VERSO UN WELFARE PIÙ PERSONALIZZATO

Le esigenze individuali e professionali dei lavoratori negli ultimi due anni sono cambiate e questo si riflette spesso in un minore attaccamento all’azienda e in un ridotto impegno nel raggiungimento degli obiettivi. I benefit aziendali possono avere un ruolo nel ricostruire un nuovo coinvolgimento, ma devono essere percepiti come realmente utili e rispondere alle nuove istanze dei dipendenti

VERSO UN WELFARE PIÙ PERSONALIZZATO
👤Autore: Maria Moro Review numero: 94 Pagina: 62
Tra le tante cose che la pandemia ha cambiato si può annoverare anche l’evoluzione del concetto di welfare aziendale. Il primo grande cambiamento che abbiamo ereditato dall’esperienza del Covid-19 è la priorità dello stare bene con se stessi e con le persone vicine, vivere l’attimo, aspettarsi meno dal futuro per godere di più il presente. Il cambio di percezione non è di poco conto se riflesso nel rapporto con il mondo del lavoro: può significare meno ansia sui risultati, o meno impellenza di fare carriera, ma un approccio diverso impatta sulla partecipazione stessa delle persone agli obiettivi lavorativi e nel rapporto con i colleghi e i superiori. I lunghi mesi di smart working hanno inevitabilmente affievolito la socialità sul luogo di lavoro e il coinvolgimento negli obiettivi aziendali. 
Così come a livello sociale, anche nell’ambito lavorativo è necessario per molte persone investire in volontà per ricostruire la voglia di condividere, di collaborare, di raggiungere insieme degli obiettivi. 
Le aziende hanno avuto una percezione misurabile del nuovo disagio psicologico dei lavoratori nell’aumento del turn over aziendale, che è passato dal 10% medio del pre-pandemia al 20% attuale*, chiaro segnale di disaffezione e insoddisfazione dei dipendenti. 
I settori HR sono preoccupati, cercano soluzioni che aumentino l’attrattività dell’azienda e che nel contempo offrano ai dipendenti un supporto in un momento di difficoltà personale che inevitabilmente si riflette sulla qualità del contributo alla crescita dell’impresa. 
Un’indagine di Aon presso le aziende clienti ha evidenziato che dopo la pandemia il 42% dei lavoratori si sente insicuro, il 52% non prova senso di appartenenza, il 55% ritiene di non poter raggiungere il proprio potenziale. 

ADEGUARE L’OFFERTA A UN LAVORATORE CHE È CAMBIATO

È anche per far fronte alla necessità di ricostruire il rapporto sfilacciato con i collaboratori che molte organizzazioni hanno rivisto la propria strategia di welfare, focalizzando su servizi che vengano incontro alle nuove esigenze dei lavoratori e su iniziative che permettano di valorizzare e quantificare l’impegno dell’impresa verso di loro.  
Nel commentare la situazione, Andrea Canonico, chief development director health & benefits, head of welfare solutions di Aon, tiene a sottolineare innanzitutto come negli ultimi 15 anni, con l’inserimento nei contratti collettivi nazionali, il welfare aziendale sia diventato una prassi e una vera forma di servizio finalizzata ad agevolare la vita del dipendente e ad aumentare il suo benessere. La pandemia ha però lasciato il segno e oggi “c’è una corsa a servizi diversi dal recente passato, con l’obiettivo di curare il benessere dei lavoratori in un’ottica di attrazione e di retention. Si tratta di un concetto ampio, positivo, nato proprio dall’esperienza del Covid: l’offerta si è adeguata ed è cambiata, passando da forme standardizzate a un modello che punta ad assecondare le esigenze più vive dei dipendenti”. 

PIÙ ATTENZIONE AI SERVIZI ALLA PERSONA E AL SOCIALE 

In molti casi, questa necessità espressa dalle aziende si è tradotta in indagini preliminari per far emergere le nuove istanze e modificare di conseguenza i programmi di welfare. I risultati, uniti all’analisi dei dati storici sull’utilizzo dei servizi disponibili, hanno evidenziato un brusco cambiamento di rotta nelle scelte degli utenti, che prima della pandemia erano orientate per quasi il 50% alle attività leisure (palestre, cinema, eventi, sport, viaggi): “durante il Covid – spiega Canonico – è stato necessario ricercare prestazioni diverse, spostando i volumi su servizi online on-demand: il personal trainer a distanza, la richiesta di consulti psicologici, la telemedicina, oltre a un’impennata di richieste di psicoterapia e di confronto con esperti, quasi uno switch da servizi di benessere fisico a mentale”. Oggi le prestazioni si sono redistribuite: non si è dimenticato cosa è accaduto in questi mesi e la richiesta di telemedicina, supporto psicologico e sfera medicale permangono come zoccolo duro dell’offerta, “ma rispetto ai cinque pilastri del welfare aziendale – fisico, sociale, emotivo, professionale ed economico – prima l’interesse andava molto al fisico, oggi guarda di più all’economico e al sociale. Questo significa che anche la nostra proposta si sta riorganizzando, con la creazione di un team dedicato a supportare le imprese in questo ri-orientamento”. 

IL VALORE DEI BENEFIT È SOGGETTIVO

Un altro risultato emerso dalla survey aggiunge un tema alla questione della maturità dei benefit aziendali e riguarda la diversa percezione dell’offerta da parte di dipendenti e datori di lavoro: di fronte alla richiesta se il piano di offerta disponibile include iniziative sul vivere sano, il 43% dei dipendenti ha risposto di no, mentre l’87% dei datori di lavoro afferma il contrario; rispetto al benessere emotivo per il 44% dei dipendenti non ci sono iniziative in essere, cosa di cui sono convinti invece l’82% dei datori di lavoro. “Questo gap – osserva Canonico – rappresenta un problema concreto perché il nostro interlocutore è l’azienda, i cui manager sono convinti di operare le giuste scelte laddove il dipendente non le percepisce o non le coglie come un vantaggio. Una delle iniziative che stiamo adottando è aiutare le imprese a comunicare bene le proposte che già sono disponibili e che non sono conosciute o valorizzate, anche attraverso uno specifico strumento, il total reward statement, che permette di quantificare tutte le voci della retribuzione”. 
L’interesse delle aziende, quindi, non è tanto per nuovi servizi, ma verso un nuovo approccio che contribuisca a migliorare il benessere dei dipendenti e la percezione dell’offerta. La soluzione richiesta dai settori HR è di creare un percorso individuale che sia più taylor made e meno standardizzato, un approccio che per Aon implica prima di tutto aumentare il livello di personalizzazione del servizio all’impresa stessa. “Questo ha significato ideare nuove soluzioni che considerino le mutate esigenze e una presentazione più empatica e coinvolgente. Ecco quindi che su un servizio sempre molto richiesto come il check-up, abbiamo progettato un percorso di controlli post-Covid mirato sui disagi che la malattia produce alla persona; abbiamo poi costruito – conclude Canonico – un’offerta strutturata su esigenze specifiche quali i check-up per le neo mamme, per gli sportivi o per coloro che fanno una sedentaria, disegnati quindi sui profili di specifici gruppi invece che sul tipico up-grade quantitativo costituito dai livelli silver, gold e platinum”. 

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