GESTIONE DEL RISCHIO E GOVERNANCE D’IMPRESA

Le aziende del settore delle Infrastrutture sono pronte a cogliere le opportunità del PNRR, ma è necessario presidiare il rischio connesso alle sfide globali

GESTIONE DEL RISCHIO E GOVERNANCE D’IMPRESA
👤Autore: Maria Moro Review numero: 95 Pagina: 44
Dietro a Webuild Group, gruppo italiano del settore delle costruzioni attivo in tutto il mondo (già Salini Impregilo), ci sono quasi 120 anni di storia delle imprese italiane che hanno nel tempo condotto alla nascita del Gruppo, dal 2020 con il nuovo nome.
La gestione del rischio è un tema chiave nella governance dell’impresa, e parte da una politica attenta alla sostenibilità e alla sicurezza per giungere a precise scelte strategiche di riduzione del rischio geopolitico, con il 75% dei nuovi ordini 2021 (totale 11,3 miliardi di euro, su 45,4 miliardi di portafoglio complessivo) raccolto in Paesi a basso rischio. 
Parlando di rischio, Massimo Ferrari, general manager corporate and finance di Webuild Group, tocca i punti di più stretta attualità, a partire proprio da rischio geopolitico e materie prime, e considera le opportunità da cogliere oggi in Italia.

Per Webuild quali sono i possibili rischi legati alla globalizzazione?
La gestione del rischio è alla base del nostro lavoro, e non da oggi. Il nostro portafoglio ordini è per il 44% in Italia, il 13% in Australia, l’11% in Africa, il 10% in Europa e l’8% nel Nord America. Finora i numeri ci dicono che, malgrado l’impatto della pandemia, siamo passati in tre anni da 36 a 45 miliardi di portafoglio ordini e da 49mila a 80mila persone di oltre 100 nazionalità che lavorano con noi nel mondo. Anche se a volte ci troviamo a operare in situazioni di difficoltà per cambiamenti politici, difficoltà climatiche o morfologiche, guardando il quadro nel suo insieme vediamo più opportunità che rischi. Nel nostro settore le principali categorie di rischio da tenere sotto controllo sono eventi meteorologici estremi indotti dal cambiamento climatico, rischi legati a progettazioni insufficienti piuttosto che cattive esecuzioni, rischi legati alla salute e sicurezza dei lavoratori, rischi cyber, rischi derivanti da un inadeguato governo della supply chain.

E per quanto riguarda l’aumento dei costi?
Siamo presenti in 50 Paesi in 5 continenti, ma la situazione italiana è unica al mondo. Il Governo sta dedicando grande attenzione al tema dei costi. Serve trovare soluzioni di lungo periodo, con meccanismi come quelli adottati in alcuni Paesi per prevedere nei contratti l’adeguamento automatico dei prezzi in modo strutturale e non contingente.

In tutto questo, quanto pesa la guerra in Ucraina?
Il Governo sta dando priorità a questo tema, fronteggiare l’aumento dei costi energetici e la carenza di materie prime e semilavorati è una questione fondamentale. La guerra ha ulteriormente aggravato il problema dei rincari delle materie prime, proprio mentre molte imprese stanno cercando di assorbire le criticità generate dalla pandemia. Dal punto di vista del costruttore serve una visione industriale di lungo periodo e soprattutto un sistema di monitoraggio costante del rischio. In Webuild abbiamo ben chiaro che serve un processo strutturato di presidio del rischio su tutte le funzioni del gruppo. I progetti devono essere sostenibili.


Massimo Ferrari, general manager corporate and finance di Rebuild Group

Quanto conta la sostenibilità oggi nel mondo delle costruzioni?
È imprescindibile. Purché si tratti di sostenibilità in senso reale, che si misuri con i numeri. I nostri impegni sono molto precisi, come la riduzione del 50% delle emissioni di gas serra o la sicurezza sul posto di lavoro. Già nel 2021, nei nostri cantieri il 98% dei materiali di scavo è stato riutilizzato e il 51% dei rifiuti prodotti è stato inviato a recupero. Proprio sulla sicurezza stiamo investendo da anni per migliorare gli indici, anche cambiando completamente la cultura interna di tutta la filiera di produzione.
Occorre investire in sicurezza in modo continuativo, come avviene nel resto del mondo, e prevedere una spesa adeguata su tutta la filiera produttiva. Si tratta di un pilastro portante della nostra strategia di sviluppo, e di un tema che deve trovare supporto da parte dei committenti, che devono tenere conto dei maggiori costi.
 
Si parla molto di carenza di risorse umane. È un rischio per il settore?
Credo che il settore possa dare un’opportunità al Paese. Oggi le costruzioni possono offrire occupazione a decine di migliaia di operatori specializzati che devono manovrare gru, guidare escavatori e camion di cantiere, o che possono lavorare in amministrazione, anche provenendo da altri settori. È una occasione unica per offrire lavoro a persone che lo hanno perso. Occorre un piano di re-skilling per favorire lo sviluppo di nuove professionalità. Ma, come dicevo, serve una visione a lungo termine che anche per la formazione guidi lo sviluppo industriale.

Guardiamo allora all’Italia. Come vede l’apporto del Pnrr al settore? 
Il Pnrr è uno stanziamento importante perché definisce una nuova politica attiva che assegna priorità alle infrastrutture. Ma dal punto di vista delle disponibilità finanziarie va considerata come risorsa aggiuntiva, non sostitutiva, di altre risorse di cui l’Italia può disporre. Oggi il vincolo non sono le risorse finanziarie ma la determinazione del sistema Paese nel pensare, progettare e avviare le opere.

Quali sono i principali fattori da presidiare?
L’Italia deve fare una scelta politica per orientare tutte le decisioni verso il modello di Paese che vorremo essere nel 2030-2040. E deve scegliere di investire nel modo più efficiente per creare opportunità di crescita per il settore e per il Paese. In questo settore uno degli elementi fondamentali è il fattore tempo. I cantieri di oggi sono le infrastrutture di domani, così come quelle esistenti – se ben manutenute – saranno il nostro patrimonio infrastrutturale di domani. È evidente che, se passano 15, 20 o addirittura 30 anni dal momento della ideazione di un progetto a quando si consegna, per vincoli burocratici, ciò che era stato programmato in termini di costi non è più realistico. Il Paese perde opportunità importanti. Occorre concentrare le risorse su progetti sostenibili con effettiva capacità di essere realizzati nei tempi giusti, soprattutto per il Sud.

A proposito di Sud, siamo il Paese a due velocità per l’assegnazione di fondi?
Non si può pensare a un vero cambiamento senza dare una spallata a questa dicotomia. Bisogna partire dalle connessioni tra Nord e Sud, senza le quali non c’è sviluppo. Per raggiungere la Sicilia da Milano e viceversa ci vuole quasi un giorno e questo è un grande limite per la competitività e la produttività del Paese. Dobbiamo investire in collegamenti ad alta velocità e collegamenti con l’Europa. I 15 progetti della rete Ten-T che stiamo realizzando da Nord a Sud, per 400 chilometri, sono un esempio importante.

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