriamo che alla loro base vi erano vincolanti accordi collettivi, in virtù dei quali giornalisti, dirigenti d’azienda e altre categorie di dipendenti si trovavano iscritti d’ufficio ai rispettivi fondi integrativi, fatta salva la facoltà di ciascuno di rinunciarvi (i dissenzienti erano mosche bianche)”.
Pur senza voler arrivare all’obbligatorietà della previdenza complementare, Assoprevidenza auspica uno sforzo innovativo nella direzione indicata da parte della Covip. “Non ho dubbi sul fatto che si possa in tal modo arrivare ad ottenere un sensibile incremento delle adesioni. Certo, per i fondi, lo sforzo organizzativo e di comunicazione sarebbe notevole, ma, dopo oltre vent'anni, occorre realizzare iniziative concrete e positive per sviluppare la previdenza complementare. Solo in tal modo – conclude Corbello – si potrà costruire un futuro non preoccupante per milioni di lavoratori”. 




L’irrinunciabile secondo pilastro

Ventun anni fa entrava in vigore, in Italia, la prima disciplina organica per le forme pensionistiche complementari, marginalmente modificata, nel 2005, per il settore privato. La riforma Amato e la riforma Dini/Treu, con le successive manutenzioni, ultima quella della Fornero, hanno messo in sicurezza la sostenibilità del sistema pensionistico di base, nel lungo periodo, ma hanno reso indispensabile la pensione di secondo pilastro, al fine di assicurare quell'adeguatezza complessiva degli assegni di quiescenza, sancita dall'art. 38 della Costituzione, e, soprattutto, indispensabile per i futuri bisogni degli anziani.

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