DISEGUAGLIANZE, IL COSTO SOCIALE DI UNA PANDEMIA INFINITA

Un’Italia in crisi economica, occupazionale e di fiducia, colpita nel profondo da un male che sembra non volersene andare. Come non diventare un Paese mancato, condannato a una decrescita infelice? Nessuno sembra avere la ricetta giusta, anche se, forse, basta guardare al futuro, alla possibilità di rifiorire: com’è successo tante altre volte.

DISEGUAGLIANZE, IL COSTO SOCIALE DI UNA PANDEMIA INFINITA
“Come dobbiamo valutare questo nostro tempo?”, si chiede Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale, esimio giurista, ex ministro della Funzione Pubblica all’epoca del governo Ciampi nel 1993-1994. Anche oggi, come allora, c’era un rispettato e autorevole ex governatore della Banca D’Italia, chiamato a tirare fuori dal guado un Paese in crisi economica e istituzionale. 
Ieri, a differenza di oggi, però, l’Italia non era squassata da una lunga pandemia di cui è difficile capire l’evoluzione, nonostante ci sia (giustamente) molta fiducia nei vaccini, e da una crisi economica, occupazionale e sociale che rischia davvero di portarla oltre il punto di non ritorno e trasformarla in un Paese mancato, ai margini del consesso internazionale e condannato a una decrescita infelice. 
E quindi, come dobbiamo valutare il nostro tempo? Se da un lato le ombre sembrano prevalere nettamente sulle luci, dall’altro troppo spesso ci dimentichiamo di volgere lo sguardo più a fondo, di guardare con oggettività alle solide basi su cui sarà possibile costruire un futuro migliore di quello che ci immaginiamo oggi, chiusi nelle nostre case. 


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RICCHEZZA: L’1% VALE 17 VOLTE IL 20% PIÙ POVERO 

Le disuguaglianze sociali, economiche e di genere sono necessariamente le nemiche da battere: nemiche, tra l’altro, rese ancora più forti dalla pandemia, che ha scavato profondi solchi nella società italiana, europea e mondiale. La crisi occupazionale, il debito che grava sulle future generazioni, la povertà estrema in rimonta: a bilanciare queste cose basta la consapevolezza di vivere ancora in uno Stato di diritto, libero, e che si fa carico del benessere dei cittadini e li assicura dai molti rischi e che, con fatica, permette a chiunque di godere dei progressi tecnologici come le altre Nazioni sviluppate? Difficile da dirlo, soprattutto guardando ai dati. 
Lo scoppio della pandemia ha stravolto la vita di tutti, ma gli impatti più devastanti hanno interessato le fasce più fragili della popolazione, acuendo vulnerabilità, divari preesistenti e facendone affiorare di nuovi. 
Alla fine del mese di giugno 2019, secondo il Global Wealth Databook di Credit Suisse, il 20% più ricco degli italiani deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, mentre il successivo 20% era titolare del 16,9% della ricchezza, lasciando al 60% più povero solo il 13,3% della ricchezza nazionale. La ricchezza del 5% più ricco degli italiani, titolare quindi del 41% della ricchezza nazionale netta, era superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero: l’1% più ricco valeva 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana.

IL LOCKDOWN DEI REDDITI

È ancora presto per avere stime affidabili e approfondite dell’esito della pandemia sulla diseguaglianza, ma alcuni dati, questa volta di Banca d’Italia, rendono l’idea. L’Istituto ha rilevato come durante il lockdown duro di marzo-aprile 2020, oltre la metà delle persone coinvolte in un’indagine aveva subito una contrazione del reddito, anche a fronte degli strumenti di sostegno messi in campo dal Governo. 
Per il 15% degli intervistati il reddito si era più che dimezzato: l’impatto più negativo ha riguardato i lavoratori autonomi, come conferma anche il rapporto del Censis, tra i quali solo il 20% non ha visto il proprio reddito calare nel periodo del lockdown, mentre per oltre un terzo di essi la contrazione ha superato il 50%. Un primo bilancio quantitativo riferito al primo semestre del 2020 parla di una contrazione del reddito pro-capite delle famiglie pari all’8,8% rispetto al primo semestre del 2019, cioè una contrazione più acuta delle due crisi precedenti, quella finanziaria del 2007-2008 e quella del debito del 2011-2012.

