L’IMPEGNO DELLE IMPRESE PER UNA SOSTENIBILITÀ SOSTENIBILE

A partire dal Green Deal, l’Unione Europea ha individuato nei sistemi produttivi la catena di trasmissione delle strategie per l’attuazione dei principi ESG. Il quadro normativo che ne deriva rappresenta un serio impegno per le aziende, ma porta con sé ANCHE opportunità di crescita e di sviluppo. Tutto questo avviene però in un contesto non immune da nuovi rischi geopolitici

L’IMPEGNO DELLE IMPRESE PER UNA SOSTENIBILITÀ SOSTENIBILE
👤Autore: Maria Moro Review numero: 110 Pagina: 14-17
La sostenibilità per le imprese rappresenta una sfida, un obbligo, un’opportunità, una responsabilità. L’approccio generale che si percepisce verso questo tema è quello del peso e delle difficoltà a ottemperare alle crescenti norme e ai regolamenti che influiscono sulle organizzazioni e indirizzano le scelte politiche e strategiche del sistema produttivo. È necessario però alzare lo sguardo e cogliere il disegno più ampio, la finalità che è sottesa a programmi di indirizzo come l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ovvero quella di tendere verso scelte e comportamenti più sostenibili che favoriscano il rispetto per l’ambiente e una crescita più equilibrata e diffusa delle società. Vasto programma, si potrebbe dire, e per nulla immune da visioni politiche e culturali a livello di singoli paesi che vanno nella direzione opposta.
Il questo disegno complessivo, che l’Unione Europea ha abbracciato con convinzione, il sistema produttivo rappresenta una delle catene di trasmissione dei nuovi valori, forse la più efficace per la possibilità di indirizzare strategie di business, e quindi di creazione di valore, che abbiano ricadute ampie, diversificate, distribuite lungo le filiere. Con quali impatti sulle imprese stesse? È a questa domanda che ha provato a dare risposta Anra, l’associazione nazionale dei risk e insurance manager, nel  suo 23° convegno annuale, tenuto a Milano il 16 e 17 novembre scorsi, dedicandolo al tema Sostenibilità sostenibile: la sfida per il risk management. Nel corso dell’evento, a cui hanno partecipato nelle due giornate quasi 1.200 persone, gli interventi e le tavole rotonde hanno affrontato il tema della sostenibilità nelle sue molteplici sfaccettature, dal quadro normativo al rischio climatico, dall’impatto sociale alla governance, dalle filiere fino alle azioni di mitigazione dei rischi naturali.
In apertura dei lavori Carlo Cosimi, presidente di Anra, ha illustrato il rapporto complesso e spesso contrastante tra le imprese e la sostenibilità utilizzando la metafora del filosofo tedesco Immanuel Kant del volo della colomba: nell’atto di spiccare il volo essa trova un ostacolo nell’attrito con l’aria ma è proprio questa presenza a permetterle di volare; allo stesso modo per le aziende è arduo adeguarsi a un contesto di scelte e obblighi di sostenibilità, ma necessario per la loro evoluzione e crescita.
Il presidente del comitato tecnico–scientifico di Anra Salvatore Lampone, ha introdotto i lavori puntando direttamente alla questione centrale della trasformazione sostenibile del sistema produttivo: nella visione strategica globale improntata alla sostenibilità, il risultato economico-finanziario non viene più considerato l’unico metro di valutazione delle imprese, che saranno misurate con maggiore ampiezza per le politiche aziendali adottate sulla tutela dell’ambiente, sul rispetto delle diversità e sulla giustizia sociale. Si tratta dell’esito di un percorso avviato a livello di principi già negli anni ’60 del secolo scorso, che ha trovato il suo punto di svolta nel 2015 con l’Agenda 2030 dell’Onu, che costituisce con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (Suistainable development goals) il quadro di riferimento globale, e con gli Accordi di Parigi, che oltre a fissare il limite alla crescita della temperatura globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, ha stabilito come centrale il ruolo del flussi finanziari per governare lo sviluppo sostenibile.



