SEMPLIFICAZIONE PER SOLVENCY II

Le compagnie europee stanno implementando in termini positivi la Direttiva, che però resta burocratica e onerosa, soprattutto per le realtà medio-piccole. Da più parti si invocano una minore complessità, regole più concrete e una convergenza della vigilanza. Come è emerso alla seconda conferenza organizzata dall'Ivass sul tema

SEMPLIFICAZIONE PER SOLVENCY II
👤Autore: Laura Servidio Review numero: 43 Pagina: 16
Una vigilanza uniforme e meno complicata. Con questo intento lavorano i supervisori italiani ed europei, in risposta alle tante sollecitazioni del comparto assicurativo per la semplificazione di una direttiva che, a oltre un anno dall’entrata in vigore, rischia di destabilizzare le imprese medio-piccole. Sul tema, l’Istituto di vigilanza italiano ha riunito, lo scorso marzo a Roma, industria assicurativa e regolatori internazionali, nella seconda Conferenza Solvency II. L’appuntamento di quest’anno era incentrato proprio sul comparto delle piccole e medie compagnie, particolarmente interessate sia dagli oneri di compliance, sia dalle sfide a cui il mercato è sottoposto: in primis, l’universo digital e il prolungato scenario di bassi tassi di interesse. 
La conferenza ha utilizzato il confronto con le esperienze internazionali per fare il punto soprattutto sulle questioni applicative ancora aperte: complessità, convergenza, proporzionalità. “I regolatori – avverte Salvatore Rossi, presidente dell’Ivass – devono chiedersi se l’attività regolatoria sia tale da indurre il consolidamento”. Qui, spiega, può aiutare la proporzionalità, considerata “un buon principio”, soprattutto in applicazione al secondo (governance) e al terzo pilastro (reportistica), e su cui l’Istituto lancerà, a breve, una consultazione, coinvolgendo l’industria nel processo di valutazione. 

Dello stesso avviso, il regolatore europeo secondo cui la proporzionalità rappresenta “un atto di equilibrio che non intende aggiungere ulteriori oneri sulle imprese”, spiega Gabriel Bernardino (nella foto), presidente di Eiopa. Anzi, sottolinea, questo aiuterà a “garantire un livello di parità tra i Paesi”. A dimostrazione di ciò, la revisione della formula standard, prevista per il 2018, ha tra gli obiettivi la riduzione della complessità e la garanzia di un corretto regime del rischio: “su questo – avverte – siamo aperti ai suggerimenti dei vigilanti”.
 

VERSO LA CONDIVISIONE TRA I PAESI EUROPEI

In tema di proporzionalità, le compagnie restano incerte, invitando il regolatore a considerare i costi che le piccole imprese devono affrontare. O comunque chiedono la declinazione di questo principio attraverso regole concrete, ad esempio, come propone Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, “accorpando le funzioni aziendali nelle compagnie piccole, utilizzando i dati stimati e non quelli consuntivi, eliminando l’aggiornamento annuale nei casi in cui il rischio non sia cambiato, e prevedendo tempi più dilatati per il reporting”. 
Quello su cui concordano compagnie e autorità è l’urgenza di una uniformità dell’azione regolatoria. “È necessario costruire una cultura della vigilanza che accomuni tutti i Paesi europei – sottolinea Gabriel Bernardino – per dare lo stesso livello di tutela agli assicurati”. Per evitare pratiche di vigilanza diversificate, il regolatore europeo ha messo a punto programmi di formazione, piattaforme di collaborazione, database per l’analisi dei rischi preventivi, pratiche di confronto tra gli organismi nazionali. E, per il futuro, Eiopa garantirà una convergenza della vigilanza attraverso “un mandato più forte di coordinamento della valutazione e del monitoraggio dei modelli”.
Dello stesso avviso, gli assicuratori: “è necessario applicare le stesse regole per tutti i Paesi, e livellare così il campo di gioco”, afferma la presidente dell’Ania. Mantenendo, però, l’identità di ciascuno: “avere un sistema comune non vuol dire che siamo tutti uguali”, avverte Luca Filippone, dg di Reale Mutua, intervenuto in veste di membro dell’Associazione delle Imprese Mutue e Cooperative in Europa.

 
UN ECOSISTEMA COMPLESSO

Pur nelle specificità di ciascun Paese, il sentire generale è che la direttiva abbia prodotto un importante cambio di paradigma, stimolando quel salto culturale nell’approccio al rischio da parte delle piccole e delle grandi compagnie. Per esempio in Romania, la direttiva è stata l’occasione per aumentare il livello di vigilanza e di comunicazione con le imprese; positiva anche l’esperienza tedesca, dove Solvency II viene considerato uno dei sistemi più evoluti; in terra francese la direttiva è stata accolta “a braccia aperte” dal mercato e la vigilanza “lavora bene”. Tuttavia, si lamenta ancora un ecosistema complicato, dove la volatilità e il peso della reportistica non aiutano. All’unanimità, la richiesta è di sbarazzarsi della complessità laddove semplificando, Solvency II può diventare, a detta dei più, il sistema migliore. 
La parola, ora, passa ai regolatori che auspicano una sempre maggiore apertura di dialogo tra supervisori e compagnie.





IL VALORE ECONOMICO DEI DATI

Se gli assicuratori sono i più impegnati nell’applicazione di Solvency II, il vero destinatario resta il consumatore. In questo senso, la principale preoccupazione di chi rappresenta gli utenti resta la tutela dei dati, considerati il petrolio del futuro. Un valore economico che, secondo l’Europa, potrà raggiungere, entro il 2020, i 737mila milioni di euro, equivalente a un valore sul Pil compreso tra il 2,37 e il 4%. “Il consumatore – avverte Silvia Castronovi, responsabile relazioni esterne istituzionali di Altroconsumo – deve essere consapevole del valore dei dati che ha in mano: le informazioni – spiega – devono essere date in modo finalizzato e, laddove  il cliente non ne riceva un valore economico, deve almeno trarne un vantaggio in termini di prodotto e di pricing”. Qui, avverte, le imprese devono impegnarsi per mantenere un comportamento etico, che non potrà che premiarle.

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