LA CRISI DEL LAVORO FEMMINILE

Parlando di diseguaglianze non si può ignorare quella di genere, che all’Italia costa miliardi di euro di Pil e soprattutto si mostra in tutta la sua evidenza nei periodi di crisi. Durante la pandemia, la crisi occupazionale, nonostante il blocco dei licenziamenti, ha colpito quasi esclusivamente le donne. 
Le statistiche Istat sull’occupazione (elaborate dalla Fondazione studi consulenti del lavoro, nel focus Ripartire dalla risorsa donna) riferiscono che nel secondo trimestre dell’anno scorso si sono contate 470mila occupate in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, con un calo del 4,7%. I posti di lavoro persi in tre mesi sono stati 841mila, quelli femminili il 55,9%. Meglio l’occupazione maschile, che ha tenuto, con un decremento del 2,7%, pari a 371 mila occupati in meno.
L’impatto più negativo sul lavoro al femminile si è avuto nell’occupazione a termine (-327mila lavoratrici, in percentuale -22,7% delle occupate), nel lavoro autonomo (meno 87mila posti, il 5,1%), nelle forme part time (-243mila posti, pari al 7,4% delle occupazioni a orario parziale) e nel settore dei servizi, in particolare quelli ricettivi e del food, dove le donne erano il 50,6% del totale; e nel settore dell’assistenza domestica, con la componente femminile pari all’88,1%.


IL DISAGIO MENTALE

E tuttavia, come si sa, l’uomo non vive di solo pane. La pandemia logora anche chi dal virus non è colpito. La paura per la propria salute, per i propri cari, lo stress e la sensazione di essere soli di fronte a qualcosa di mostruoso e incontrollabile stanno moltiplicando il disagio psichico. Si stima che nei prossimi mesi possano emergere fino a 800mila nuovi casi di depressione, anche tra i circa 10mila italiani che hanno perso un familiare o un amico per colpa del virus. Già oggi, sono circa 150mila le persone non colpite da Sar-Cov-2 che manifesteranno sintomi depressivi a causa della crisi economica e della disoccupazione. Secondo la Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia, a un anno dall’inizio della pandemia, metà delle persone contagiate manifesta disturbi psichiatrici con un’incidenza del 42% di ansia o insonnia, del 28% di disturbo post-traumatico da stress e del 20% di disturbo ossessivo-compulsivo. Neanche a dirlo, i soggetti più a rischio sono le donne, i giovani e gli anziani: le donne, come abbiamo visto, sono le più toccate dalle ripercussioni sociali e lavorative, mentre i giovani hanno visto la loro vita interrompersi, implodere, e gli anziani, più fragili, soffriranno ancora di più a causa dell'isolamento sociale.



RIFIORIRE A PRIMAVERA

“Che cosa bisogna fare per coltivare ragionevoli speranze?”, scrive Sabino Cassese nel suo libro Una volta il futuro era migliore. “Solo ragionevoli speranze possono preservarci dalla disperazione”, diceva Bacone. Secondo il celebre giurista, che nella sua opera indica luci, ombre e appunto speranze per il nostro tempo, bisogna innanzitutto studiare: “dall’istruzione – scrive – dipende non solo l’avvenire di ciascuno ma anche il progresso civile”. Ma bisogna anche “coniugare l’utopia con il senso concreto del percorso”: e quindi “guardare avanti, considerare quel che il futuro può (concretamente, ndr) offrire”, non avere paura degli errori e “avere fiducia nell’arrendevolezza della vita a nostro favore”. 

Dobbiamo distaccarci dall’eterno presente in cui viviamo e cercare di avere una prospettiva di lungo periodo, di longue durée, come diceva lo storico francese, citato da Cassese, Fernand Braudel. Il costituzionalista ci invita a questa riflessione: “se consideriamo l’Italia e la paragoniamo con le grandi glorie del passato, l’impero sumerico, l’Egitto, la polis greca, più lontano la Cina della dinastia Ming, notiamo una differenza fondamentale. Quelle civiltà sono fiorite una volta sola. Quella che comincia con Roma antica e il suo impero, che poi sarà chiamata italiana, è stata capace di fiorire più volte: basta ricordare il Rinascimento e gli anni della ricostruzione (il miracolo economico del secondo dopoguerra). Si è cioè rinnovata. Dopo un declino, può esserci una crescita. La chiave sta nell’inversione dalla rotta lungo i percorsi dell’attuale declino”.
Una pianta con radici solide e feconde può rifiorire centinaia di volte, a primavera. 

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