UN SISTEMA DI RISCHI INTERCONNESSI

Conoscere i rischi globali ha una stretta relazione con l’approccio alla sostenibilità delle imprese. Da un lato, è necessario comprendere lo scenario complessivo nel quale il business si muove, per averne consapevolezza nel momento in cui si definiscono le strategie. Dall’altro lato, le scelte di sostenibilità Esg delle aziende hanno un riflesso diretto sui territori e sulle società in cui operano e verso i quali si estende la filiera: in tal senso, si va a influire, soprattutto in termini ambientali e sociali, su contesti da cui possono partire istanze che vanno a incidere sugli scenari più ampi. Scegliere di sfruttare indiscriminatamente un territorio, o optare per un approccio che favorisca la crescita della comunità che lo vive hanno inevitabilmente impatti diversi sulla qualità del rapporto con le società locali e sulle loro istanze.
Queste riflessioni hanno fatto da sfondo all’intervento di Paolo Magri, vice presidente esecutivo di Ispi, che ha analizzato le attuali possibili prospettive di un mondo “nuovo”, che si sta spostando verso equilibri economici e di potere diversi dalla centralità del ruolo dell’Occidente. Negli ultimi tre anni ci sono state tre grandi crisi (prima il Covid, poi la guerra calda in Ucraina e quella fredda tra Cina e Usa), che hanno fatto da detonatore per altre situazioni critiche, come quella energetica, l’inflazione e le emergenze umanitarie. Lo scenario attuale si distingue per un cambiamento che Magri descrive come la concomitanza di tre età: l’età della geopolitica, che sostituisce la centralità del sistema economico della globalizzazione, l’età dell’insicurezza, in cui Europa e Usa dipendono ancora dall’economia cinese e ne sono vincolati, e l’età della frammentazione, in cui la competizione tra le grandi potenze (Usa, Cina, Russia, Europa) fa i conti con la loro debolezza interna e con i paesi emergenti (Brics allargati su tutti) che reclamano maggiore peso. Un contesto incerto, su cui il conflitto tra Israele e Hamas rappresenta un potenziale elevatissimo di rischio di escalation.



L’IMPOSIZIONE NORMATIVA È UTILE ALL’OBIETTIVO? 

L’inquadramento per obiettivi dell’Agenda 2030 ha trovato nel Green Deal promosso dall’Unione Europea una concretizzazione relativa agli aspetti ambientali. La scelta in Europa è stata quella di instradare il percorso in un progressivo approccio regolatorio, in cui l’imposizione normativa detta le tappe alle imprese che, subito dopo il settore finanziario, sono il canale prescelto attraverso il quale si intendono raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientali e sociali. Attualmente l’attenzione è focalizzata sulla Corporate sustainability reporting directive (Csrd), che diverrà obbligatoria per le grandi imprese a partire dal 2024, e poi via via fino ad allargare la platea a tutte le aziende, escluse le micro. La Csrd va a sostituire la Non-Financial reporting directive (Nfrd) sulla base del concetto della doppia materialità (finanziaria e di impatto sociale e ambientale), ovvero del fatto che tutto quanto riguarda la sostenibilità interessa anche gli aspetti finanziari: la chiave dell’intervento normativo è portare il focus dagli shareholder agli stakeholder, ampliando il perimetro di impatto delle politiche aziendali. A completamento si colloca la proposta della Corporate sustainability due diligence directive (Csddd), con la quale l’Unione Europea intende instradare il sistema produttivo verso una gestione responsabile dell’impatto ambientale e sociale che esce dai confini dell’azienda (e in molti casi dell’Europa) e coinvolge tutta la catena del valore dell’impresa. In questo senso si attiva un intervento che ha risvolti geopolitici: le imprese con filiere molto ramificate possono optare per un reshoring delle attività che attualmente svolgono in territori lontani dalla condivisione dei valori occidentali, con un notevole impatto economico, oppure per l’adozione di politiche ambientali e sociali che abbiano una ricaduta positiva nelle aree in cui risiedono le filiere. 
Verrebbe quindi a replicarsi, in altra forma, l’effetto di impatto concreto sulla trasformazione che nella prima fase di questo percorso ha avuto il settore finanziario, con la valutazione per l’erogazione dei propri servizi delle misure di sostenibilità attuate dalle imprese.



LA S MINUSCOLA DI ESG

Guardando allo sviluppo dei fattori Esg, è la S a zoppicare ancora. Se la governance (G) non è tanto un effetto della politica di sostenibilità ma la conditio sine qua non questa è applicabile (solo una governance già instradata sui parametri della sostenibilità può pensare di attuare le politiche a essa necessarie), l’ambiente (E) è l’ambito in cui maggiormente le imprese indirizzano l’attenzione, sia per affinità da tempo sviluppate rispetto all’impatto sul territorio della loro attività produttiva, sia per la centralità dei temi dell’inquinamento e degli effetti del cambiamento climatico. Stando agli osservatori, è il fattore sociale (S) quello meno sviluppato. Attualmente manca una modalità condivisa che definisca e misuri la sostenibilità sociale: la normativa definisce la compliance per quanto riguarda la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma molti altri aspetti vanno sviluppati. Tra i primi le politiche di inclusione in azienda e le questioni legate al gender e salary gap, ma il tema sociale si amplia alla crisi demografica, e quindi alle iniziative a sostegno delle famiglie e al ricambio generazionale, fino ad arrivare a questioni molto complesse come le condizioni di lavoro lungo le filiere, spesso associate a scandali reputazionali. I fattori Esg vanno intesi come allacciati tra loro: non si può lavorare sui temi ambientali senza coinvolgimento degli aspetti sociali e di governance, allo stesso modo la governance che rispetta i principi dei codici etici include aspetti sociali e di approccio ai problemi ambientali.




© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti