MOBILITÀ, L’ACCIDENTATA VIA ITALIANA ALL’AUTO ELETTRICA
L’industria dell’automotive si trova in un momento cruciale del passaggio a nuovi metodi di alimentazione. Se il futuro sembra essere la tecnologia a batteria, il presente è costellato di difficoltà: una filiera vetusta, una produzione lontana dal territorio e un contesto internazionale dove dominano i nuovi produttori

08/04/2025
L'Italia può ancora vantare un’importante industria automobilistica, terza per rilevanza in Europa, che coinvolge molti comparti dell’economia del Paese, per un’ampia quota dedicata alla produzione di componenti, la presenza di imprese di piccole dimensioni, ma anche una lunga tradizione nella produzione di motori diesel. Per tutti i principali paesi della vecchia Europa (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna), la produzione dal 2000 a oggi è, però, notevolmente calata, al contrario di quanto è accaduto nei paesi asiatici e soprattutto in Cina, dove dal 2000 al 2023, in base ai dati dell’Organizzazione internazionale di costruttori di veicoli a motore, è passata dall’1% al 38%.
È in questo contesto che si sta verificando il cambiamento strutturale, e di portata storica: cioè la conversione al motore elettrico. Nel mercato italiano, la quota di auto elettriche sul totale delle immatricolazioni rimane inferiore rispetto ai principali paesi con cui l’Italia si confronta.
UNA TRANSIZIONE COMPLESSA
Secondo una recente ricerca di Banca d’Italia (Il settore automobilistico italiano nella transizione verde: evidenze empiriche e valutazioni degli addetti ai lavori), nel Belpaese la quota di motorizzazioni elettriche sul totale è pari all’1,2%, con un sostanziale equilibrio tra veicoli a batteria (Bev) e veicoli ibridi plug-in (Phev). Si tratta di un dato che corrisponde a meno della metà della media europea (3%) e lontano da quello dei Paesi Bassi (7,9%), così come dalla Germania (4,9%), dalla Francia (3,8%) e simile al dato della Spagna (1,4%).
Le evidenze dello studio mostrano elementi che potrebbero rendere questa transizione complessa per l’industria italiana: tra questi la storica specializzazione in tecnologie spiazzate dall’elettrico, la scarsa presenza nel ramo dell’elettronica e del software, la dipendenza ancora rilevante da un unico produttore finale, nonché quella che viene definita la “dimensione contenuta e la limitata propensione alla collaborazione delle nostre imprese”.
LA RAREFAZIONE DELLA PRODUZIONE NAZIONALE
Quando si parla di valore della filiera italiana dell’auto, e quindi di quello che è in gioco, nel confronto con Germania, Francia e Spagna, nel 2022 in Italia a ogni occupato corrispondevano circa 93mila euro di valore aggiunto, meno che in Germania (140mila euro) ma poco di più che in Francia e Spagna (86mila e 78mila euro). L’Italia genera inoltre una quota maggiore della propria attività dalla fabbricazione di componenti e una quota minore dalla fabbricazione di autoveicoli rispetto alla Francia e alla Spagna.
Interessante ciò che spiegano i ricercatori di Banca d’Italia riguardo alla produzione: nonostante i confini delle relazioni tra imprese si siano ampliati, la produzione di auto rimane un fenomeno regionale e intrinsecamente legato al territorio. La vicinanza alla produzione resta anche oggi “un fattore di vantaggio competitivo per i fornitori di componenti”, si precisa nello studio. “La rarefazione della produzione nazionale – sottolineano gli analisti – rappresenta un elemento di criticità per il settore, in particolare nell’attuale fase di transizione alla mobilità elettrica”.
CAMPIONI NEL DIESEL (PURTROPPO)
Nel 2023 si sono prodotte 4,1 milioni di auto in Germania, 1,9 milioni in Spagna, un milione in Francia e circa 542mila in Italia: nel 1989, la produzione di auto italiana aveva sfiorato quota due milioni di unità. L’Italia si è trovata in poco tempo in una situazione di sostanziale overcapacity, rileva lo studio: con gli attuali stabilimenti produttivi sarebbe necessario un incremento compreso tra le 200mila e le 300mila auto per raggiungere una situazione di full capacity.
Sfortunatamente, la nostra tradizionale specializzazione nel diesel non ci favorisce nella transizione all’elettrico, giacché i motori diesel sono stati i primi a subire gli effetti delle politiche verdi, così come lo strutturale ritardo nelle attività legate all’elettronica e al software dell’auto.
PICCOLO NON È SEMPRE BELLO
Sul calo della produzione italiana insistono molti fattori. Secondo gli esperti potrebbe aver contribuito anche quello definito come “l’originale orientamento della nostra filiera a produrre auto di piccole dimensioni”, la cui produzione è più facile da delocalizzazione verso paesi a basso costo produttivo. Questo meccanismo potrebbe interessare anche l’auto elettrica di piccole dimensioni che ha minori potenzialità di generare profitti rispetto a un’auto medio-grande.
Secondo la maggior parte degli esperti del settore, la transizione all’auto elettrica è ormai irreversibile. Come detto, l’auto elettrica è più semplice nella produzione ma più complessa nella progettazione: questo rende difficile valutare il possibile impatto della transizione sulla filiera italiana. Alcune stime, come il Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano, indicano infine una possibile perdita di posti di lavoro tra i 14mila e i 70mila: ma è difficile ottenere stime precise.
PER FARE UN’AUTO…
Per costruire un’auto elettrica, o meglio, per riconvertire tutta una filiera, non basta mettere una grossa batteria in un’auto tradizionale: in media, un’auto elettrica ha tra il 50 e il 70% di componenti in meno rispetto a un’auto con motore a combustione. Secondo le esperienze del settore, in un’auto tradizionale le componenti elettroniche incidono sul costo di produzione per circa il 10%, nell’auto elettrica questa quota raggiunge il 50%. Queste differenze hanno reso più semplice l’entrata sul mercato di nuovi produttori, tanto che alcune componenti, per esempio i caricabatterie, potrebbero trasformarsi in una commodity, con forti economie di scala e pochi produttori a livello globale.
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