CRISI GEOPOLITICA E OBIETTIVI CLIMATICI

Sulla strada per raggiungere il traguardo europeo di ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 si intravedono diversi ostacoli, a partire dal ritorno delle tensioni internazionali e dei confliggenti interessi nazionali, passando per l’aumento del prezzo dell’energia, per arrivare al costo sociale della transizione stessa

CRISI GEOPOLITICA E OBIETTIVI CLIMATICI
👤Autore: Beniamino Musto Review numero: 95 Pagina: 34
Mentre governi, istituzioni e società accelerano sugli impegni ambientali per raggiungere un futuro a emissioni nette azzerate, la crisi energetica ampliata dal conflitto in Ucraina sembra ridefinire alcune priorità. Questo il tema di cui si è discusso in una conferenza del Salone del Rispamio 2022, aperta da Stefano Pareglio, professore ordinario di Economia politica ed Economia dell’ambiente e delle fonti energetiche presso l’Università Cattolica di Milano. Innanzitutto occorre avere chiaro il contesto macro economico in cui si inseriscono gli impegni ambientali come il Fit for 55, il piano Ue per ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, e capire a che punto siamo sull’allineamento agli obiettivi climatici per limitare il riscaldamento globale. “Da un lato – ha esordito Pareglio – il tema del cambiamento climatico sta diventando un fattore sempre più significativo per le scelte di investimento, dall’altro stiamo anche assistendo a una crescita della disclosure climatica da parte delle imprese”. 

CONTENERE L’AUMENTO DELLA TEMPERATURA

Nel suo intervento, Pareglio ha illustrato le evidenze emerse nell’ultimo rapporto dell’Ipcc (intergovernmental panel on climate change), il gruppo intergovernativo dell’Onu sul cambiamento climatico che dal 1988 studia il riscaldamento globale. Nello studio viene fatta una valutazione dettagliata degli impatti dei cambiamenti climatici, dei rischi e dell’adattamento della popolazione mondiale. La salute, la vita e i mezzi di sostentamento delle persone, così come le proprietà immobiliari e le infrastrutture critiche sono sempre più colpiti dai pericoli relativi a ondate di calore, tempeste, siccità e inondazioni, così come sono sempre più presi di mira dai cambiamenti a insorgenza lenta (slow-onset changes), come l’innalzamento del livello del mare. Questo può essere evitato coinvolgendo tutti nella pianificazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici, prestando attenzione all’equità e alla giustizia e attingendo alle conoscenze delle comunità locali. Il rapporto afferma chiaramente che realizzare un modello di sviluppo resiliente al clima è già adesso, agli attuali livelli di riscaldamento, una sfida complessa. Questo obiettivo sarà ancora più difficile da raggiungere se il riscaldamento globale dovesse superare la temperatura di 1,5°C. Realizzare uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici sarà una cosa impossibile se il riscaldamento globale dovesse superare i 2°C. Questo è un dato fondamentale del rapporto, che sottolinea l’urgenza di un’azione climatica, concentrata su equità e giustizia. 

IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA 

Secondo Pareglio, “esiste la possibilità concreta di arrivare a una mitigazione delle emissioni che ci consentano di raggiungere un traguardo molto vicino all’obiettivo di 1,5°C. I nostri principali alleati, in questo senso, sono la tecnologia e la disponibilità di capitale per gli investimenti”. A seconda del grado di sviluppo della tecnologia adottata, tuttavia, ci sarà bisogno di moltiplicare il flusso di investimenti nella direzione della sostenibilità tra le tre e le sei volte. “Sono risorse che – ha osservato il professore – in buona misura sono recuperabili dalla riduzione dei sussidi ai combustibili fossili”. 

L’IMPATTO DEGLI SVILUPPI GEOPOLITICI

Questi spunti sono stati poi analizzati dal punto di vista geopolitico nel secondo keynote speech a cura di Renzo Tomellini, capo della segreteria tecnica del ministero della Transizione ecologica, il quale ha parlato degli impatti delle tensioni in atto nel mondo sugli obiettivi climatici del nostro Paese. Sullo sfondo di una crisi energetica che ci porta a rivalutare fonti in grado di sostituire velocemente il gas naturale, Tomellini ha spiegato che la zona del Mediterraneo rischia di essere quella in cui i cambiamenti climatici potrebbero avere gli impatti maggiori. Secondo Tomellini, “serve un cambiamento di approccio e di comportamento che tocca tutti noi. Il nostro modo di produrre e di consumare sta cambiando in maniera profonda. Non c’è una marcia indietro possibile”. Il cambiamento del nostro sistema socioeconomico, il nostro cambiamento comportamentale e la decarbonizzazione sono scelte inevitabili. “Il dibattito sulla dipendenza del nostro Paese in termini di approvvigionamento energetico da alcune aree del mondo non cambia la priorità, che è quella di decarbonizzare e ridurre l’utilizzo di combustibili fossili”. In questo percorso, ha concluso Tomellini, “bisogna pensare a misure di stabilizzazione affinché il passaggio sia graduale, anche perché bisogna evitare che ci siano degli shock sociali che potrebbero riguardare alcune fasce della popolazione”. 

LE IMPLICAZIONI PER LE STRATEGIE DI INVESTIMENTO

Questi spunti sono stati poi commentati nel corso di una tavola rotonda in cui economisti e strategist di società di gestione hanno esposto la loro view sugli sviluppi macroeconomici e sul percorso di decarbonizzazione. Secondo Monica Defend, head of Amundi Institute, gli asset manager hanno un ruolo importante, sia in termini di education con i clienti, sia per le scelte degli investimenti. “Noi – ha detto – siamo partiti dagli scenari tracciati dagli esperti per cercare di capire le ricadute che determinate scelte hanno sulle classi di attività”.  Andrea Conti, head of macro research di Eurizon Capital ha individuato tre parole chiave: rivoluzione, transizione e costo. “Siamo in una transizione lunga e complicata – ha detto - che non avverrà a bocce ferme. Questa dinamica mette in moto una serie di transizioni di secondo ordine che portano con sé molti impatti”. Come esempio, Conti ha osservato che “dobbiamo costruire infrastrutture per l’energia pulita usando l’energia fossile, e più il prezzo di quest’ultima aumenta, più costerà la transizione”. Secondo Alessandro Tentori, chief investment officer di Axa Investment Managers, “la transizione energetica deve andare di pari passo con lo sviluppo tecnologico. Dobbiamo ragionare sul fatto che per portare avanti la transizione con successo è di fondamentale importanza individuare la tecnologia più efficiente tra le tante che sono in questo momento in fase di sviluppo”. Ecco perché, ha affermato Bruno Rovelli, chief investment strategist di BlackRock Italia, “occorre capire il benchmark di riferimento, che dovrà incorporare i costi dell’inflazione”. Rovelli, meno ottimista dei colleghi sul raggiungimento degli obiettivi di contenimento della temperatura, ha messo l’accento sui costi della transizione e sulla loro accettabilità sociale: “non dimentichiamoci che la net zero implica che ci sia un mondo globalizzato e cooperativo, tuttavia quello che stiamo osservando negli ultimi anni ci mostra come stiamo andando verso un mondo non cooperativo”. Secondo Rovelli, “sarà impossibile raggiungere la transizione entro il 2050, ma, io temo, nemmeno entro il 2070”. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Articoli correlati

I più visti